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Lettera del Papa a quattro studentesse del Liceo Don Bosco di Borgomanero

Notizia a cura dei salesiani di Borgomanero.

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Emma Scilironi, Alessandra Carrera, Matilde Gioria e Chiara Maria Calabrese sono quattro studentesse del secondo anno del Liceo Don Bosco di Borgomanero (Classico ed Economico Sociale) che hanno scritto al Santo Padre riguardo alla povertà infantile in Europa e alle Sue esperienze a riguardo, dell’ambito del progetto didattico su queste tematiche coordinato dal professor Alessandro Salbego.

“Papa Francesco ci ha commosso con la Sua lettera, poiché tutto il Collegio Don Bosco di Borgomanero ha ricevuto una benedizione diretta: inoltre, siamo onorate di aver ricevuto due cartoline devozionali per ognuna di noi in segno di ringraziamento. Abbiamo voluto incorniciare la lettera originale nell’ufficio del direttore Giovanni Campagnoli e della preside Emanuela Negri, per sottolineare la sua importanza.

è quanto affermano le studentesse. È possibile leggere la risposta del Papa di seguito:

 

 

Messaggio del Santo Padre Francesco per la 97ª Giornata Missionaria Mondiale 2023

Dal sito della Santa Sede.

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Cuori ardenti, piedi in cammino (cfr Lc 24,13-35)

Cari fratelli e sorelle!

Per la Giornata Missionaria Mondiale di quest’anno ho scelto un tema che prende spunto dal racconto dei discepoli di Emmaus, nel Vangelo di Luca (cfr 24,13-35): «Cuori ardenti, piedi in cammino».

Quei due discepoli erano confusi e delusi, ma l’incontro con Cristo nella Parola e nel Pane spezzato accese in loro l’entusiasmo per rimettersi in cammino verso Gerusalemme e annunciare che il Signore era veramente risorto. Nel racconto evangelico, cogliamo la trasformazione dei discepoli da alcune immagini suggestive: cuori ardenti per le Scritture spiegate da Gesù, occhi aperti nel riconoscerlo e, come culmine, piedi in cammino. Meditando su questi tre aspetti, che delineano l’itinerario dei discepoli missionari, possiamo rinnovare il nostro zelo per l’evangelizzazione nel mondo odierno.

1. Cuori ardenti «quando ci spiegava le Scritture». La Parola di Dio illumina e trasforma il cuore nella missione.

Sulla via da Gerusalemme a Emmaus, i cuori dei due discepoli erano tristi – come traspariva dai loro volti – a causa della morte di Gesù, nel quale avevano creduto (cfr v. 17). Di fronte al fallimento del Maestro crocifisso, la loro speranza che fosse Lui il Messia è crollata (cfr v. 21).

Ed ecco, «mentre conversavano e discutevano insieme, Gesù in persona si avvicinò e camminava con loro» (v. 15). Come all’inizio della vocazione dei discepoli, anche ora nel momento del loro smarrimento, il Signore prende l’iniziativa di avvicinarsi ai suoi e camminare al loro fianco. Nella sua grande misericordia, Egli non si stanca mai di stare con noi, malgrado i nostri difetti, i dubbi, le debolezze, nonostante la tristezza e il pessimismo ci inducano a diventare «stolti e lenti di cuore» (v. 25), gente di poca fede.

Oggi come allora, il Signore risorto è vicino ai suoi discepoli missionari e cammina accanto a loro, specialmente quando si sentono smarriti, scoraggiati, impauriti di fronte al mistero dell’iniquità che li circonda e li vuole soffocare. Perciò, «non lasciamoci rubare la speranza!» (Esort. ap. Evangelii gaudium, 86). Il Signore è più grande dei nostri problemi, soprattutto quando li incontriamo nell’annunciare il Vangelo al mondo, perché questa missione, in fin dei conti, è sua e noi siamo semplicemente i suoi umili collaboratori, “servi inutili” (cfr Lc 17,10).

Esprimo la mia vicinanza in Cristo a tutti i missionari e le missionarie nel mondo, in particolare a coloro che attraversano un momento difficile: il Signore risorto, carissimi, è sempre con voi e vede la vostra generosità e i vostri sacrifici per la missione di evangelizzazione in luoghi lontani. Non tutti i giorni della vita sono pieni di sole, ma ricordiamoci sempre delle parole del Signore Gesù ai suoi amici prima della passione: «Nel mondo avete tribolazioni, ma abbiate coraggio: io ho vinto il mondo!» (Gv 16,33).

Dopo aver ascoltato i due discepoli sulla strada per Emmaus, Gesù risorto «cominciando da Mosè e da tutti i profeti, spiegò loro in tutte le Scritture ciò che si riferiva a lui» (Lc 24,27). E i cuori dei discepoli si riscaldarono, come alla fine si confideranno l’un l’altro: «Non ardeva forse in noi il nostro cuore mentre egli conversava con noi lungo la via, quando ci spiegava le Scritture?» (v. 32). Gesù infatti è la Parola vivente, che sola può far ardere, illuminare e trasformare il cuore.

