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India: il salesiano, Padre George, lancia una tempesta di preghiere in Paradiso per la pace in Yemen

Con preoccupazione seguo la sorte drammatica delle popolazioni dello Yemen, già stremate da anni di conflitto…”. Le parole del Papa dopo la recita dell’Angelus di domenica scorsa hanno focalizzato l’attenzione su un Paese stremato da oltre tre anni di guerra civile, che ha causato circa 15.000 vittime e che ha costretto alla fuga più di tre milioni di persone: praticamente oggi uno yemenita su 8 vive lontano dalla propria casa. Nel Paese hanno servito come missionari per diversi anni anche i Salesiani dell’Ispettoria indiana di Bangalore, che oggi rilanciano l’invito del Papa alla preghiera in favore della popolazione yemenita.

È don George Muttathuparambil, attuale Ispettore di Bangalore, a manifestare tutta la gravità della situazione e l’urgenza della preghiera. “Questa guerra è ingiusta. Le persone soffrono in modo atroce” racconta il Salesiano.

“Ho visto l’orrore della guerra in Yemen. Dobbiamo pregare per la pace”, prosegue, rilanciando così l’appello di Papa Francesco e di mons. Paul Hinder, il Vicario apostolico dell’Arabia meridionale – che si estende su Emirati Arabi Uniti, Oman e Yemen – che aveva a sua volta rinnovato, nella giornata di lunedì 18 giugno, l’appello del Pontefice.

Il Paese mediorientale don Muttathuparambil lo conosce bene: vi è stato dal 2010 al 2016, dapprima a Hodeidah e poi a Taiz. Era lì quando, il 4 marzo del 2016, presso Aden, un gruppo islamista rapì dalla casa per anziani delle Missionarie della Carità il suo confratello don Tom Uzhunnalil, massacrando anche quattro religiose e altre 12 persone. Viste le pericolose condizioni nel Paese, il 30 marzo 2016 il sacerdote è stato costretto a lasciare la missione per fare ritorno in India, ma attende di tornare al servizio della popolazione yemenita.

La vicinanza spirituale alla popolazione dello Yemen i Salesiani di Bangalore la esprimeranno, in particolare, nella giornata di sabato prossimo: “Il 23 giugno – spiega don Muttathuparambil – offriremo una Messa e un’adorazione eucaristica in solidarietà [con la popolazione]. Insieme alla mia comunità, tempesterò il Paradiso [di preghiere] per la pace in Yemen. Preghiamo Dio affinché egli intervenga e porti giustizia e pace”.

Conclude, infine il religioso: “La situazione è molto grave, le persone hanno bisogno di cibo, acqua, medicine. Tutto è stato distrutto. Ci uniamo a mons. Hinder nella preghiera. Egli è molto preoccupato per la regione e per i cristiani che vivono nelle quattro parrocchie” – Sana’a, Taiz, Hodeidah e Aden.

(Articolo tratto da ANS – Agenzia Info Salesiana)

Si riporta, qui di seguito, la notizia di Asianews.it a cura di Nirmala Carvalho, che riporta la testimonianza di Padre George Muttathuparambil, superiore provinciale dei salesiani a Bangalore, in Karnataka, il quale ha svolto in Yemen la sua missione fin dal 2010.

Salesiano indiano:
“Ho visto l’orrore in Yemen. Preghiamo per la pace”

P. George Muttathuparambil è il superiore provinciale dei salesiani a Bangalore, in Karnataka. Nel 2016 era in Yemen quando un gruppo islamista ha rapito p. Tom Uzhunnalil e massacrato quattro suore di Madre Teresa. “Questa guerra è ingiusta. Le persone soffrono in modo atroce”.

Mumbai (AsiaNews) – Ho visto l’orrore della guerra in Yemen. Dobbiamo pregare per la pace. Lo dice ad AsiaNews p. George Muttathuparambil, salesiano indiano e superiore provinciale di Bangalore, in Karnataka. Accogliendo l’appello di papa Francesco, che all’Angelus del 17 giugno ha invocato la pace in Yemen, e a mons. Paul Hinder, vicario apostolico dell’Arabia meridionale (Emirati Arabi Uniti, Oman e Yemen), che ieri ha fatto altrettanto, il sacerdote sostiene: “La sofferenza delle persone è inimmaginabile. Il 23 giugno offriremo una messa e un’adorazione eucaristica in solidarietà [con la popolazione]. Insieme alla mia comunità, tempesterò il Paradiso [di preghiere] per la pace in Yemen”.

