Ai Salesiani di Bra si prepara festa di don Bosco – Gazzetta d’Alba

Di seguito un resoconto dei festeggiamenti dedicati a Don Bosco nella realtà salesiana di Bra riportato su la Gazzetta d’Alba a cura di Lino Ferrero.

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Secondo anno di pandemia con la commemorazione di don Bosco in tono più frugale. Anzi, di questi tempi, parlare di festa potrebbe sembrare persino fuori luogo.

«Non abbiamo messo in conto grandi eventi», dice don Alessandro Borsello, direttore dell’opera salesiana.

«Abbiamo però voluto mantenere il termine festa per metter in luce la grandezza dell’opera di don Bosco per i giovani e per la chiesa».

Il calendario degli eventi prevede un primo incontro venerdì 28 gennaio alle 21. Sarà una serata di riflessione e preghiera a partire dalla Strenna 2022, l’augurio spirituale che tutti gli anni il rettor maggiore rivolge alla famiglia salesiana nel mondo, dal tema “Fate tutto con amore, nulla per forza”, un’espressione presa dagli scritti di San Francesco di Sales, patrono della famiglia salesiana e del quale ricorrono quest’anno i 400 anni dalla morte. La serata si terrà in chiesa, ma sarà possibile seguirla in diretta sul canale Youtube delle parrocchie di Bra (canale: Parrocchie UP50).

Domenica 30 gennaio ci sarà la festa di San Giovanni Bosco nella chiesa dell’Istituto Salesiano: le Messe delle 10 e delle 11.15 saranno presiedute da monsignor Gabriele Mana, vescovo emerito di Biella.

Lunedì 31 gennaio, festa liturgica di San Giovanni Bosco, la Messa sarà alle 18 nella chiesa dell’istituto.

Nei gironi precedenti e seguenti con i ragazzi della scuola media e del centro di formazione professionale saranno organizzati per gruppi classe dei momenti di celebrazione, riflessione e di festa per sottolineare l’evento.

Lino Ferrero

Don Viviano, in Basilica le speranze della città – La Voce e il Tempo

Di seguito l’intervista a don Michele Viviano, rettore della Basilica Maria Ausiliatrice di Torino-Valdocco, riportata su La Voce e il Tempo a cura di Marina Lomunno.

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INTERVISTA – IL NUOVO RETTORE DI MARIA AUSILIATRICE «CUORE » DEL MONDO SALESIANO
Don Viviano, in Basilica le speranze della città

Don Michele Viviano, classe 1962, nato a San Cataldo (Caltanissetta), prete dal 1991, è stato nominato rettore della Basilica di Maria Ausiliatrice dal 1° settembre 2021 al 31 agosto 2024: succede al confratello don Guido Errico, ora maestro dei novizi e direttore dell’Opera salesiana di Genzano di Roma. Docente al Centro teologico San Tommaso di Messina, è giunto a Valdocco dopo numerosi incarichi a Roma e in Sicilia.

Lo abbiamo incontrato lunedì 24 gennaio, festa liturgica di san Francesco di Sales, patrono dei salesiani, che ha dato il via alla settimana in preparazione ad una festa di don Bosco «speciale» per la congregazione: nel 2022 si celebrano i 400 anni dalla morte di san Francesco di Sales, al quale è stata dedicata una importante mostra inaugurata a Valdocco la scorsa settimana.

Don Michele, cosa significa per un salesiano essere Rettore della Basilica di Maria Ausiliatrice, Casa madre della sua congregazione, Casa di don Bosco dove si venerano le sue spoglie mortali, a cui tutta la famiglia salesiana nei 134 Paesi in cui è sparsa nel mondo guarda come guida carismatica e meta di pellegrinaggio?

Mi sento molto privilegiato e lo vivo innanzitutto come un regalo di don Bosco per il mio 30° anno di ordinazione presbiterale. Nel 2016, nel mio 25° di sacerdozio, mi è arrivata un’obbedienza «strana», a cui non mi sentivo per nulla preparato: alla mia vita abbastanza tranquilla di docente nell’Istituto Teologico di Messina mi si chiedeva di aggiungere la direzione di un centro di accoglienza per migranti che arrivavano dal porto di Catania. Era il periodo in cui Papa Francesco ci invitava ad aprire le case e gli istituti religiosi per ospitare chi rischiava la vita per attraversare il Mar Mediterraneo. Accolsi quell’obbedienza come un regalo di Dio per il mio 25°. Ora, dopo 5 anni, con mia grande sorpresa e senza esser stato mai parroco, il Rettor Maggiore mi ha chiesto l’obbedienza di venire qui a Torino come Rettore della Basilica più importante per la nostra congregazione. Come non accoglierla come un dono di Dio, come una chiamata di don Bosco? Ogni figlio di don Bosco sogna di stare un giorno, un periodo nei luoghi delle origini della nostra Congregazione e così è stato per me fino adesso.

Un sogno che è diventato realtà: è la prima volta che celebro la festa di don Bosco proprio accanto a lui in Basilica, nei luoghi dove ha cominciato ad accogliere i ragazzi e con alcuni di questi a fondare la congregazione: «ci chiameremo salesiani», era il 26 gennaio del 1854. E poi a maggio, sarà un’emozione celebrare per la prima volta la festa di Maria Ausiliatrice nel tempio costruito dal nostro padre e maestro. Essere Rettore è anche una grande responsabilità, un impegno di cui forse ancora non mi rendo conto. Ma non sono solo: ho una comunità che mi sostiene, confratelli che aiutano e collaborano tanto. Io sono il Rettore ma ancor prima che a me la Basilica è affi data alla mia comunità e questo mi conforta e mi incoraggia.

La Basilica di Maria Ausiliatrice è punto di riferimento non solo per il mondo salesiano, ma per tutta la diocesi di Torino che don Bosco ha reso famosa nel mondo. Cosa chiedono gli uomini, le donne e i giovani di oggi a Maria Ausiliatrice quando vengono in Basilica?