Così comprendiamo meglio l’affermazione di San Girolamo: «Ignorare le Scritture è ignorare Cristo» (In Is., Prologo). «Senza il Signore che ci introduce è impossibile comprendere in profondità la Sacra Scrittura, ma è altrettanto vero il contrario: senza la Sacra Scrittura restano indecifrabili gli eventi della missione di Gesù e della sua Chiesa nel mondo» (Lett. ap. M.P. Aperuit illis, 1). Perciò, la conoscenza della Scrittura è importante per la vita del cristiano, e ancora di più per l’annuncio di Cristo e del suo Vangelo. Altrimenti, che cosa si trasmette agli altri se non le proprie idee e i propri progetti? E un cuore freddo, potrà mai far ardere quello degli altri?

Lasciamoci dunque sempre accompagnare dal Signore risorto che ci spiega il senso delle Scritture. Lasciamo che Egli faccia ardere il nostro cuore, ci illumini e ci trasformi, affinché possiamo annunciare al mondo il suo mistero di salvezza con la potenza e la sapienza che vengono dal suo Spirito.

2. Occhi che «si aprirono e lo riconobbero» nello spezzare il pane. Gesù nell’Eucaristia è culmine e fonte della missione.

I cuori ardenti per la Parola di Dio spinsero i discepoli di Emmaus a chiedere al misterioso Viandante di restare con loro sul far della sera. E, intorno alla mensa, i loro occhi si aprirono e lo riconobbero quando Lui spezzò il pane. L’elemento decisivo che apre gli occhi dei discepoli è la sequenza delle azioni compiute da Gesù: prendere il pane, benedirlo, spezzarlo e darlo a loro. Sono gesti ordinari di un capofamiglia ebreo, ma, compiuti da Gesù Cristo con la grazia dello Spirito Santo, rinnovano per i due commensali il segno della moltiplicazione dei pani e soprattutto quello dell’Eucaristia, sacramento del Sacrificio della croce. Ma proprio nel momento in cui riconoscono Gesù in Colui-che-spezza-il-pane, «egli sparì dalla loro vista» (Lc 24,31). Questo fatto fa capire una realtà essenziale della nostra fede: Cristo che spezza il pane diventa ora il Pane spezzato, condiviso con i discepoli e quindi consumato da loro. È diventato invisibile, perché è entrato ora dentro i cuori dei discepoli per farli ardere ancora di più, spingendoli a riprendere il cammino senza indugio per comunicare a tutti l’esperienza unica dell’incontro con il Risorto! Così Cristo risorto è Colui-che-spezza-il-pane e al contempo è il Pane-spezzato-per-noi. E dunque ogni discepolo missionario è chiamato a diventare, come Gesù e in Lui, grazie all’azione dello Spirito Santo, colui-che-spezza-il-pane e colui-che-è-pane-spezzato per il mondo.

A questo proposito, occorre ricordare che un semplice spezzare il pane materiale con gli affamati nel nome di Cristo è già un atto cristiano missionario. Tanto più lo spezzare il Pane eucaristico che è Cristo stesso è l’azione missionaria per eccellenza, perché l’Eucaristia è fonte e culmine della vita e della missione della Chiesa.

Lo ha ricordato il Papa Benedetto XVI: «Non possiamo tenere per noi l’amore che celebriamo nel Sacramento [dell’Eucaristia]. Esso chiede per sua natura di essere comunicato a tutti. Ciò di cui il mondo ha bisogno è l’amore di Dio, è incontrare Cristo e credere in Lui. Per questo l’Eucaristia non è solo fonte e culmine della vita della Chiesa; lo è anche della sua missione: “Una Chiesa autenticamente eucaristica è una Chiesa missionaria”» (Esort. ap. Sacramentum caritatis, 84).

Per portare frutto dobbiamo restare uniti a Lui (cfr Gv 15,4-9). E questa unione si realizza attraverso la preghiera quotidiana, in particolare nell’adorazione, nel rimanere in silenzio alla presenza del Signore, che rimane con noi nell’Eucaristia. Coltivando con amore questa comunione con Cristo, il discepolo missionario può diventare un mistico in azione. Che il nostro cuore brami sempre la compagnia di Gesù, sospirando l’ardente richiesta dei due di Emmaus, soprattutto quando si fa sera: “Resta con noi, Signore!” (cfr Lc 24,29).

3. Piedi in cammino, con la gioia di raccontare il Cristo Risorto. L’eterna giovinezza di una Chiesa sempre in uscita.

Dopo aver aperto gli occhi, riconoscendo Gesù nello «spezzare il pane», i discepoli «partirono senza indugio e fecero ritorno a Gerusalemme» (cfr Lc 24,33). Questo andare in fretta, per condividere con gli altri la gioia dell’incontro con il Signore, manifesta che «la gioia del Vangelo riempie il cuore e la vita intera di coloro che si incontrano con Gesù. Coloro che si lasciano salvare da Lui sono liberati dal peccato, dalla tristezza, dal vuoto interiore, dall’isolamento. Con Gesù Cristo sempre nasce e rinasce la gioia» (Esort. ap. Evangelii gaudium, 1). Non si può incontrare davvero Gesù risorto senza essere infiammati dal desiderio di dirlo a tutti. Perciò, la prima e principale risorsa della missione sono coloro che hanno riconosciuto Cristo risorto, nelle Scritture e nell’Eucaristia, e che portano nel cuore il suo fuoco e nello sguardo la sua luce. Costoro possono testimoniare la vita che non muore mai, anche nelle situazioni più difficili e nei momenti più bui.