P. Muttathuparambil conosce bene lo Yemen, dove ha svolto la sua missione fin dal 2010. Nel Paese arabo le Missionarie della Carità gestivano quattro parrocchie a Sana’a, Taiz, Hoddai e Aden. Egli si trovava nella chiesa di Taiz quando il 4 marzo 2016, nel mezzo dell’escalation della guerra, un gruppo islamista rapiva p. Tom Uzhunnalil, suo confratello [poi liberato nel settembre 2017, ndr], e massacrava quattro suore di Madre Teresa nella casa per anziani di Aden. Di quel tragico giorno ricorda: “Sister Sally [unica sopravvissuta al massacro, ndr] mi ha telefonato. Piangeva, e intanto diceva che i corpi di quattro missionarie giacevano in terra nel recinto nella casa, mentre p. Tom era disperso. A quel punto ho chiamato subito mons. Hinder, la casa generalizia delle missionarie a Calcutta e la casa provinciale dei salesiani a Bangalore e li ho informati di quanto accaduto. In seguito qualcuno mi ha riferito che p. Tom era stato portato via”.

Viste le pericolose condizioni nel Paese, il 30 marzo 2016 il sacerdote ha lasciato la missione per fare ritorno in India e qui ancora attende di tornare al servizio della popolazione yemenita. “Persone innocenti soffrono in modo atroce – sostiene –. Questa è una guerra ingiusta, preghiamo Dio affinché egli intervenga e porti giustizia e pace. La situazione è molto grave, le persone hanno bisogno di cibo, acqua, medicine. Tutto è stato distrutto”.

Secondo le ultime stime, il conflitto ha provocato oltre 10mila vittime e a rischio vi è la vita di almeno 250mila persone. P. Muttathuparambil conclude: “Ci uniamo a mons. Hinder nella preghiera. Egli è molto preoccupato per la regione e per i cristiani che vivono nelle quattro parrocchie”.

(Articolo tratto da AsiaNews.it)

Don Tom: “Sono quello che sono oggi perché Dio ha avuto cura di me”

Un uomo sereno, in pace con Dio e con tutti, compresi i rapitori, e in grado anche di scherzare sull’esperienza vissuta. È questa l’immagine che hanno potuto vedere in don Tom Uzhunnalil i giornalisti e gli operatori della comunicazione di tutto il mondo che sabato 16 settembre, si sono radunati presso la casa “Salesianum” di Roma per sentire direttamente da lui il racconto toccante del sequestro e della liberazione. Vissuti entrambi con grande fede in Dio.

di Gian Francesco Romano

Il missionario indiano è arrivato al primo mattino presso il centro salesiano. Don Tom è stato accolto dal Rettor Maggiore, Don Ángel Fernández Artime, dal suo Vicario, da alcuni membri del Consiglio Generale e da numerose personalità civili e religiose. La dott.ssa Reenat Sandhu, Ambasciatrice dell’India in Italia, ha reso un omaggio floreale a don Tom. Quindi ha avuto inizio la conferenza stampa, moderata da don Moreno Filipetto, e introdotta dal Rettor Maggiore, con don Ivo Coelho, Consigliere Generale per la Formazione, in qualità di traduttore.

“Grazie, in questi 18 mesi non ci siamo mai sentiti da soli”, ha esordito Don Á.F. Artime, che nel suo breve intervento introduttivo ha anche ribadito quanto aveva già espresso nella sua lettera alla Famiglia Salesiana riguardo alle modalità della liberazione attraverso: “Non possiamo dire quello che non sappiamo”.

Quindi è iniziato il lungo intervento di don Tom: il suo primo pensiero è per le Missionarie della Carità uccise. “Ringrazio Dio e sono contento di vedere qua le Missionarie della Carità. Faccio loro le mie condoglianze” afferma, prima di doversi fermare per qualche istante per la commozione.

Don Tom poi ritorna a quel 4 marzo del 2016, il giorno dell’attacco e del rapimento. “Non ho pianto, non ho avuto paura, ho solo pregato Dio per le suore, per i custodi e le altre vittime. Dio è stato molto misericordioso con me”, racconta.

Specifica che nell’attacco i rapitori hanno portato via anche il tabernacolo, per cui per un po’ di tempo ha avuto con sé anche le specie eucaristiche. Più volte ribadisce di non essere mai stato maltrattato e di questo ringrazia “le preghiere e i sacrifici del mondo intero”. A parte la privazione della libertà, ha potuto dormire bene, gli veniva dato il cibo necessario e ne è stata curata anche la salute, attraverso i medicinali e una volta anche attraverso una visita medica.

“Il primo video è stato girato il giorno seguente al rapimento” ed era funzionale a vedere se e chi tra familiari, governi e autorità si sarebbe mosso per ottenere la sua liberazione. Don Tom esclude che i suoi rapitori fossero interessati alla sua fede, dato che non hanno mai provato a fare del proselitismo verso di lui.