In questi primi 4 mesi ho visto tante persone di tutte le fasce sociali ricorrere all’Ausiliatrice: tutti chiediamo che ci liberi dalla pandemia che, oltre a mettere a rischio la nostra salute, ha cambiato le nostre abitudini, ha condizionato le nostre attività, ci ha isolati di più, ci ha diviso all’interno delle stesse famiglie per le divergenze anche di pensiero sul virus, ci ha resi più fragili, insicuri, diffidenti l’uno dell’altro visto come potenziale portatore della malattia. Per questo abbiamo bisogno di sicurezza, certezze, punti fermi che la scienza non ti dà e non può darti. Per cui c’è un ritorno a Dio, un maggior ricorso a Maria Ausiliatrice, a porre la nostra vita nelle mani sicure del Dio della vita e di colei che è la mamma delle mamme, l’Ausiliatrice di ogni uomo che a lei ricorre con la semplicità e la fiducia del figlio, della figlia.

Quali iniziative pensa di lanciare in Basilica nei prossimi anni perché sia sempre più casa accogliente come sono da sempre questi cortili?

Ho bisogno ancora di qualche mese per conoscere chi varca la nostra soglia, cosa desidera, cosa ha bisogno, cosa ci chiede: non è facile, ma non desidero cadere in un attivismo di iniziative che possono abbagliare ma non illuminare e riscaldare il cuore. Certamente la Basilica deve avere un respiro lungo e profondo, insieme a uno sguardo ampio che vada oltre i confini locali e nazionali da una parte e, dall’altra, offrire, insieme alla celebrazione eucaristica e a quella della riconciliazione sempre ben curate, iniziative formative e culturali. Oggi i santuari, come il nostro non sono solo «oasi nel deserto» per trovare un po’ di pace dal frastuono della città; «ospedali da campo» per curare o sanare qualche ferita; o «isole ecologiche» per essere perdonati. Oggi un santuario come il nostro, che conserva le spoglie di tre santi e due beati, è anche un «magnete» che attira non solo chi vuol pregare, ma anche il semplice curioso o visitatore di luoghi artistici; che accoglie non solo i torinesi ma anche gli ex-allievi che arrivano dall’altra parte del mondo. Dunque mi chiedo, lasciandomi illuminare da don Bosco, cosa può e deve offrire di significativo il santuario Basilica Maria Ausiliatrice alla città di Torino, innanzitutto, e ad ogni persona che entra in questo tempio, o meglio in questa «casa» come diceva don Bosco: «Hic Domus mea, inde gloria mea»? («Questa è la mia casa, da qui la mia gloria»).

Marina LOMUNNO

S. Francesco di Sales, «gigante della fede» – La Voce e il Tempo

La mostra per i 400 anni dalla morte di San Francesco di Sales, dottore della Chiesa. Di seguito l’articolo di Marina Lomunno per “La Voce e il Tempo“.

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C’è molto di Torino nella mostra allestita a Valdocco per celebrare l’inizio del IV centenario dalla morte del Vescovo francese san Francesco di Sales, dottore della Chiesa, avvenuta a Lione il 28 dicembre 1622.

Il Vescovo di Ginevra fu scelto infatti da don Bosco come patrono della congregazione che fondò a Torino il 18 dicembre 1859, i Salesiani.

Torinese è l’autore del dipinto della locandina della mostra, custodito nel Museo, Enrico Reffo, fratello del servo di Dio Eugenio confondatore con san Leonardo Murialdo, amico di don Bosco, della Congregazione di San Giuseppe.

E poi, tra gli altri «pezzi nostrani» esposti, un ritratto del santo «in posa diretta» del 1618 prestato dal Monastero delle Visitandine di Moncalieri, ordine fondato da san Francesco e santa Giovanna de Chantal.

Ancora, un prezioso medaglione in osso di manifattura piemontese del 1613, ricordo coevo dell’ostensione della Sindone del 1613 e una pianeta originale del 1593, indossata dal santo e conservata presso il Santuario della Consolata.

«La vestì celebrando l’Eucaristia a Torino, pochi mesi prima della morte», ha spiegato don Cristian Besso, preside dell’Università Pontificia di Teologia di Torino e responsabile del progetto del Museo don Bosco, «ed è probabile che sia stata confezionata con tessuti della corte sabauda del Duca Carlo Emanuele I». La mostra «Francesco di Sales 400» si è inaugurata sabato 15 gennaio a Valdocco, Casa Madre dei Salesiani, alla presenza del Rettor Maggiore don Ángel Fernández Artime e con 12 mila persone collegate in streaming dai 134 Paesi dove sono presenti i fi gli e le fi glie di don Bosco. Un’occasione speciale per la 40ª edizione delle Giornate di Spiritualità della Famiglia Salesiana 2022, concluse domenica 16 nella Basilica di Maria Ausiliatrice e a pochi giorni dal 24 gennaio, festa liturgica di san Francesco di Sales. L’esposizione è allestita fi no al 15 gennaio 2023 nel Museo «Casa Don Bosco», aperto nell’ottobre 2020 e fortemente voluto dal Rettor Maggiore.

«Valdocco è lanterna per il mondo salesiano», ha sottolineato don Artime, «e il Museo è un sogno realizzato che ogni anno vuole offrire un’iniziativa speciale per approfondire il carisma salesiano che qui è nato 162 anni fa. Ecco allora la mostra su san Francesco di Sales, nostro patrono, fonte a cui don Bosco si è abbeverato e a cui si è ispirato nell’attenzione ai giovani più poveri, nella comunicazione della fede anche con i fratelli separati dalla Riforma nella Ginevra calvinista: noti sono i manifesti che affi ggeva ai muri della città e i foglietti che infi lava sotto le porte delle case. Per questo è anche patrono dei giornalisti».

Gli ha fatto eco l’Arcivescovo, mons. Cesare Nosiglia: «Ringrazio i salesiani per questo Museo e questa mostra che arricchisce non solo la nostra diocesi e la nostra città: san Francesco di Sales è un santo a me molto caro perché ha dedicato il suo ministero ai più bisognosi, un maestro devoto che ci indica la strada verso la perfezione, l’amore di Dio che si esprime della carità: visitare la mostra è fare un esame di coscienza che ci permette di guardare a questo santo che ha ispirato don Bosco a educare buoni cristiani e onesti cittadini. Un messaggio attuale ancora più oggi in questo tempo diffi cile di pandemia».

E del legame con la città ha parlato anche la direttrice dei Musei Reali di Torino, Enrica Pagella, che ha ricordato un altro ritratto di san Francesco di Sales dell’artista Pelagio Palagi (1775-1860), voluto da Re Carlo Alberto per aprire il pantheon dello Stato sabaudo in cui compaiono 54 fra ecclesiastici, scienziati, statisti e diplomatici dal Medioevo all’Età Moderna. La direttrice ha invitato a recarsi ad ammirare la tela a Palazzo Reale poiché non è possibile estrarla dalla grande cornice che il pittore realizzò per raccogliere quella galleria di ritratti. Una buona occasione per creare un itinerario culturale e spirituale fra il Museo salesiano e quello Sabaudo.