L’immagine dei “piedi in cammino” ci ricorda ancora una volta la perenne validità della missio ad gentes, la missione data alla Chiesa dal Signore risorto di evangelizzare ogni persona e ogni popolo sino ai confini della terra. Oggi più che mai l’umanità, ferita da tante ingiustizie, divisioni e guerre, ha bisogno della Buona Notizia della pace e della salvezza in Cristo. Colgo pertanto questa occasione per ribadire che «tutti hanno il diritto di ricevere il Vangelo. I cristiani hanno il dovere di annunciarlo senza escludere nessuno, non come chi impone un nuovo obbligo, bensì come chi condivide una gioia, segnala un orizzonte bello, offre un banchetto desiderabile» (ibid., 14). La conversione missionaria rimane l’obiettivo principale che dobbiamo proporci come singoli e come comunità, perché «l’azione missionaria è il paradigma di ogni opera della Chiesa» (ibid., 15).

Come afferma l’apostolo Paolo, l’amore di Cristo ci avvince e ci spinge (cfr 2 Cor 5,14). Si tratta qui del duplice amore: quello di Cristo per noi che richiama, ispira e suscita il nostro amore per Lui. Ed è questo amore che rende sempre giovane la Chiesa in uscita, con tutti i suoi membri in missione per annunciare il Vangelo di Cristo, convinti che «Egli è morto per tutti, perché quelli che vivono non vivano più per sé stessi, ma per colui che è morto e risorto per loro» (v. 15). A questo movimento missionario tutti possono contribuire: con la preghiera e l’azione, con offerte di denaro e di sofferenze, con la propria testimonianza. Le Pontificie Opere Missionarie sono lo strumento privilegiato per favorire questa cooperazione missionaria a livello spirituale e materiale. Per questo la raccolta di offerte della Giornata Missionaria Mondiale è dedicata alla Pontificia Opera della Propagazione della Fede.

L’urgenza dell’azione missionaria della Chiesa comporta naturalmente una cooperazione missionaria sempre più stretta di tutti i suoi membri ad ogni livello. Questo è un obiettivo essenziale del percorso sinodale che la Chiesa sta compiendo con le parole-chiave comunione, partecipazione, missione. Tale percorso non è sicuramente un piegarsi della Chiesa su sé stessa; non è un processo di sondaggio popolare per decidere, come in un parlamento, che cosa bisogna credere e praticare o no secondo le preferenze umane. È piuttosto un mettersi in cammino come i discepoli di Emmaus, ascoltando il Signore Risorto che sempre viene in mezzo a noi per spiegarci il senso delle Scritture e spezzare il Pane per noi, affinché possiamo portare avanti con la forza dello Spirito Santo la sua missione nel mondo.

Come quei due discepoli narrarono agli altri ciò che era accaduto lungo la via (cfr Lc 24,35), così anche il nostro annuncio sarà un raccontare gioioso il Cristo Signore, la sua vita, la sua passione, morte e risurrezione, le meraviglie che il suo amore ha compiuto nella nostra vita.

Ripartiamo dunque anche noi, illuminati dall’incontro con il Risorto e animati dal suo Spirito. Ripartiamo con cuori ardenti, occhi aperti, piedi in cammino, per far ardere altri cuori con la Parola di Dio, aprire altri occhi a Gesù Eucaristia, e invitare tutti a camminare insieme sulla via della pace e della salvezza che Dio in Cristo ha donato all’umanità.

Santa Maria del cammino, Madre dei discepoli missionari di Cristo e Regina delle missioni, prega per noi!

Roma, San Giovanni in Laterano, 6 gennaio 2023, Solennità dell’Epifania del Signore. 

FRANCESCO

Giugno 2021: 60 anni fa la prima pietra del Tempio di don Bosco

I salesiani ricordano che nel Giugno di 60 anni ci fu la posa della prima pietra del Tempio “don Bosco”, benedetta dall’arcivescovo di Torino cardinale Maurilio Fossati e collocata sessant’anni fa, l’11 giugno 1961, nel luogo dove oggi sorge la Basilica di San Giovanni Bosco. Di seguito la notizia pubblicata su “Il Torinese“.

Quasi 30.000 fedeli accolsero festosamente il Papa polacco al Colle don Bosco il 3 settembre 1988, nell’anno del primo centenario della morte di don Bosco. Una giornata indimenticabile per i luoghi in cui nacque il Santo dei giovani, per la grande comunità salesiana e per tutti i cattolici.

Da allora la visita di Giovanni Paolo II viene ricordata sotto il porticato di fianco all’immensa cattedrale con imponenti pannelli fotografici che illustrano la visita del Papa diventato San Giovanni Paolo II.

