In occasione dei 150 anni della presenza salesiana a Valsalice, la redazione de Il Salice ha intervistato Mons. Roberto Repole, ex allievo di Valsalice. Di seguito l’articolo completo.
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In occasione dei 150 anni di presenza della comunità salesiana a Valsalice, abbiamo avuto il piacere e onore di incontrare e intervistare l’Arcivescovo di Torino, Mons. Roberto Repole, tra l’altro ex allievo di Valsalice.
Per cominciare, don Silvano Oni ha proposto un breve ricordo storico dei Salesiani a Valsalice, dalla scelta, alla nascita come collegio, alla sepoltura e successiva traslazione del corpo di don Bosco, fino alla nascita del liceo e alle personalità passate nella nostra scuola.
Subito dopo un’introduzione del Direttore don Alessandro ed un saluto del Preside Pace, i redattori presenti hanno potuto intervistare l’Arcivescovo.
Che reazione ha avuto quando è stato nominato dal Papa Vescovo di Torino?
Avevo già sentito qualche avvisaglia nei mesi prima, ma non avevo mai messo veramente in conto la possibilità. Ero ad Assisi il 15 febbraio 2022 quando il Nunzio del Papa mi ha chiamato. Avevo detto sì al Signore e non c’era motivo per rifiutare, anche se la mia vita sarebbe cambiata.
Come descriverebbe la sua vita in cinque parole?
Bellezza, gratitudine, trepidazione, responsabilità, e soprattutto fede.
Ha mai avuto ripensamenti circa la sua carriera ecclesiastica?
No, ma momenti di fatica ci sono stati e ci sono ancora oggi: è normale nell’affrontare la vita e le responsabilità.
Ci racconti una sua giornata tipo. Quali sono le principali attività svolte da un Vescovo?
La mia agenda è sempre piena, tra momenti di preghiera, incontri, udienze, celebrazioni, visite a Torino e Susa: le mie giornate sono sempre diverse, ma con la presenza costante di preghiera, pasti e famiglia.
Quando e perché ha deciso di diventare sacerdote?
Un prete di Druento, dove sono cresciuto, mi ha suggerito già a 11 anni di entrare in seminario. Però la decisione definitiva l’ho presa al terzo anno di Teologia, ma non in occasione di un evento particolare.
Da giovane faceva parte di un gruppo parrocchiale?
Sì, degli “Amici del pozzo” a Druento: è stato importante perché da ragazzo adolescente ci si deve staccare dalla famiglia, e se si ottiene da ciò un’autonomia sana si ha l’occasione di un potenziale di crescita grandioso.
Pensa che Valsalice abbia influenzato la sua scelta di studiare Teologia e di diventare prete?
In parte: già in seminario a Druento dagli 11 anni avevo una mezza idea, ma a Valsalice ho avuto l’esempio di molti preti che davano la vita per noi. Anche lo studio della filosofia e della letteratura greca e latina metteva comunque il gusto per un percorso teologico.
Cosa ne pensa della nostra scuola oggi? È cambiata da quando la frequentava lei?
Non la frequento abbastanza per dirlo, però qualche differenza c’è di sicuro: ad esempio gli insegnanti erano quasi tutti preti e in classe si era tutti maschi, fino all’anno successivo alla mia maturità, nell’86.
Si può fare scuola mantenendo un carisma e un messaggio cristiano?
Secondo me in Italia fare scuola senza riferimenti alla tradizione cristiana è non fare cultura: ciò che siamo è impregnato di pensieri e pensatori cristiani.
Che ruolo hanno i social oggi nell’educazione alla fede di un giovane? I social possono essere il campo di azione di una nuova evangelizzazione?
I social sono molto utili per veicolare velocemente le proposte della Chiesa in rete. Però non dobbiamo illuderci che l’incontro con il Signore possa avvenire con qualche messaggio on line: l’incontro avviene tra persone vive. E poi bisogna far attenzione perché i rapporti li strutturiamo con il filtro dei social, quindi sono incontri frequenti ma non reali: l’abbraccio di un amico è diverso da un messaggio.
Che relazione esiste oggi tra i giovani e la fede? La fede di oggi è meno salda di un tempo o solo più “distratta”?
Gli adulti devono smettere di dire che a voi giovani non interessa. Semplicemente avete una gioventù diversa dalla nostra e certamente ci sono stati dei cambiamenti: prima era normale avere un riferimento nella Chiesa, oggi non più, ma non vuol dire che sia carente l’apertura alla fede. Vedo potenzialità nella ricerca di qualcosa di solido sul piano spirituale: è la Chiesa che deve adattare la proposta della fede a voi e alle vostre esigenze.
Il cristiano e la partecipazione politica: quale deve essere il criterio di avvicinamento e di partecipazione alle tematiche sociali?