La mostra, ha aggiunto la curatrice Stefania De Vita, direttrice del Museo «Casa Don Bosco», accompagna il visitatore alla conoscenza della biografi a del santo, all’iconografi a «salesiana» nell’oratorio delle origini, e alle sorgenti della spiritualità e della pedagogia salesiana. Un «gigante rinascimentale molto attuale, san Francesco di Sales, modello per chi cerca Dio amico del cuore umano», come lo ha definito don Michael Pace, vicedirettore del Museo che ha condotto l’inaugurazione, «che coinvolge – sia per le sue origini familiari sia per la sua azione pastorale – una vasta comunità a cavallo tra la Francia e l’Italia, e da qui l’intera Chiesa».

Marina LOMUNNO

Appassionato apostolo dell’ecumenismo. L’eredità spirituale di don Stefano Rosso – L’Osservatore Romano

Il 15 aprile 2021 ci lasciava don Stefano Rosso, sacerdote salesiano della Comunità di Torino Crocetta: un qualificato studioso della Liturgia e dell’Ecumenismo, che ha saputo aiutare generazioni di studenti non solo ad approfondire lo studio della Liturgia ma soprattutto ad esprimerla nella propria vita. Sulla sua figura, è uscito un opuscolo redatto da don Marek Chrzan, direttore dell’Istituto internazionale Don Bosco di Torino-Crocetta. Di seguito l’articolo pubblicato su “L’Osservatore Romano” a cura di Donatella Coalova in merito al contenuto dell’opuscolo su don Rosso.

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Appassionato apostolo dell’ecumenismo

L’eredità spirituale del salesiano don Stefano Rosso

«Sapiente e prudente nel guardare allo scorrere dei giorni, ha insegnato ad amare la liturgia come cuore della vita. Consapevole della preziosa parola di Cristo Gesù: “Ut unum sint”, ha dedicato tempo ed energie per tessere feconde relazioni tra le Chiese e nel dialogo interreligioso».

Nell’immagine-ricordo, così i confratelli fanno memoria del sacerdote salesiano don Stefano Rosso (1931- 2021). Sulla sua figura di appassionato apostolo dell’ecumenismo e di insigne studioso è uscito un interessante opuscolo redatto da don Marek Chrzan, direttore dell’Istituto internazionale Don Bosco di Torino-Crocetta. Il testo narra le tappe salienti della vita di don Stefano e raccoglie numerose testimonianze scritte dagli amici che egli, col suo stile mite e gentile, col sorriso accogliente e il cuore umile, si era fatto non solo in ambito cattolico, ma anche fra gli ortodossi, i protestanti e gli ebrei.

Don Stefano Rosso nacque a Piovà Massaia (Asti) il 6 novembre 1931, in una casa piena di fede. Don Stefano ricordò sempre i suoi cari e nel suo Testamento spirituale scrisse: «Ringrazio Dio per la mia famiglia, mia madre Teresa e mio padre Mario Giuseppe, che mi hanno dato tanto, per mio fratello Marino e la sua famiglia, per la vicinanza e il sostegno».

La vocazione alla vita religiosa sbocciò molto presto. Entrato nel noviziato salesiano di Morzano (Biella), pronunciò i primi voti il 16 agosto 1950, e la professione perpetua il 28 luglio 1956, a Borgomanero. Dopo il post-noviziato a Foglizzo (Torino) e il tirocinio a Cavaglià (Biella) e a Novara, seguì gli studi teologici a Bollengo (Torino) dove venne ordinato presbitero il 1° luglio 1960. Proseguì gli studi teologici a Roma, presso il Pontificio Ateneo Sant’Anselmo, dove conseguì la licenza e poi la laurea in liturgia. Nell’anno 1973-74 gli venne affidato l’incarico di direttore della comunità degli studenti di teologia a Roma; successivamente venne mandato come animatore liturgico a Valdocco (Torino).

Dal 1976 don Stefano fu docente di liturgia e animatore liturgico allo studentato teologico della “Crocetta”, a Torino, nella casa dove per quattordici anni, dal 1949 fino alla morte, aveva insegnato il venerabile don Giuseppe Quadrio (1921-1963). Certamente don Stefano ha incarnato con la concretezza della sua vita queste due frasi che don Quadrio era solito ripetere:

«Non abbiamo nemici da combattere, ma fratelli da amare», «formati un carattere umano che possa essere un sacramento vivente della bontà del Signore Gesù».

Ricordando don Stefano, i suoi confratelli scrivono:

«Uomo mite e sereno, salesiano-sacerdote buono e paziente, grande lavoratore, ha aiutato generazioni di studenti non solo ad approfondire lo studio della liturgia, ma soprattutto ad esprimerla nella vita».

Con i suoi studi meticolosi ed approfonditi, don Stefano era un vero maestro, eppure sapeva stare vicino a ciascuno con uno stile umile e fraterno, semplice e schivo. Porgeva quasi sottovoce i suoi consigli, che pure erano sempre intelligenti e preziosi. Autore di numerosi articoli e di volumi in campo liturgico, ci lascia in particolare tre poderosi volumi sui riti orientali, di circa mille pagine ciascuno: La celebrazione della storia della salvezza nel rito bizantino, pubblicato nel 2010 dalla Libreria Editrice Vaticana; Il rito copto pubblicato da If Press nel 2016; Il rito siro-antiocheno pubblicato nel 2018 dalla Libreria Editrice Vaticana.

Per la Elledici fra l’altro scrisse Il segno del tempo nella liturgia. Anno liturgico e liturgia delle ore, di 496 pagine; Un popolo di sacerdoti. Introduzione alla liturgia, di 472 pagine. Con semplicità e verità nel suo Testamento spirituale scrisse:

«Non ho mai speso un “et” per fare carriera; né mi è mai piaciuto farmi avanti. Lo Spirito mi ha condotto ad amare la parola di Dio e, in conseguenza, a valutare le realtà cristiane alla luce di Cristo e del Vangelo, norma suprema sopra tutti e di tutto».