Una folla eccezionale si strinse quel giorno di 33 anni fa attorno a uno dei pontefici più amati e popolari di sempre. Karol Wojtyla celebrò la messa nel piazzale della chiesa ed entrò nella casa in cui Giovannino Bosco nacque il 16 agosto 1815. Oggi è di nuovo grande festa per i salesiani che ricordano la posa della prima pietra del Tempio “don Bosco”, benedetta dall’arcivescovo di Torino cardinale Maurilio Fossati e collocata sessant’anni fa, l’11 giugno 1961, nel luogo dove oggi sorge la mastodontica Basilica di San Giovanni Bosco nelle campagne di Castelnuovo tra colline, vigneti e noccioleti.

La pietra non proveniva dalle cave ma dalla basilica torinese di Maria Ausiliatrice dove serviva da basamento al quadro della Madonna.

La basilica di San Giovanni Bosco, alta 26 metri, fu costruita nella borgata Becchi del Colle don Bosco tra il 1961 e il 1966 dove sorgeva la cascina Biglione in cui nacque don Bosco e dove il padre faceva il contadino. Al Colle i salesiani investono da sempre nel futuro dei giovani.

Un centro di formazione professionale con aule e laboratori per attività tecniche, informatiche e arti grafiche ospita centinaia di ragazzi che praticano anche attività sportive.

Nell’area del santuario è presente un Museo etnologico missionario che contiene reperti etnografici provenienti da ogni parte del mondo.

Fece scalpore il 2 giugno 2017 la notizia del trafugamento dalla basilica dell’urna contenente il cervello di don Bosco. La reliquia fu ritrovata quindici giorni dopo e ricollocata al suo posto.

Amici di Don Bosco onlus: l’augurio di don Domenico Ricca ai papà sulle orme di don Bosco

Don Domenico Ricca, presidente dell’Associazione Amici di don Bosco, porge suoi auguri a tutti i papà in occasione della festa del 19 marzo, San Giuseppe. Di seguito il messaggio di auguri pubblicato sul sito dell’associazione.

L’AUGURIO DI DON DOMENICO RICCA AI PAPÀ SULLE ORME DI DON BOSCO

San Giuseppe, festa del papà, da non relegare a puro evento commerciale. Per noi, Amici di Don Bosco, si intreccia con altre parole, nomi, situazioni di vita, tanti legami, memorie.

Se faccio un po’ d’ordine, non dimentico che il 31 gennaio 1988 Giovanni Paolo II dichiarò don Bosco «padre e maestro della gioventù».
Don Bosco padre. Per chi ne fosse digiuno alcuni tratti della sua biografia familiare: Giovanni Bosco nacque il 16 agosto 1815 in una modesta cascina dove ora sorge la Basilica di Don Bosco, nella frazione collinare I Becchi di Castelnuovo d’Asti, oggi Castelnuovo Don Bosco), figlio dei contadini Francesco Bosco e Margherita Occhiena. Il padre, nel 1811, era rimasto vedovo della prima moglie Margherita Cagliero, dalla quale aveva avuto due figli: Antonio e Teresa Maria, morta nel 1810 due giorni dopo la nascita; da Margherita Occhiena, prima di Giovanni, aveva avuto Giuseppe. Quando Giovanni aveva soltanto due anni, il padre contrasse una grave polmonite che lo condusse alla morte l’11 maggio 1817, a soli 33 anni. Francesco Bosco lasciò così la moglie Margherita vedova con tre figli da accudire, Antonio, Giuseppe e Giovanni. Furono anni molto difficili per mamma Margherita; molta gente morì a causa della fame e delle epidemie.

Questa storia di difficoltà e di stenti segnò profondamente la vita di Giovannino, che crebbe con una voglia di famiglia come di un sogno proibito, e con una squisita sensibilità verso quei ragazzi “senza famiglia” che la Provvidenza gli avrebbe messo sulla sua strada, e che ancora più lui si sarebbe andato a cercare: i “ragazzi poveri, pericolanti e discoli”, come usa chiamarli Papa Francesco “quelli che abitano le periferie esistenziali del mondo”. Una voglia di famiglia da trapiantare a Valdocco, chiedendo così un immenso sacrificio a Mamma Margherita. È noto che quando nel 1846 don Bosco si ammala gravemente sale ai Becchi per una lunga convalescenza: madre e figlio si ritrovano così nell’intimità. Al termine, Don Bosco, guarito, chiede a Mamma Margherita di seguirlo a Valdocco e la mamma risponde così: “Se credi che questa sia la volontà del Signore, sono pronta a venire”. E così il 3 novembre 1846, madre e figlio lasciarono la dolce collina, a piedi, fino a Torino.

Don Bosco capì che la famiglia a Valdocco andava ricostituita a tutti i costi per quei ragazzi “senza famiglia”. Era lui il padre, i suoi chierici i fratelli maggiori e poi le tante mamme presenti a Valdocco come aiutanti, quelle che davano il sapore concreto e visivo dell’essere “casa”, non istituto.
Ma il mosaico si ricompone, perché Don Bosco fu profondamente devoto di San Giuseppe: a lui affidò i suoi studenti; in suo onore fece erigere una “Compagnia degli artigiani” per aggregare i giovani lavoratori che frequentavano gli ambienti salesiani; a lui faceva riferimento per ottenere e far ottenere la grazia di una buona morte. Mettersi sotto la sua protezione, nel pensiero salesiano, non è semplicemente pronunciare una qualche formula di consacrazione a un santo. È molto di più: è rispondere positivamente alla vocazione insita in ogni salesiano a essere padre dei ragazzi che incontra.