Quasi si scusa di aver fatto accenno al Papa e alle autorità indiane nei video che era costretto a girare. Eppure racconta che pure quando sembrava che venisse maltrattato, era “una finzione per suscitare interesse”.

Con le sue parole si apre via via sempre di più, raccontando particolari che rivelano nel dettaglio come ha vissuto quei 18 mesi di sequestro: i diversi spostamenti avvenuti, la difficoltà a tenere il conto dei giorni, il molto tempo quotidiano dedicato alla preghiera: “Ho pregato per molte persone”, per il Papa, le Missionarie della Carità, la Chiesa… “E anche per i miei rapitori”.

Della sua liberazione sa solo che i sequestratori avevano intenzione di realizzarla già il giorno prima, ma la controparte non si è presentata all’appuntamento e così è slittata di un giorno. Alla fine è stato consegnato ad un’autista che lo ha condotto a tutta velocità in Oman.

“Ho potuto fare una corsa per il deserto” ironizza, così come fa anche dopo: “Non ero mai stato da Papa Francesco e probabilmente senza quest’avventura non avrei mai potuto farlo”. In verità di quell’incontro conserva ricordi molto emozionanti, come quando il Papa gli ha baciato le mani “anche se io non mi sono sentito degno”.

Al termine della conferenza stampa don Tom ha avuto modo di incontrare un piccolo gruppo di Missionarie della Carità venute appositamente per salutarlo. L’incontro è rapido, don Tom non trova le parole. Si parla più attraverso gli sguardi. Il pensiero è per le religiose uccise e per l’unica sopravvissuta, suor Sally: tutte loro, come lui, erano in Yemen solo per servire i più bisognosi e per offrire conforto alle poche centinaia di cattolici presenti nel paese.

Don Tom resterà ancora per qualche giorno in Vaticano per espletare gli ultimi controlli medici, quindi farà ritorno in India, alla sua Ispettoria d’origine, con sede a Bangalore.

Guarda la Conferenza Internazionale di Padre Tom: 

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Yemen: Padre Tom è libero!

Il salesiano missionario indiano, padre Thomas Uzhunnalil, sequestrato oltre 18 mesi fa in Yemen da un gruppo di guerriglieri, è stato liberato. Ad annunciare la notizia sono stati i media indiani, secondo i quali il religioso salesiano si trova ora a Muscat, in Oman. La conferma ufficiale è arrivata da un tweet della Ministro degli Esteri dell’India, on. Sushma Swaraj‏.

Don Uzhunnalil era stato rapito da un commando di uomini armati il 4 marzo 2016, durante un attacco alla casa delle Missionarie della Carità di Aden, in Yemen, nel quale morirono 16 persone, tra cui 4 religiose. (fonte: ANS)

Il vescovo Paul Hinder – si legge nel comunicato del Vicariato apostolico dell’Arabia meridionale, sotto la cui giurisdizione si trova lo Yemen – è lieto di annunciare che il salesiano padre Tom Uzhunnalil, che era stato rapito nella casa delle Missionarie della carità ad Aden il 4 marzo 2016, è stato liberato oggi. Si trova ora in mani sicure. Il vescovo – continua il comunicato – ringrazia tutti coloro che sono stati coinvolti negli sforzi per la liberazione e tutti quelli che nel mondo hanno pregato senza sosta perché padre Tom tornasse a casa sano e salvo“.
Proprio da là il quotidiano locale “Oman Observer” ha diffuso anche una sua fotografia, che lo mostra in un abito tradizionale locale e spiega che potrà presto far ritorno in India. Secondo i media indiani, infatti, padre Tom potrebbe arrivare in Kerala già in serata. (fonte: La Stampa)

Padre Tom, 57 anni, è nato a Ramapuram, vicino a Pala (Kottayam, Kerala), da una famiglia profondamente cattolica. Suo zio Matteo, morto nel 2015, anch’egli salesiano, è il fondatore della missione in Yemen. Al momento del rapimento padre Tom si trovava in Yemen da quattro anni. Secondo informazioni del governo indiano, egli ora si trova in Oman, da dove verrà trasferito in India.
Il card. Isaac Cleemis Thottunkal, presidente della Conferenza episcopale dell’India, è il primo a reagire alla notizia. All’agenzia AsiaNews ha dichiarato: “Siamo pieni di gioia e di gratitudine verso tutti coloro coinvolti nel processo per il rilascio di padre Tom, soprattutto il governo dell’India, del Kerala e tutte le persone di buona volontà, che hanno pregato per la salvezza e il rilascio di padre Tom”. (fonte: Radio Vaticana)

Miei cari fratelli e sorelle tutti,

ricevete il mio affettuoso saluto in questo giorno molto speciale per noi.