Nel 1993 entrò a far parte della Commissione per l’ecumenismo ed il dialogo della diocesi di Torino e nel 1998 fu nominato segretario della Commissione per l’ecumenismo ed il dialogo di Piemonte e Val d’Aosta. Don Andrea Pacini, che gli succedette nello stesso incarico nella Commissione regionale, attesta:

«Don Stefano è stato guida per noi, quale fondatore vivente, dell’ecumenismo della nostra diocesi. E ha saputo formare all’ecumenismo diverse generazioni di credenti soprattutto attraverso quei corsi di formazione ecumenica di alto livello che per tanti anni ha ideato, ha promosso e ci ha lasciato come preziosa eredità. Tutti questi corsi sono anche stati pubblicati in una collana delle Paoline».

L’asso ciazione dell’Amicizia ebraico-cristiana di Torino scrive:

«Don Stefano è sempre stato nel direttivo e ha apportato un contributo fondamentale con la collana dei Quaderni dell’Amicizia ebraico-cristiana da lui voluta insieme a Nedelia Tedeschi e seguita per lunghi anni. Don Stefano ha creduto con convinzione all’Amicizia ebraico-cristiana impegnandosi in prima persona nell’ambito della comunità salesiana di via Caboto e nell’incarico da lui ricoperto di responsabile dei corsi di formazione del personale destinato all’insegnamento religioso. Tanti sono i ricordi che ci portano a pensare a lui con riconoscenza per averlo avuto fra di noi».

Altrettanto sentite le testimonianze giunte da esponenti delle chiese ortodosse e protestanti. Fedele all’invito lasciato da don Bosco ai suoi figli — «Lavoro e temperanza» — don Stefano portò avanti il suo denso impegno intellettuale e la fitta rete di contatti ecumenici fino a quando le forze glielo permisero.

«Dilexi Ecclesiam», diceva.

Dopo un anno e mezzo trascorso con costante serenità e forza interiore nell’infermeria salesiana di Valdocco, venne portato nella casa di cura Monsignor Luigi Novarese di Moncrivello, ma vi rimase un giorno solo, perché il Signore lo chiamò a sé il 15 aprile 2021

“Creare alleanze educative” – Intervista a don Alberto Lagostina

La Vita Casalese di giovedì 20 gennaio riporta un’intervista a don Alberto Lagostina, direttore dell’Opera salesiana di Casale Monferrato. Di seguito l’articolo.

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Coordinatore del lavoro missionario dei salesiani e dei laici della parrocchia del Valentino
Creare alleanze educative
Chiacchierata con don Alberto Lagostina, direttore dell’Opera salesiana

CASALE – Pubblichiamo un’intervista a don Alberto Lagostina, direttore dell’Opera salesiana, giunto nella parrocchia del Valentino a settembre 2021.

Ti presenti?

Sono don Alberto Lagostina, ho 62 anni, sono di Gravellona Toce (Vb), Diocesi di Novara. Dopo aver vissuto intensamente gli anni giovanili nel mio Oratorio e nel cammino della Pastorale giovanile della diocesi, sono entrato tra i Salesiani di Don Bosco con i primi voti religiosi nel 1981. Qui a Casale ho il mandato di Direttore della Comunità religiosa dei salesiani, dell’Oratorio e sono Amministratore parrocchiale. In pratica sono chiamato a coordinare il lavoro missionario dei Salesiani e dei Laici corresponsabili di questo territorio.

Qual è stata la tua esperienza di salesiano sacerdote?

Sono stato ordinato sacerdote nel 1989 ad Alessandria e ho svolto la mia missione tra i giovani in diversi oratori del Piemonte, Biella, Alessandria, Novara, Torino Michele Rua, Asti, Torino San Paolo.

Ho insegnato per diversi anni religione nelle scuole statali in collegamento con la pastorale dell’oratorio e a contatto con minori in situazioni di disagio sociale, italiani e non.

A Torino ho assunto la responsabilità di superiore della comunità religiosa e, oltre all’attività pastorali ordinarie di un oratorio, ho condiviso il lavoro d’equipe con educatori professionali per la gestione di un Centro diurno aggregativo e di una Comunità per minori stranieri non accompagnati. Ringrazio il Signore del percorso vocazionale in cui mi ha condotto: ho incontrato tanti giovani generosi e altri più bisognosi di un sostegno nella vita. Tutti, giovani e adulti, mi hanno insegnato qualcosa.

Che ambiente hai trovato qui a Casale (criticità, risorse…)?

L’inserimento qui a Casale è stato facilitato dalla ricchezza dell’ambiente che ho trovato, molto in sintonia con le mie precedenti esperienze pastorali ed educative. Ho trovato una comunità cristiana composta da adulti e giovani che hanno interiorizzato il sistema preventivo di don Bosco: un cammino spirituale con un’attenzione privilegiata all’accompagnamento delle giovani generazioni e l’attenzione ai più poveri. E’ interessante raccogliere i frutti di un cammino centenario di una comunità che attraverso l’oratorio e la parrocchia ha consolidato una tradizione che si proietta nel futuro con l’accoglienza dei giovani di oggi, così come sono, per fare con loro un pezzo di strada.

Preziosa è l’esperienza di 25 anni di comunità residenziale per minori, di gruppo appartamento per i minori stranieri non accompagnati che ha intessuto un interessante rete con il territorio. Queste presenze vogliono essere per la nostra comunità un segno di accoglienza e di condivisione in un mondo che vive ondate di chiusura, muri, pregiudizi. Notevole è il lavoro di sostegno dei volontari della Caritas parrocchiale per tante famiglie bisognose, in collegamento con la Caritas diocesana.

Sono provocato positivamente dalla presenza di ragazzi in cortile dell’Oratorio e nei cammini formativi di ragazzi non battezzati o di altre religioni.

Rispetto al tema dell’educazione, secondo te, di cosa c’è più bisogno?

Più in generale ritengo che nel campo dell’educazione siano gli adulti ad essere disorientati. Figli di un mondo consumista, individualista e relativista, Il mondo variegato degli adulti dà segnali di difficoltà a dare orizzonti di ampio respiro e si trova spesso impreparato ad accompagnare i giovani nella loro crescita. La stessa riflessione della Chiesa vissuta nel Sinodo dei Vescovi sui giovani ha dovuto vivere un vero proprio capovolgimento di prospettiva. Si è passati da una domanda iniziale sul “Cosa deve fare la Chiesa per i giovani?” a “Come dobbiamo essere come Chiesa a fianco ai giovani?”. È quindi essenziale mettersi in discussione e verificare il modo di essere e di agire del mondo adulto ecclesiale.