Lascio alla fantasia dei papà adottivi l’elaborazione di opportuni collegamenti e in chiusura concludo con un pezzo di un’intervista al dott. Starita, Vicepresidente della Commissione Adozioni Internazionali, pubblicata su “Vita” il 15/03/2021:

«Chi vive a contatto con i giovani, spesso in sofferenza, ha il dovere di essere ottimista e guardare positivamente al futuro. L’impostazione che voglio dare alla mia vicepresidenza è molto partecipata: da magistrato so che la “dolorosa solitudine” della decisione mi appartiene, ma so anche che per decidere bene occorre saper ascoltare. Penso che l’adozione internazionale sia uno strumento ancora valido e questo nasce da una considerazione di fondo: se riteniamo – secondo i principi della Convenzione dell’Aja – che per un minore vivere in una famiglia stabile sia un diritto primario, allora tutte le soluzioni di accoglienza che non siano stabili non soddisfano in pieno questo diritto. Il principale obiettivo, quindi, consiste nel lavorare alacremente perché questo diritto sia sempre più garantito, innanzitutto nei paesi di origine, in attuazione della sussidiarietà, ma là dove ciò non avviene allora l’adozione resta uno straordinario strumento di tutela. Nostro compito, quindi, come sistema, è lavorare non perché si facciano tante adozioni, ma perché si facciano buone adozioni”.

Cari genitori, alziamo lo sguardo e andiamo oltre, cerchiamo di essere padri con la premura di San Giuseppe e con l’attualità di San Giovanni Bosco ”Padre, maestro ed amico”.

Auguri!

don Meco

Cammino Sinodale: i materiali

Il Sinodo dei vescovi in programma a ottobre 2018 vedrà i vescovi riflettere proprio sul tema “I giovani, la fede e il discernimento“, ecco perché il Papa ha più volte chiesto il loro coinvolgimento con incontri specifici dedicati a loro per capire come consentirgli di farsi soggetti attivi (non vittime e nemmeno spettatori, ma protagonisti) del mondo che cambia.

Data la complessità del tema sinodale, sono stati pubblicati alcuni materiali, che è possibile scaricare qui di seguito, buona lettura!

 

IL POLITTICO

Le cinque immagini che compongono il polittico per il sinodo dei giovani 2018 sono uno strumento pastorale offerto alla comunità come segno di un cammino comune. Un cammino comune di Chiesa, un cammino che si vuole offrire comune a tutti i giovani e le giovani di buona volontà, un cammino comune a quello del discepolo amato. Intorno a questa figura evangelica presente e sfuggente allo stesso tempo (l’amato non ha nome, proprio come nel Cantico) ruota il racconto che descrive un giovane uomo che, stando con il Maestro, abitando con lui, ne diviene testimone, fede incarnata…

 

Apertura dell’anno pastorale e presentazione del percorso

Il Sinodo e il suo svolgimento è stato ampiamente annunciato e già se ne parla da tempo. È tuttavia necessario riprendere le fila del cammino:

• decidendo il grado di coinvolgimento dei territori in questo percorso: ogni Diocesi, infatti, sta declinando l’attenzione al mondo giovanile in modi molto diversi. Non si tratterà di uniformare il cammino (ogni Diocesi segue la sua storia e le sue vicende), ma di offrire la possibilità di un “filo rosso” che dia a tutti la sensazione di un percorso della Chiesa italiana;
• rilanciando il percorso offrendo una presentazione dei passaggi possibili che sia coerente nel suo sviluppo e capace di suscitare nuove riprese…

 

Giovani in cammino
PELLEGRINAGGIO E INCONTRO DEI GIOVANI ITALIANI CON IL PAPA
A G O S T O 2 0 1 8
LE RAGIONI DI UNA SCELTA

L’idea di un incontro dei giovani italiani con il Papa ha sicuramente il sapore di un grande evento. Ma nello stesso tempo vorrebbe anche superarlo, provando ad elaborare un pensiero pastorale diverso. Di convocazione oggi c’è ancora bisogno: perché la fede non rimanga un’esperienza solo individuale, ma abbia un serio sbocco comunitario che generi relazioni e vita di comunità cristiana.
Però il dispositivo di esperienze che si concentrano esclusivamente su giornate di massa è abbastanza improduttivo: finita la festa, gabbato lo Santo – si diceva un tempo. Per questo il prossimo incontro dei giovani italiani con Papa Francesco sarà un momento più breve che segnerà il culmine di un cammino molto più radicato nei territori e dentro un’esperienza che vuole esplicitamente costringere gli educatori a farsi compagni di viaggio dei propri giovani. Fin quasi a confondersi con loro: camminare fianco a fianco, costringe a scambi e ascolti fatti di parole e silenzi. Così, forse, sarà davvero possibile favorire il protagonismo giovanile: mettendo sotto i piedi dei ragazzi una strada da percorrere, più che un palcoscenico dove esibirsi…

 

Papa Francesco accoglie in visita Novizi e Prenovizi Salesiani

“Cammina alla mia presenza e sii irreprensibile [così il Signore ad Abramo]. Punto! Questa è la migliore definizione della santità. (…) Anche oggi si può essere santi. Ci sono tanti nella Chiesa, tanti”.

