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La Stampa – L’eterna giovinezza delle sale parrocchiali

L’eterna giovinezza dei cinema cattolici, oggi indicati come “sale parrocchiali“, sono ancora un importante punto di aggregazione nel territorio piemontese, oltre i nuovi multiplex. In Piemonte se ne contano infatti ancora 45, tra i quali quelli nati nell’ambito salesiano, come il Cinema Teatro Monterosa, il Don Bosco di Rivoli e la Sala della Comunità di Cuneo.

Si riporta di seguito l’articolo pubblicato in data 19 gennaio 2020 su “La Stampa”.

All’inizio degli Anni 60 un cinema su tre era cattolico: i sopravvissuti ora sono nel circuito di prima visione

TORINO. Una volta li chiamavamo cinema parrocchiali. Oggi sono le sale della comunità, ma la sostanza non cambia. Fedeli allo slogan «uno schermo per ogni campanile», dal dopoguerra hanno accompagnato l’alfabetizzazione di un paese che rinasceva. Nel 1949, quando si forma l’Acec, l’Associazione Cattolica Esercenti Cinema che le rappresenta, le sale parrocchiali in Italia sono più di 3000, nel 1953 diventano 4000, nel 1955 crescono a 5500.

In Piemonte all’inizio degli anni Sessanta un cinema su tre è cattolico. Se ne contano 413, di cui 90 solo nella diocesi di Torino. Quasi tutte sono sale oggi dimenticate. C’era il cinema del Collegio degli Artigianelli in corso Palestro e dell’Oratorio Casermette di Borgo San Paolo, della parrocchia di San Secondo e persino dell’Ospedale delle Molinette. Ogni piccolo spazio viene adibito a sala di proiezione. Come al santuario di Santa Maria di Piazza (dietro via Barbaroux), in cui una stanzetta di una trentina di metri quadri diventa cinema grazie a qualche panca di legno e a un telo tirato contro il muro.

Quell’epoca Claudio Munari l’ha vissuta in prima persona. Ha 78 anni, di cui sessanta passati nei cinema cattolici, prima come gestore del Cravesana (la sala dei Santi Angeli Custodi) e dal 1997 come segretario generale dell’Acec Piemonte e Valle d’Aosta. «Ai tempi d’oro i film arrivavano da noi a cinque anni di distanza dalla loro uscita in prima visione, però le nostre sale erano sempre piene. È stato in un cinema parrocchiale (il San Felice) che è nato il primo cineforum torinese, il Movie Club, da cui è transitata una generazione di futuri critici cinematografici, da Alberto Barbera a Sergio Toffetti. E sempre le nostre sale sono state le prime a presentare rassegne di film in lingua originale inglese, come lo Stand In e il View Point».

Oggi i cinema cattolici in Piemonte sono rimasti 45, di cui solo 4 a Torino: Agnelli, Baretti, Esedra e Monterosa. Paradossalmente, però, sono state proprio le sale della comunità a reggere meglio la crisi e lo switch off del 2014, con il passaggio alle proiezioni digitali. «In regione hanno chiuso solo il Cuore e il Piccolo Valdocco a Torino e Saluggia nel cuneese. Sono stati gli unici che non sono riusciti a far fronte alle spese di ammodernamento. Le altre sale invece ce l’hanno fatta, attingendo ai finanziamenti pubblici e appoggiandosi ai gruppi di volontari che le gestiscono. Il digitale sembrava la fine di tutto, in realtà non è stato così».

Molti meno ma molto più agguerriti, i cinema cattolici sono entrati quasi ovunque a far parte del circuito di prima visione. Non è un caso che il presidente dell’Anica Francesco Rutelli non più tardi dell’altro ieri li abbia pubblicamente ringraziati per il loro contributo all’industria e che Papa Francesco il 7 dicembre scorso abbia ricevuto in Vaticano i rappresentanti delle varie delegazioni regionali dell’Acec, in udienza privata. «In questi anni mordi e fuggi, conclude Munari, le nostre sale sono gli ultimi punti rimasti di aggregazione cinematografica. Certo, i tempi in cui si andava nella sala parrocchiale per guardare tutti insieme “Lascia o raddoppia?” non torneranno più, però oggi c’è una parte del pubblico dei più giovani e delle famiglie che preferisce le mono-sale ai multiplex. E la maggior parte di quelle rimaste, sia in Piemonte sia nel resto d’Italia, sono cattoliche».