Occorre mettersi in ascolto dei giovani: troppe volte noi adulti offriamo loro dei progetti preconfezionati o riversiamo su di loro un bagaglio di idee, di valori che sentiamo il dovere di comunicare, senza chiederci quale sia il loro vissuto, quali domande portano nel cuore e quali valori stanno vivendo. I giovani di oggi sono certamente cambiati e sono in continuo cambiamento rispetto al passato. Non abbiamo ancora realizzato quali cambiamenti antropologici stia portando l’evoluzione tecnologica dei mezzi di comunicazione (internet, social…)

I giovani sono, di fatto, portatori di valori che vanno riconosciuti e accolti, sono disponibili al dialogo e cercano adulti autorevoli che, con il loro vissuto coerente, siano disponibili a “perdere del tempo” con loro. Essi hanno bisogno di un vero e sano protagonismo, dove diventano, anche con fatica e sacrificio, costruttori di progetti che sentono significativi.

Hanno bisogno di uscire da sé per vivere esperienze di solidarietà. A noi adulti, oltre a diventare esperti di ascolto e capaci di lasciare il giusto spazio a loro, tocca costruire alleanze educative che testimoniano valori, fraternità e ricerca del bene comune, sia all’interno della comunità ecclesiale, sia nel rapporto con le altre agenzie che incontrano i giovani.

È una sfida che può essere affrontata solo con un’autentica spiritualità, un serio discernimento comunitario e un cammino sinodale a vari livelli.

Noi sacerdoti abbiamo il dovere di promuovere e accompagnare questo processo anche con attente azioni di governo che facilitino il percorso. s.d.

Francesco di Sales, il santo cui si ispirò don Bosco – Avvenire

Nella giornata di sabato 15 gennaio, all’interno delle Giornate di Spiritualità della Famiglia Salesiana, si è svolta l’inaugurazione della mostra dedicata a San Francesco di Sales presso il Museo Casa Don Bosco di Torino-Valdocco, in occasione del IV centenario dalla morte del Santo.

Di seguito l’articolo di Marina Lomunno pubblicato su “Avvenire” in merito all’evento.

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UNA MOSTRA A TORINO VALDOCCO

Francesco di Sales, il santo cui si ispirò don Bosco

Una mostra per celebrare l’inizio del IV centenario dalla morte di san Francesco di Sales (avvenuta a Lione il 28 dicembre 1622), il vescovo di Ginevra scelto da don Bosco come patrono della congregazione che fondò il 18 dicembre 1859. Si è inaugurata ieri a Valdocco, Casa Madre dei Salesiani, alla presenza del rettor maggiore lo spagnolo don Ángel Fernández Artime e con 12mila persone collegate in streaming dai 134 paesi dove sono presenti i figli e le figlie del santo dei giovani.

Un’occasione speciale, nella 40a edizione delle Giornate di spiritualità della famiglia salesiana sul tema “Fate tutto per amore, nulla per forza” che si conclude oggi nella Basilica di Maria Ausiliatrice.

La mostra si può visitare fino al 15 gennaio 2023 nel museo “Casa Don Bosco” (Informazioni su: museocasadonbosco.org), aperto nell’ottobre 2020 e fortemente voluto dal rettor maggiore.

«Valdocco è lanterna per il mondo salesiano – ha sottolineato don Artime – e il museo è un sogno realizzato che ogni anno vuole offrire un’iniziativa speciale per approfondire un aspetto del carisma salesiano nato qui 162 anni fa. Ecco allora l’omaggio a san Francesco di Sales, fonte a cui don Bosco si è abbeverato e ispirato nell’attenzione ai giovani più poveri, nella comunicazione della fe- de: noti sono i manifesti che affiggeva sui muri della città o i foglietti che infilava sotto le porte delle case: per questo è anche patrono dei giornalisti».

Gli ha fatto eco l’arcivescovo di Torino, Cesare Nosiglia:

«Ringrazio i salesiani per il museo che arricchisce Torino e la nostra diocesi. San Francesco di Sales è un santo a me molto caro perché ha dedicato il suo ministero ai più bisognosi: visitare la mostra è fare un esame di coscienza guardando a un santo che ha ispirato don Bosco a educare buoni cristiani e buoni cittadini. Un messaggio attuale ancora più oggi in questo tempo difficile di pandemia».

L’allestimento “Francesco di Sales 400”, come hanno spiegato Stefania De Vita, direttrice del museo, don Cristian Besso, preside dell’Università Pontificia Salesiana (Ups) sede di Torino e responsabile del progetto museologico ed Enrica Pagella, direttrice dei musei reali di Torino, accompagnano il visitatore alla conoscenza della vita del santo, all’iconografia “salesiana” nell’oratorio delle origini e alle sorgenti della pedagogia salesiana.

Tra i vari “pezzi” esposti un ritratto del santo del 1618, un paramento liturgico ricamato da santa Giovanna de Chantal (cofondatrice con san Francesco di Sales delle suore Visitandine), una lettera olografa e un prezioso medaglione del 1613, ricordo coevo dell’ostensione della Sindone del 1613.

Addetti panettiere-pasticcere e banconiere gastronomia: i corsi alla Cnos-Fap di Saluzzo

Il quotidiano della provincia di Cuneo TargatoCn.it dedica un articolo ai corsi di “Addetto panettiere-pasticcere e banconiere gastronomia” proposti dal Centro di Formazione Professionale di Saluzzo. Di seguito l’articolo pubblicato il 3 gennaio.

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Addetti panettiere-pasticcere e banconiere gastronomia: i corsi alla Cnos-Fap di Saluzzo

Tutti i percorsi indicati sono gratuiti perché finanziati da Regione Piemonte e Fondo Sociale Europeo

L’associazione CNOS FAP Regione Piemonte, (Centro nazionale opere Salesiane) rappresenta, con le sue 13 sedi in Piemonte (centinaia nel Mondo), la formazione professionale con lo spirito ed il metodo dei  Salesiani di Don Bosco. Il Centro di formazione professionale si trova in Palazzo Solaro, nel centro storico di Saluzzo, in via Griselda 8 con parte dei laboratori nel compresso “Ex Gianotti” di via Tapparelli, a poche decine di metri dalla sede principale. I locali sono accreditati sia per le attività di formazione che per l’orientamento e lo sportello dei servizi al lavoro. Gli adulti, che decidono di seguire un corso professionale da noi sono seguiti in tutte le fasi, fino alla ricerca  dell’inserimento lavorativo.