È stato un incontro ricco di stimoli e d’incoraggiamento a vivere in pienezza la vocazione e la sequela di Cristo, quello che Papa Francesco ha concesso il 2 maggio, nella sua residenza di Santa Marta, ai Novizi salesiani di Pinerolo e Genzano di Roma, insieme ai Prenovizi delle Ispettorie d’Italia e di Malta, con i loro formatori e responsabili.

Dal 30 aprile Novizi e Prenovizi si trovavano riuniti presso la comunità salesiana di Genzano di Roma per vivere l’annuale incontro del “Faccia a faccia”, un confronto vitale ed esperienziale dei giovani prossimi a fare la domanda per il noviziato con coloro che già hanno intrapreso quest’esperienza che comporta la sequela di Cristo secondo il progetto di vita salesiana. L’incontro con il Santo Padre, pensato in questo cammino, era stato concordato, ma mantenuto segreto fino all’ultimo, e alla fine è andato molto oltre il quarto d’ora previsto: ben 50 minuti!

Papa Francesco si è sottoposto ad una raffica di domande, a cui ha risposto in maniera chiara e semplice, precisa e decisa. Sul tema dell’accompagnamento dei giovani nel discernimento vocazionale il Papa ha sottolineato di utilizzare “criteri normali”, assicurandosi che i giovani “prendano le loro responsabilità”. Attenzione invece all’ipocrisia, alla mediocrità, “a quelli che vogliono entrare in seminario perché sentono che sono incapaci di cavarsela da soli nel mondo”.

Grande cura anche sulla qualità della preghiera; il consiglio è stare attenti “a come pregano”: non servono preghiere lunghe e artificiose, ma una preghiera “semplice, ma fiduciosa”.

Il Pontefice ha anche approfondito il suo concetto di periferie: quelle “sociali” dei poveri, e quelle “del pensiero”, nel dialogo con non credenti, agnostici… In ogni caso, il consiglio per i Superiori è esplicito: “nelle periferie bisogna mandare i migliori!”.

Nella Pastorale con i giovani il Santo Padre ha esortato ad usare tanta “creatività”, “una grazia da chiedere allo Spirito Santo”, insegnando loro ad “aiutare gli altri, i valori umani dell’amicizia, della famiglia, del rispetto per gli anziani”, e così costruire un baluardo contro la “cultura dello scarto”.

Infine il Papa ha mandato un saluto d’incoraggiamento e la benedizione ai Salesiani e ai Cristiani in Siria e ha promesso le sue preghiere per don Tom Uzhunnalil, il salesiano rapito 14 mesi fa in Yemen. Quindi ha concluso con molte foto e saluti personali e di gruppo.

“Davvero un bel momento di comunione con il Pastore della Chiesa che segnerà la vita di questi giovani, ma che li aiuterà, in particolare, a sentirsi parte viva della Chiesa, con l’impegno di amarla e di edificarla con la loro totale risposta vocazionale. Un dono gradito per prepararsi bene, nella preghiera, in vista della prossima Giornata Mondiale di Preghiera per le Vocazioni, che quest’anno porta il significativo titolo: ‘Sospinti dallo spirito per la missione’, ed anche della festa di san Domenico Savio” ha commentato don Antonello Sanna, Maestro dei Novizi di Genzano di Roma.

Ecco il messaggio del Papa per Salesiani e Cristiani in Siria

 

51ma. Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali

In occasione della ricorrenza di San Francesco di Sales, patrono di giornalisti, autori e scrittori oltre che della Congregazione Salesiana, segnaliamo il Messaggio del Santo Padre Francesco per la 51ma. Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali, che quest’anno si celebra, in molti Paesi, domenica 28 maggio, Solennità dell’Ascensione del Signore.

 

«Non temere, perché io sono con te» (Is 43,5).
Comunicare speranza e fiducia nel nostro tempo

L’accesso ai mezzi di comunicazione, grazie allo sviluppo tecnologico, è tale che moltissimi soggetti hanno la possibilità di condividere istantaneamente le notizie e diffonderle in modo capillare. Queste notizie possono essere belle o brutte, vere o false. Già i nostri antichi padri nella fede parlavano della mente umana come di una macina da mulino che, mossa dall’acqua, non può essere fermata. Chi è incaricato del mulino, però, ha la possibilità di decidere se macinarvi grano o zizzania. La mente dell’uomo è sempre in azione e non può cessare di “macinare” ciò che riceve, ma sta a noi decidere quale materiale fornire (cfr Cassiano il Romano, Lettera a Leonzio Igumeno).