Bisogna sentire il dovere di partecipare anche attivamente alla vita pubblica, e il criterio deve essere il Vangelo, che riguarda la vita. E quindi anche come viviamo insieme e ci strutturiamo. Dalla fede si comprende un nuovo modo di strutturare i rapporti, con amore, giustizia e misericordia, recuperando la parte migliore di noi, non solo come cristiani, ma anche come uomini e cittadini.
Cosa legge negli occhi dei giovani oggi?
Tanta bellezza. L’attenzione al rispetto di tutti, mentre prima si creavano spesso barriere. Poi un’attenzione “pratica” alla natura e alla terra, mentre noi eravamo figli del grande sviluppo. Ma ci sono anche paure: è meno scontata la certezza di essere sostenuti da un affetto stabile, il che è una paura normale nell’adolescenza, ma per voi sembra essere più presente e duratura. Inoltre sembra che il vostro valore dipenda dalle prestazioni richieste più che da voi stessi: ci sono grandi attese su di voi che forse potrebbero schiacciarvi.
Un insegnamento di don Bosco che ha sempre avuto caro?
Alle medie leggevo raccolte di molti santi, poi ho aperto le biografie. Bisogna prendere la persona, non le sue frasi: Don Bosco era un prete intelligente e intraprendente, che ha visto nei giovani il futuro.
Segnaliamo anche la notizia a cura di Marina Lomunno apparsa su La Voce e il Tempo:
Il ritorno a Valsalice dell’Arcivescovo Roberto
«Bentornato a Valsalice caro Vescovo Roberto». È il saluto proiettato sullo schermo del grande teatro dell’Istituto salesiano, gremito da una rappresentanza dei 900 studenti del Liceo e delle Medie, insegnanti, genitori, ex allievi.
«Avremmo voluto partecipare tutti ma non si stavamo», ha precisato il direttore don Alessandro Borsello, che venerdì 3 marzo ha accolto mons. Roberto Repole, tornato nel «suo liceo». L’occasione, come ha introdotto don Silvano Oni ripercorrendo la storia dell’Istituto, il 150° anniversario della presenza a Valsalice dei salesiani: fu il predecessore di mons. Repole, l’Arcivescovo Lorenzo Gastaldi, a chiedere a don Bosco di aprire uno studentato in viale Thovez e il santo dei giovani fu seppellito qui dal 1988 al 1929, quando in seguito alla beatificazione l’urna con le sue spoglie fu trasferita nella Basilica di Maria Ausiliatrice.
Cresciuto con la sua famiglia a Druento, come ha spiegato rispondendo alle numerose domande preparate dagli allievi e dalle allieve della redazione de «Il Salice» il giornale web dell’Istituto, mons. Repole è entrato in Seminario a 11 anni e nella sua formazione scolastica giovanile i salesiani hanno avuto un ruolo importante: dopo il ginnasio a Valdocco ha conseguito la maturità classica nel 1986 presso il Liceo Valsalice. Commovente l’incontro con il suo insegnante di Filosofia e Storia, don Giovanni Fontana che ha ringraziato: «Qui ho incontrato insegnanti che mi hanno ‘fatto i muscoli’, ho imparato un metodo di studio serio e rigoroso, elementi importanti anche per il lavoro intellettuale», ha ricordato l’Arcivescovo rispondendo ai ragazzi che gli hanno chiesto cosa è rimasta nella sua formazione di prete e teologo, insegnante ed ora Arcivescovo del carisma salesiano. «Mi è rimasta l’attenzione alle persone più giovani anche perché ho passato molti anni ad insegnare e come eredità salesiana ho in mente alcuni professori, anche anziani, che avevano ancora il gusto di intrattenersi di spendere del tempo con noi allievi. Una testimonianza che poi ho cercato a mia volta di trasfondere con i miei studenti».
Tra le tante domande a 360° a cui l’illustre ex allievo non si è sottratto («perché si è fatto prete», «cosa ha pensato quando Papa Francesco l’ha nominato Arcivescovo», «quali libri sono fondamentali da leggere per ragazzi come noi», «quale musica ascolta») quella centrale: «Cosa legge negli occhi dei giovani oggi e cosa è per lei più importante?»: «Leggo tanta bellezza, l’attenzione al rispetto di tutti ma anche paure perché per voi è meno scontata la certezza di un affetto stabile. E noi adulti non vi dobbiamo schiacciare con le grandi attese che abbiamo su di voi. Ma innanzi tutto, come faceva don Bosco amarvi e cercare di rispondere alle vostre domande di senso». Infine «La cosa più importante per me? Non ho ancora trovano nulla nella mia vita che sia più bello del cristianesimo».