Per tutti viene erogata un’attività di orientamento iniziale, nella quale si visitano i laboratori e, coadiuvati dal personale del Centro, viene scelto il percorso più adatto; durante l’erogazione dei corsi viene data la possibilità di provare sul campo le competenze acquisite mediante una fase di stage in azienda: a qualifica ottenuta si potrà valutare e provare l’esperienza lavorativa che meglio si adatterà alle capacità e alle richieste del candidato, col supporto del nostro Sportello dei servizi al lavoro.

L’offerta formativa per adulti prevede i seguenti percorsi, in FASE di progettazione e successiva eventuale approvazione e finanziamento:

– Addetto panettiere pasticcere;  una figura che ha competenze nella preparazione di prodotti da forno nella sua interezza: panetteria, pasticceria secca e in crema, pizzeria e da quest’anno anche gelateria e cioccolateria. L’addetto potrà aiutare in laboratorio, nel confezionamento, al banco o compiere un primo passo verso una futura attività in proprio, iniziando con l’ottenimento della qualifica professionale;

– Addetto banconiere gastronomia; figura molto richiesta sia dalla piccola che dalla grande distribuzione. L’addetto imparerà a gestire il banco fresco (salumi, formaggi, prodotti di gastronomia), perfezionarsi nel marketing del prodotto preparato, ottenere competenze nella preparazione dei pasti con un consistente numero di ore in cucina.

Entrambi i percorsi, se frequentati con profitto almeno per 2/3 delle 600 ore previste, portano alla qualifica professionale, previo superamento dell’esame finale. Di queste 600 ore (circa 6 mesi di corso), 240 ore (un mese e mezzo) saranno di stage in azienda; il corso sarà in orario preserale/serale (17-17,30/22-22,30) ed il sabato mattina (8/12-13).

I corsi sono rivolti ad adulti maggiorenni, quindi dai 18 anni in su, ma senza un limite massimo d’età, prioritariamente per disoccupati o inoccupati, ma con la possibilità di inserire anche studenti o lavoratori che abbiano però o un’esperienza nel settore che consenta di ottenere crediti formativi o con un orario di lavoro che consenta la frequenza allo stage. E’ richiesta almeno la licenza media o il superamento delle prove che certifichino le competenze base se in assenza di titolo o con titolo estero non riconosciuto, ma sono ammessi anche candidati con titoli di studio superiore; per gli stranieri è richiesto almeno permesso di soggiorno in corso di validità.

Parte delle ore teoriche, per circa 80 ore saranno erogate in FAD/ a distanza, mentre per le ore in presenza sarà necessario essere muniti di Green Pass valido.

Tutti i percorsi indicati sono GRATUITI perché finanziati da Regione Piemonte e Fondo Sociale Europeo, per questo motivo, in ottica di raggiungimento degli obiettivi prefissati dagli Enti finanziatori saranno trattate in tutti i corsi le tematiche delle pari opportunità e della lotta alle discriminazioni, della sostenibilità ambientale e della digitalizzazione. In particolare la sede di Saluzzo, con gli altri partner del territorio, si impegna nel settore della sensibilizzazione ambientale, mediante la predisposizione di attività specifiche e con uno spirito pratico e laboratoriale che ci contraddistingue, così come fortemente richiesto in questo periodo storico.

Per avere informazioni sui corsi potete:

– telefonare al numero 0175/248285

– wapp al numero 3203575031

– mandare una mail a info.saluzzo@cnosfap.net 

– consultare i siti: cuneo.cnosfap.net/saluzzo e saluzzo.cnosfap.net

– Consultare la nostra pagina facebook Cnos Fap Salesiani Saluzzo

– pre-iscrivervi al seguente form: https://forms.gle/SHAViYJyABP7etH48

“Accaparlante”: il nuovo progetto per i 25 anni di Harambée

Nel 1996 nasceva la Comunità Harambée: un alloggio socio assistenziale per minori in situazioni di disagio, un’opera salesiana che prende vita dal progetto di un gruppo di educatori provenienti dall’Oratorio don Bosco di Casale Monferrato. In occasione di questo traguardo, nasce “Accaparlante“: il nuovo progetto per i 25 anni di Harambée presentato martedì 14 dicembre nei locali dell’oratorio del Valentino dal parroco don Alberto Lagostina. Di seguito le principali informazioni inerenti l’iniziativa riportate su CasaleNews e il rimando al sito ufficiale del progetto.

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“Accaparlante”: il nuovo progetto per i 25 anni di Harambée

Presentato il sito internet della Comunità dove le persone, anche molto diverse, possono incontrarsi per produrre informazione, dibattiti, inchieste ed eventi

Accaparlante” è il nome del nuovo progetto della comunità Harambée che festeggia il 25mo anno di attività – è stata fondata infatti nel 1996 con l’obiettivo di accogliere giovani in stato di bisogno; il nome è una parola swahili che in Rwanda significa “lavorare insieme, giovani anziani, per un risultato comune” – e che oggi, vuole aprirsi ad una rinnovata filosofia di valorizzazione sociale del territorio con la realizzazione di un sito internet (questo il link: https://accaparlante.com/),dove le persone, anche molto diverse, s’incontrano per produrre informazione, dibattiti, inchieste ed eventi.

Il progetto è stato presentato questa mattina, martedì 14 dicembre, nei locali dell’oratorio del Valentino, dal parroco don Alberto Lagostina (la parrocchia del Valentino è salesiana, così come la comunità Harambeè che è nata e si ispira ai valori salesiani) e da diversi educatori – Barbara, Milena, Franco – che ne hanno descritto storia e attività.

Alcuni numeri. In questi 25 anni da Harambée sono passati 156 ragazzi (tra gli 11 e i 18 anni) nella comunità educativa, 22 nel gruppo appartamento (una soluzione intermedia per far transitare i giovani verso una vita autonoma),15 nel centro diurno: ad assisterli si sono succeduti circa 60 educatori ed educatrici.

Attualmente gli educatori/educatrici sono 18, la comunità ospita 12 ragazzi, il gruppo appartamento 6, così come il centro diurno. Sono rappresentate diverse nazionalità.