Vorrei che questo messaggio potesse raggiungere e incoraggiare tutti coloro che, sia nell’ambito professionale sia nelle relazioni personali, ogni giorno “macinano” tante informazioni per offrire un pane fragrante e buono a coloro che si alimentano dei frutti della loro comunicazione. Vorrei esortare tutti ad una comunicazione costruttiva che, nel rifiutare i pregiudizi verso l’altro, favorisca una cultura dell’incontro, grazie alla quale si possa imparare a guardare la realtà con consapevole fiducia.

Credo ci sia bisogno di spezzare il circolo vizioso dell’angoscia e arginare la spirale della paura, frutto dell’abitudine a fissare l’attenzione sulle “cattive notizie” (guerre, terrorismo, scandali e ogni tipo di fallimento nelle vicende umane). Certo, non si tratta di promuovere una disinformazione in cui sarebbe ignorato il dramma della sofferenza, né di scadere in un ottimismo ingenuo che non si lascia toccare dallo scandalo del male. Vorrei, al contrario, che tutti cercassimo di oltrepassare quel sentimento di malumore e di rassegnazione che spesso ci afferra, gettandoci nell’apatia, ingenerando paure o l’impressione che al male non si possa porre limite. Del resto, in un sistema comunicativo dove vale la logica che una buona notizia non fa presa e dunque non è una notizia, e dove il dramma del dolore e il mistero del male vengono facilmente spettacolarizzati, si può essere tentati di anestetizzare la coscienza o di scivolare nella disperazione.

Vorrei dunque offrire un contributo alla ricerca di uno stile comunicativo aperto e creativo, che non sia mai disposto a concedere al male un ruolo da protagonista, ma cerchi di mettere in luce le possibili soluzioni, ispirando un approccio propositivo e responsabile nelle persone a cui si comunica la notizia. Vorrei invitare tutti a offrire agli uomini e alle donne del nostro tempo narrazioni contrassegnate dalla logica della “buona notizia”.

La buona notizia

La vita dell’uomo non è solo una cronaca asettica di avvenimenti, ma è storia, una storia che attende di essere raccontata attraverso la scelta di una chiave interpretativa in grado di selezionare e raccogliere i dati più importanti. La realtà, in sé stessa, non ha un significato univoco. Tutto dipende dallo sguardo con cui viene colta, dagli “occhiali” con cui scegliamo di guardarla: cambiando le lenti, anche la realtà appare diversa. Da dove dunque possiamo partire per leggere la realtà con “occhiali” giusti?

Per noi cristiani, l’occhiale adeguato per decifrare la realtà non può che essere quello della buona notizia, a partire da la Buona Notizia per eccellenza: il «Vangelo di Gesù, Cristo, Figlio di Dio» (Mc 1,1). Con queste parole l’evangelista Marco inizia il suo racconto, con l’annuncio della “buona notizia” che ha a che fare con Gesù, ma più che essere un’informazione su Gesù, è piuttosto la buona notizia che è Gesù stesso. Leggendo le pagine del Vangelo si scopre, infatti, che il titolo dell’opera corrisponde al suo contenuto e, soprattutto, che questo contenuto è la persona stessa di Gesù.

Questa buona notizia che è Gesù stesso non è buona perché priva di sofferenza, ma perché anche la sofferenza è vissuta in un quadro più ampio, parte integrante del suo amore per il Padre e per l’umanità. In Cristo, Dio si è reso solidale con ogni situazione umana, rivelandoci che non siamo soli perché abbiamo un Padre che mai può dimenticare i suoi figli. «Non temere, perché io sono con te» (Is 43,5): è la parola consolante di un Dio che da sempre si coinvolge nella storia del suo popolo. Nel suo Figlio amato, questa promessa di Dio – “sono con te” – arriva ad assumere tutta la nostra debolezza fino a morire della nostra morte. In Lui anche le tenebre e la morte diventano luogo di comunione con la Luce e la Vita. Nasce così una speranza, accessibile a chiunque, proprio nel luogo in cui la vita conosce l’amarezza del fallimento. Si tratta di una speranza che non delude, perché l’amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori (cfr Rm 5,5) e fa germogliare la vita nuova come la pianta cresce dal seme caduto. In questa luce ogni nuovo dramma che accade nella storia del mondo diventa anche scenario di una possibile buona notizia, dal momento che l’amore riesce sempre a trovare la strada della prossimità e a suscitare cuori capaci di commuoversi, volti capaci di non abbattersi, mani pronte a costruire.

