Amici di Don Bosco onlus: l’augurio di don Domenico Ricca ai papà sulle orme di don Bosco

Don Domenico Ricca, presidente dell’Associazione Amici di don Bosco, porge suoi auguri a tutti i papà in occasione della festa del 19 marzo, San Giuseppe. Di seguito il messaggio di auguri pubblicato sul sito dell’associazione.

L’AUGURIO DI DON DOMENICO RICCA AI PAPÀ SULLE ORME DI DON BOSCO

San Giuseppe, festa del papà, da non relegare a puro evento commerciale. Per noi, Amici di Don Bosco, si intreccia con altre parole, nomi, situazioni di vita, tanti legami, memorie.

Se faccio un po’ d’ordine, non dimentico che il 31 gennaio 1988 Giovanni Paolo II dichiarò don Bosco «padre e maestro della gioventù».
Don Bosco padre. Per chi ne fosse digiuno alcuni tratti della sua biografia familiare: Giovanni Bosco nacque il 16 agosto 1815 in una modesta cascina dove ora sorge la Basilica di Don Bosco, nella frazione collinare I Becchi di Castelnuovo d’Asti, oggi Castelnuovo Don Bosco), figlio dei contadini Francesco Bosco e Margherita Occhiena. Il padre, nel 1811, era rimasto vedovo della prima moglie Margherita Cagliero, dalla quale aveva avuto due figli: Antonio e Teresa Maria, morta nel 1810 due giorni dopo la nascita; da Margherita Occhiena, prima di Giovanni, aveva avuto Giuseppe. Quando Giovanni aveva soltanto due anni, il padre contrasse una grave polmonite che lo condusse alla morte l’11 maggio 1817, a soli 33 anni. Francesco Bosco lasciò così la moglie Margherita vedova con tre figli da accudire, Antonio, Giuseppe e Giovanni. Furono anni molto difficili per mamma Margherita; molta gente morì a causa della fame e delle epidemie.

Questa storia di difficoltà e di stenti segnò profondamente la vita di Giovannino, che crebbe con una voglia di famiglia come di un sogno proibito, e con una squisita sensibilità verso quei ragazzi “senza famiglia” che la Provvidenza gli avrebbe messo sulla sua strada, e che ancora più lui si sarebbe andato a cercare: i “ragazzi poveri, pericolanti e discoli”, come usa chiamarli Papa Francesco “quelli che abitano le periferie esistenziali del mondo”. Una voglia di famiglia da trapiantare a Valdocco, chiedendo così un immenso sacrificio a Mamma Margherita. È noto che quando nel 1846 don Bosco si ammala gravemente sale ai Becchi per una lunga convalescenza: madre e figlio si ritrovano così nell’intimità. Al termine, Don Bosco, guarito, chiede a Mamma Margherita di seguirlo a Valdocco e la mamma risponde così: “Se credi che questa sia la volontà del Signore, sono pronta a venire”. E così il 3 novembre 1846, madre e figlio lasciarono la dolce collina, a piedi, fino a Torino.

Don Bosco capì che la famiglia a Valdocco andava ricostituita a tutti i costi per quei ragazzi “senza famiglia”. Era lui il padre, i suoi chierici i fratelli maggiori e poi le tante mamme presenti a Valdocco come aiutanti, quelle che davano il sapore concreto e visivo dell’essere “casa”, non istituto.
Ma il mosaico si ricompone, perché Don Bosco fu profondamente devoto di San Giuseppe: a lui affidò i suoi studenti; in suo onore fece erigere una “Compagnia degli artigiani” per aggregare i giovani lavoratori che frequentavano gli ambienti salesiani; a lui faceva riferimento per ottenere e far ottenere la grazia di una buona morte. Mettersi sotto la sua protezione, nel pensiero salesiano, non è semplicemente pronunciare una qualche formula di consacrazione a un santo. È molto di più: è rispondere positivamente alla vocazione insita in ogni salesiano a essere padre dei ragazzi che incontra.

Lascio alla fantasia dei papà adottivi l’elaborazione di opportuni collegamenti e in chiusura concludo con un pezzo di un’intervista al dott. Starita, Vicepresidente della Commissione Adozioni Internazionali, pubblicata su “Vita” il 15/03/2021:

«Chi vive a contatto con i giovani, spesso in sofferenza, ha il dovere di essere ottimista e guardare positivamente al futuro. L’impostazione che voglio dare alla mia vicepresidenza è molto partecipata: da magistrato so che la “dolorosa solitudine” della decisione mi appartiene, ma so anche che per decidere bene occorre saper ascoltare. Penso che l’adozione internazionale sia uno strumento ancora valido e questo nasce da una considerazione di fondo: se riteniamo – secondo i principi della Convenzione dell’Aja – che per un minore vivere in una famiglia stabile sia un diritto primario, allora tutte le soluzioni di accoglienza che non siano stabili non soddisfano in pieno questo diritto. Il principale obiettivo, quindi, consiste nel lavorare alacremente perché questo diritto sia sempre più garantito, innanzitutto nei paesi di origine, in attuazione della sussidiarietà, ma là dove ciò non avviene allora l’adozione resta uno straordinario strumento di tutela. Nostro compito, quindi, come sistema, è lavorare non perché si facciano tante adozioni, ma perché si facciano buone adozioni”.

Cari genitori, alziamo lo sguardo e andiamo oltre, cerchiamo di essere padri con la premura di San Giuseppe e con l’attualità di San Giovanni Bosco ”Padre, maestro ed amico”.

Auguri!

don Meco