“Gli ospiti – spiegano gli educatori – sono ragazzi che, a causa di un vissuto particolare, hanno necessità di essere allontani dalla famiglia e aiutati pian piano a crescere e diventare adulti, con un proprio lavoro, una propria abitazione e tutti gli strumenti necessari ad una vita autonoma”.

In questo contesto come si inquadra il progetto “Accaparlante”?

“È un nuovo progetto – spiegano dalla comunità – che evoca desideri, impegno, condivisione e talenti, in una dimensione che si sceglie per presentare nuove e diverse prospettive, attraverso una piattaforma dove ognuno ha qualcosa da raccontare. Insieme, per coltivare idee, raccogliere sfide, nutrire nuove concezioni e incrementare possibili alternative”.

“Accaparlante è anche e soprattutto condivisione; piani di lavoro che si incontrano per un viaggio “dietro e dentro le quinte” della quotidianità di mondi differenti, originali, giovani, con destinazioni alternative e per rendere protagoniste persone che non lo sono ancora, non lo sono mai state o che vengono spesso, non considerate “all’altezza”.

“Attraverso la sinergia delle diverse realtà, degli operatori e dei ragazzi che, raccolti sotto un unico “cappello” organizzativo operano per raccontarsi e per raccontare facendosi “cronisti” di un’idea, un modo, una necessità, creando un circuito che, con la forza del numero dei partecipanti, lo fa conoscere mediaticamente affinché diventi una reale, completa alternativa di sviluppo sociale”.

“Un mezzo per dare voce ai fatti, alle iniziative, alle opinioni e alle testimonianze che accadono ma che spesso non diventano “notizie”. Un mondo vasto e plurale che decide di “farsi” media e partecipare all’impegno – sociale e civile – di fare comunicazione sociale”.

Châtillon: “Alla scuola di Don Bosco si impara l’educazione alla solidarietà” – AostaCronaca

In queste giornate antecedenti il Natale, i ragazzi della scuola media dell’Istituto orfanotrofio salesiano Don Bosco di Châtillon si sono dedicati a dei lavoretti manuali per la produzione di oggetti natalizi per poter inviare il ricavato della vendita ai ragazzi dell’Oratorio di Aleppo. Di seguito un estratto dell’articolo pubblicato sul quotidiano online AostaCronaca.

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L’Istituto orfanotrofio salesiano Don Bosco di Châtillon educa i ragazzi all’attenzione verso il prossimo, in modo particolare quello più bisognoso. Per far crescere questa sensibilità i ragazzi dell’Istituto Don Bosco si sono gemellati con l’oratorio salesiano di Aleppo (Siria).

“Ricordatevi che l’educazione è cosa del cuore, e che Dio solo ne è padrone, e noi non potremo riuscire a cosa alcuna, se Dio non ce ne insegna l’arte, e non ce ne mette in mano le chiavi” – San Giovanni Bosco

Alla scuola di Don Bosco, non solo a Châtillon ma in tutti i 133 paesi dove sono presenti i Salesiani, si impara ad allargare gli orizzonti, ad uscire dalle mura delle aule per arrivare fino a confini sconosciuti, a persone sconosciute.

Gemellaggio con l’Aleppo

L’Istituto orfanotrofio salesiano Don Bosco di Châtillon educa i ragazzi all’attenzione verso il prossimo, in modo particolare quello più bisognoso. Per far crescere questa sensibilità i ragazzi dell’Istituto Don Bosco si sono gemellati con l’oratorio salesiano di Aleppo (Siria).

I ragazzi hanno accolto volentieri questa proposta. Sono stati vissuti dei momenti di presentazione, informazione e formazione per poter aiutare i ragazzi a vivere, apprezzare e curare il bene che hanno e allo stesso tempo a condividere con chi non ne ha o ha di meno. Don Gauri Dani Sdb, il responsabile dell’oratorio di Aleppo si è collegato in videoconferenza, tramite la piattaforma Google Meet, sia con i ragazzi di tutto l’istituto sia con i loro genitori presentando la realtà politica, sociale e salesiana di Aleppo.

La città di Aleppo ha subito la guerra per diversi anni (10 anni). Quello che era un vissuto popolare pacifico sull’onda della primavera araba si è progressivamente trasformato, a causa di pressioni esterne , in un conflitto di cui i siriani, dopo dieci anni, faticano a comprendere le reali motivazioni.

L’oratorio salesiano di Aleppo

I salesiani sono presenti da ormai più di 70 anni e svolgono attività educative-pastorali esterne nella scuola statale, in quella greco-cattolica e nella parrocchia greco-cattolica, internamente nell’oratorio ed un’attività produttiva legata alla tipografia.

I ragazzi che frequentano l’oratorio sono circa un migliaio, tutti cristiani, seppur di diverse confessioni religiose e riti, ci sono i greco-cattolici, i greco-ortodossi, i siro-cattolici, i siro-ortodossi, i maroniti, i caldei, i protestanti e i cattolici di rito romano.

L’oratorio salesiano di Aleppo accoglie quotidianamente un centinaio di ragazzi per il dopo-scuola, 40 animatori e settimanalmente 70 universitari. In estate, l’oratorio si riempie di ragazzi: arrivano anche ad un migliaio per il centro estivo. Il dopo-scuola è un’attività rimasta sempre aperta durante la guerra perchè risponde ad un bisogno molto serio dei ragazzi: quello di poter studiare in un luogo sicuro. I Salesiani aprono le sale dell’oratorio proprio per accogliere questi ragazzi, che, a causa della guerra, vivono la mancanza di luce e d’acqua, e creano le condizioni sicure perché i ragazzi possano dedicare del tempo allo studio in tranquillità.

Gruppi missionari

Sono stati proposti dei gruppi di lavoro manuale per la produzione di oggetti natalizi da poter vendere per inviare il ricavato ai ragazzi di Aleppo. I ragazzi della scuola media e del convitto sono stati protagonisti di questo progetto: loro non solo hanno messo a disposizione il loro tempo, i loro talenti, ma anche il loro cuore che ha portato i suoi frutti. Con tutto il materiale prodotto e tanti altri oggetti offerti da benefattori sono stati allestisti dei banchetti alla Sagra del miele e al Marché de Noël di Châtillon, al mercatino di Natale di Montjovet e di Donnas. Gli oggetti fatti dai ragazzi sono andati a ruba, non solo, per la loro bellezza e l’esteticità ma anche per l’obiettivo finale della vendita.