La fiducia nel seme del regno

Per iniziare i suoi discepoli e le folle a questa mentalità evangelica e consegnare loro i giusti “occhiali” con cui accostarsi alla logica dell’amore che muore e risorge, Gesù faceva ricorso alle parabole, nelle quali il Regno di Dio è spesso paragonato al seme, che sprigiona la sua forza vitale proprio quando muore nella terra (cfr Mc 4,1-34). Ricorrere a immagini e metafore per comunicare la potenza umile del Regno non è un modo per ridurne l’importanza e l’urgenza, ma la forma misericordiosa che lascia all’ascoltatore lo “spazio” di libertà per accoglierla e riferirla anche a sé stesso. Inoltre, è la via privilegiata per esprimere l’immensa dignità del mistero pasquale, lasciando che siano le immagini – più che i concetti – a comunicare la paradossale bellezza della vita nuova in Cristo, dove le ostilità e la croce non vanificano ma realizzano la salvezza di Dio, dove la debolezza è più forte di ogni potenza umana, dove il fallimento può essere il preludio del più grande compimento di ogni cosa nell’amore. Proprio così, infatti, matura e si approfondisce la speranza del Regno di Dio: «Come un uomo che getta il seme sul terreno; dorma o vegli, di notte o di giorno, il seme germoglia e cresce» (Mc 4,26-27).

Il Regno di Dio è già in mezzo a noi, come un seme nascosto allo sguardo superficiale e la cui crescita avviene nel silenzio. Chi ha occhi resi limpidi dallo Spirito Santo riesce a vederlo germogliare e non si lascia rubare la gioia del Regno a causa della zizzania sempre presente.

Gli orizzonti dello Spirito

La speranza fondata sulla buona notizia che è Gesù ci fa alzare lo sguardo e ci spinge a contemplarlo nella cornice liturgica della festa dell’Ascensione. Mentre sembra che il Signore si allontani da noi, in realtà si allargano gli orizzonti della speranza. Infatti, ogni uomo e ogni donna, in Cristo, che eleva la nostra umanità fino al Cielo, può avere piena libertà di «entrare nel santuario per mezzo del sangue di Gesù, via nuova e vivente che egli ha inaugurato per noi attraverso il velo, cioè la sua carne» (Eb 10,19-20). Attraverso «la forza dello Spirito Santo» possiamo essere «testimoni» e comunicatori di un’umanità nuova, redenta, «fino ai confini della terra» (cfr At 1,7-8).

La fiducia nel seme del Regno di Dio e nella logica della Pasqua non può che plasmare anche il nostro modo di comunicare. Tale fiducia che ci rende capaci di operare – nelle molteplici forme in cui la comunicazione oggi avviene – con la persuasione che è possibile scorgere e illuminare la buona notizia presente nella realtà di ogni storia e nel volto di ogni persona.

Chi, con fede, si lascia guidare dallo Spirito Santo diventa capace di discernere in ogni avvenimento ciò che accade tra Dio e l’umanità, riconoscendo come Egli stesso, nello scenario drammatico di questo mondo, stia componendo la trama di una storia di salvezza. Il filo con cui si tesse questa storia sacra è la speranza e il suo tessitore non è altri che lo Spirito Consolatore. La speranza è la più umile delle virtù, perché rimane nascosta nelle pieghe della vita, ma è simile al lievito che fa fermentare tutta la pasta. Noi la alimentiamo leggendo sempre di nuovo la Buona Notizia, quel Vangelo che è stato “ristampato” in tantissime edizioni nelle vite dei santi, uomini e donne diventati icone dell’amore di Dio. Anche oggi è lo Spirito a seminare in noi il desiderio del Regno, attraverso tanti “canali” viventi, attraverso le persone che si lasciano condurre dalla Buona Notizia in mezzo al dramma della storia, e sono come dei fari nel buio di questo mondo, che illuminano la rotta e aprono sentieri nuovi di fiducia e speranza.

Dal Vaticano, 24 gennaio 2017

Sinodo dei giovani 2018 – Materiale Preparatorio

Nell’ottobre del 2018 si terrà la XV Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi sul tema: “I giovani, la fede e il discernimento vocazionale”.

Nella mattinata del 13 gennaio si è tenuta, presso la Sala Stampa della Santa Sede, la Conferenza Stampa di presentazione del Documento Preparatorio del Sinodo, in cui i giovani presenti hanno espresso alla stampa il loro desiderio di “diventare protagonisti non solo di un futuro ancora da venire, ma anche e soprattutto di un presente che ci chiama già oggi a costruire la civiltà dell’Amore, mettendo a frutto i nostri talenti nei luoghi in cui siamo chiamati a vivere”.

Il Santo Padre ha rivolto una Lettera indirizzata direttamente ai giovani, esortandoli a partecipare attivamente al cammino sinodale, perché il Sinodo è per loro e perché tutta la Chiesa si mette in ascolto della loro voce, della loro sensibilità, della loro fede, come anche dei loro dubbi e delle loro critiche. Li invita inoltre ad ‘uscire’, sull’esempio di Abramo, per incamminarsi verso la terra nuova costituita «da una società più giusta e fraterna» da costruire fino alle periferie del mondo.

Il documento preparatorio si propone di individuare le modalità migliori per accompagnare i giovani a riconoscere e accogliere la chiamata alla vita in pienezza e per annunciare loro più efficacemente il Vangelo. Il Documento dà avvio alla fase della consultazione di tutto il Popolo di Dio: è indirizzato alle Conferenze episcopali, ai Consigli dei Gerarchi delle Chiese Orientali Cattoliche, ai dicasteri della Curia Romana e all’Unione dei Superiori Generali. È prevista, inoltre, una consultazione dei giovani stessi attraverso un sito Internet.