Solo poche ore fa, nel pomeriggio di ieri, è arrivato a Roma il nostro confratello P. Thomas Uzhunnalil. Mezz’ora fa sono giunto anch’io, dopo aver fatto visita ad una Ispettoria, e adesso, disponendo di una informazione più precisa mi rivolgo a tutti voi per offrirvi tutta l’informazione della quale disponiamo in questo momento.

Questa è la grande notizia: il nostro confratello Thomas è stato liberato e adesso è qui con noi.

E’ giunto ieri sera alle ore 18.00 alla Comunità Salesiana, che presta diversi servizi nello Stato della Città del Vaticano. Partito dall’aeroporto di Muscat in Oman è atterrato all’aeroporto di Ciampino (Roma), e da lì è stato portato alla nostra Casa.

Ho chiesto ai nostri confratelli che lo accolgano per alcuni giorni nella comunità; questo per diversi motivi: perché si possano assicurare i primi controlli medici e un necessario riposo, e per poter abbracciarlo a nome di tutti i confratelli salesiani e di tutta la Famiglia Salesiana. Successivamente, quando i medici lo consiglino e la cosa sia opportuna, potrà certamente ritornare in India.

Molte sono le cose che noi stessi non sappiamo. E’ certo che la liberazione e la consegna sono avvenute attraverso un operatore umanitario, in comunicazione e connessione con il Sultanato di Oman.

Come Congregazione noi siamo stati informati alcuni mesi fa sui contatti che si stavano stabilendo con i rapitori, fino a giungere al momento presente, ma senza mai avere altre informazioni. Di fatto, abbiamo avuto notizia della sua liberazione solo ieri quando P. Thomas stava già per arrivare in Italia.

Mi sento in dovere di dire a tutti voi e alle molte persone che hanno interesse di saperlo, che alla Congregazione Salesiana non è stato chiesto il pagamento di nessun riscatto, e non abbiamo notizia che sia stato effettuato nessun pagamento.

Come è naturale e perché siamo certi che così è stato, desideriamo esprimere la nostra profonda gratitudine a sua Maestà il Sultano di Oman e alle competenti autorità del Sultanato, all’operatore umanitario e a tutti coloro che in diversi modi si sono occupati di questo caso, in diverse occasioni con generoso impegno.

Voglio dare testimonianza del grande affetto e della costante preoccupazione con la quale l’Ispettoria Salesiana di Bangalore ha seguito la situazione del nostro confratello Tom e anche di come lo ha fatto l’intera Congregazione, durante questi lunghi mesi del suo rapimento.

A tutte queste persone, ai diversi organismi dei vari Stati e al loro personale, manifesto con le mie parole la gratitudine dello stesso P. Thomas e di tutti noi, pienamente consapevoli di quanto è stato fatto per la liberazione di questo nostro Confratello.

Miei cari fratelli salesiani sdb e cara Famiglia Salesiana, dopo quello che vi ho finora espresso, che spiega le circostanze umane di questo felice avvenimento, voglio manifestare la profonda gratitudine, che sento nel mio cuore e che è certamente anche di tutti voi, al Signore che durante tutti questi mesi ha accompagnato P. Thomas nel profondo della sua solitudine e forse anche del suo timore. Grazie a Dio, nella sua Provvidenza, per questo momento di gioia che stiamo vivendo.

Grazie anche a quelle migliaia e migliaia di persone che lungo questi diciotto mesi di Getsemani del nostro fratello Tom hanno pregato con tanta fede. Il Signore ci ha concesso una grande Grazia. E’ questo un motivo perché continuiamo a rispondere nel futuro con maggior fedeltà e autenticità alla sua chiamata e al carisma, che ci ha affidato e al quale P. Tom ha consegnato la sua vita: l’annuncio di Gesù e del suo Vangelo, la predilezione per i ragazzi, le ragazze e i giovani di tutto il mondo, e tra di loro i più poveri e abbandonati. 

Fratelli e sorelle tutti, continuiamo a rendere grazie al Signore per il dono di avere P. Tom tra di noi. Chiediamo alla nostra Madre Ausiliatrice che lo accompagni e lo sostenga, e che ella continui a fare tutto nella vita di ciascuno di noi, come lo ha sempre fatto con Don Bosco.

Vi saluta con sincero affetto

Ángel Fernández Artime, sdb

Rettor Maggiore

Nell’edizione del 13 Settembre 2017 sulla testata nazionale “Avvenire” è apparso il seguente articolo firmato da S. Vecchia.