Gioco di Solidiarietà

Uno dei giochi tradizionali che si fa in famiglia durante le feste natalizie è certamente la tombola. Rifacendosi a questa bella tradizione ai ragazzi della Scuola media e del biennio dell’Istituto professionale è stata proposta una “Tombola missionaria” sempre a favore dei ragazzi di Aleppo. Mentre ai ragazzi del triennio dell’Istituto professionale è stata proposta una sottoscrizione a premi che sarà vissuta anche dai ragazzi del CNOS nel mese di Gennaio in preparazione alla festa di Don Bosco. Tutti i premi sono stati regalati da varie persone di buona volontà.

Dando si riceve

Il Natale è la festa di tenerezza, sì la tenerezza di Dio che ci coccola con il dono del suo unico figlio Gesù, il mistero di Natale ci invita anche al dono di sé nella nostra quotidianità soprattutto, a chi ha bisogno della nostra vicinanza. I nostri ragazzi, direi che, hanno vissuto in qualche modo questo dono di sé, donando il loro tempo libero, i loro talenti, la loro creatività e la loro attenzione. Non solo i nostri ragazzi ma, tante altre persone in qualche modo hanno donato qualcosa di loro per esprimere la loro vicinanza ai ragazzi di Aleppo. Vorrei elencare le persone, per dire semplicemente un sentito “GRAZIE” per quello che è stato dato, a nome della Comunità Salesiana, della Comunità Educativa e degli allievi del Don Bosco di Châtillon…

Italia – Campus AgriCultura Lombriasco: l’Agricoltura 4.0 che fa Scuola

Dal sito dell’agenzia ANS.

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(ANS – Lombriasco) – Le nuove tecniche produttive, la sostenibilità ambientale e l’innovazione in agricoltura sono gli ingredienti fondamenti del nuovo incubatore formativo dedicato agli studenti della Scuola Agraria Salesiana in Italia e nel mondo.

Il progetto della Scuola Agraria Salesiana di Lombriasco e di “Net4Grow” è nato con il nuovo anno scolastico 2021/22, grazie alla collaborazione tra docenti dell’Istituto, allevatori, produttori, ricercatori e tecnici del settore agrario, i quali hanno deciso di definire unitamente un metodo per la salvaguardia di colture, animali e ambiente.

“Net4Grow” per la Scuola Agraria Salesiana di Lombriasco in Italia e la rete di Scuole Agrarie Salesiane nel mondo, intende fare da incubatore formativo tecnico-scientifico e sulla prova in campo per i progetti dedicati al mondo dell’agricoltura, dello sviluppo sostenibile e dell’Economia Verde e Circolare.

Il Campus AgriCultura Lombriasco si trova presso la Scuola Agraria Salesiana di Lombriasco e vanta una serie di strutture destinate ad aree sperimentali per la parte didattica (agricoltura ed allevamenti), laboratorio per la ricerca, circa 12 ettari per la parte produttiva, aule per la formazione frontale ed a distanza, sale riunioni, Auditorium per Congressi e Seminari, oltre alla foresteria per ospitare studenti e visitatori.

“L’obiettivo – commenta il Direttore dei Progetti innovativi in Agricoltura di Net4Grow Daniel Ormeno – è che ogni Scuola Agraria Salesiana nel mondo possa applicare il Format completo seguendo il Concept e l’esperienza vissuta e collaudata a Lombriasco, incubatore di progetti”.

In questo modo le scuole potranno condividere diversi aspetti formativi con i tecnici e lo staff di certificatori di Lombriasco, per seguire metodologie e disciplinari già sperimentati positivamente, fare ricerca e sviluppo sulle colture ed allevamenti locali, indagare su cosa accade nel proprio sottosuolo e affrontare le tematiche ambientali in continuo mutamento.

Il progetto Campus AgriCultura Lombriasco si propone di rispondere alla necessità di migliorare l’efficienza, l’efficacia dei processi produttivi, nonché la competitività sui mercati (anche esteri) di sette filiere agroalimentari di eccellenza della Regione Piemonte – agricoltura (mais, cereali e luppoli) e allevamenti (Bovini, Avicoli, Api e Chiocciole) – attraverso i prototipi di sistemi altamente innovativi in cui confluiscono sia il miglioramento della qualità, che il suo riconoscimento, genetico e ambientale, in relazione alla provenienza.

Su quest’ultimo punto si fa riferimento alla valorizzazione dei percorsi sensibili alla biodiversità come alla tutela e riqualificazione del patrimonio rurale di ciascuna area geografica.

L’efficacia delle innovazioni sarà garantita attraverso lo sviluppo di un Brand Campus AgriCultura Lombriasco, i cui prodotti presenteranno caratteristiche innovative rispetto al mercato attuale, e dall’adozione di piattaforme tecnologiche che rispondano alle qualità del progetto e dei prodotti, principalmente in un’ottica di sviluppo integrato di filiera.

Il progetto “Agricoltura per la Vita” nasce da Net4Grow – Scuola Agraria Salesiana Lombriasco (Italia) con l’obiettivo di proporre alle Scuole Agrarie Salesiane della rete mondiale, un tipo di agricoltura fondamentale per dare a tutti l’opportunità di generare nuove attività in ambito agricolo mirato alla sostenibilità produttive, all’ambiente ed a colmare la prima necessità di produrre cibo sano per la sussistenza dell’uomo.

L’Agricoltura Sostenibile è un sistema di produzione agroalimentare che mira al ripristino, mantenimento, miglioramento della biodiversità e funzionalità microbica dei suoli e all’aumento della resilienza degli agro-ecosistemi attraverso dei microorganismi dei suoli. L’Agricoltura Sociale per l’ambiente valorizza e arricchisce gli elementi naturali nel suolo, negli allevamenti, nel cibo e di conseguenza la salute e il benessere dell’uomo.

Con questo sistema, le aziende agricole, da semplici fornitrici di materie prime e in balia di un mercato meno remunerativo, possono diventare fornitrici di servizi, con un impegno diretto nella tutela del territorio, dell’aria, dell’acqua e del suolo, comunicabile al consumatore finale, valorizzando le proprie produzioni sia economicamente sia qualitativamente.

L’agricoltura 4.0 deve mirare ad una lettura di dati presenti nel sottosuolo per migliorare le produzioni, prevenire le variazioni dell’ecosistema e portare ad una riconquista sociale dell’agricoltore attraverso le conoscenze tecnico-scientifiche.