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Don Bosco Casale: conclusi gli incontri di formazione del progetto “P.L.A.Y – Accorciamo le distanze”

P.L.A.Y.: Prevent –Learn – Amuse – Youth

All’interno del progetto “Accorciamo le distanze” sono partiti gli incontri di formazione e workshop sul “gioco da tavola come strumento educativo”.  Di seguito l’esperienza dei giovani della realtà salesiana di Casale Monferrato che hanno concluso questa prima parte del progetto il 19 febbraio scorso.

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Nei giorni 5-12-19 del mese di febbraio si sono svolti i tre incontri pomeridiani del progetto “P.L.A.Y – Accorciamo le distanze” di due ore ciascuno, sul tema del gioco da tavolo.

L’attività è stata destinata a una decina di ragazzi dalla terza alla quinta superiore che, guidati da Egidio Carlomagnoprofessionista del mondo dell’animazione, hanno potuto approfondire la propria conoscenza sul vasto mondo dei giochi da tavolo.

Il primo dei tre incontri si è sviluppato su un livello principalmente teorico, nel corso del quale Egidio ha illustrato ai ragazzi le principali nozioni dei giochi da tavolo e come questi possono essere utilizzati come strumento per la formazione di bambini e ragazzi.

Durante il secondo incontro i ragazzi hanno avuto la possibilità di giocare direttamente, provando diversi tipi di giochi da tavolo, alcuni dei quali sconosciuti alla gran parte dei partecipanti. È stato molto divertente e interessante – a detta dei ragazzi –  poter sperimentare in prima persona questi giochi mai visti prima.

Il terzo e ultimo incontro di formazione ha visto i ragazzi cimentarsi in diversi giochi da tavolo, divisi in gruppi, imparandone così il funzionamento per saperlo poi spiegare agli altri gruppi.

I ragazzi, al termine dei tre incontri, sono rimasti molto soddisfatti da questa esperienza, la quale ha permesso loro di ampliare le proprie conoscenze su un mondo, quello del gioco da tavolo, che può essere utilizzato sia durante l’estate ragazzi sia durante il resto dell’anno, come al catechismo, al doposcuola o durante momenti di festa e di gioco.

“Creare alleanze educative” – Intervista a don Alberto Lagostina

La Vita Casalese di giovedì 20 gennaio riporta un’intervista a don Alberto Lagostina, direttore dell’Opera salesiana di Casale Monferrato. Di seguito l’articolo.

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Coordinatore del lavoro missionario dei salesiani e dei laici della parrocchia del Valentino
Creare alleanze educative
Chiacchierata con don Alberto Lagostina, direttore dell’Opera salesiana

CASALE – Pubblichiamo un’intervista a don Alberto Lagostina, direttore dell’Opera salesiana, giunto nella parrocchia del Valentino a settembre 2021.

Ti presenti?

Sono don Alberto Lagostina, ho 62 anni, sono di Gravellona Toce (Vb), Diocesi di Novara. Dopo aver vissuto intensamente gli anni giovanili nel mio Oratorio e nel cammino della Pastorale giovanile della diocesi, sono entrato tra i Salesiani di Don Bosco con i primi voti religiosi nel 1981. Qui a Casale ho il mandato di Direttore della Comunità religiosa dei salesiani, dell’Oratorio e sono Amministratore parrocchiale. In pratica sono chiamato a coordinare il lavoro missionario dei Salesiani e dei Laici corresponsabili di questo territorio.

Qual è stata la tua esperienza di salesiano sacerdote?

Sono stato ordinato sacerdote nel 1989 ad Alessandria e ho svolto la mia missione tra i giovani in diversi oratori del Piemonte, Biella, Alessandria, Novara, Torino Michele Rua, Asti, Torino San Paolo.

Ho insegnato per diversi anni religione nelle scuole statali in collegamento con la pastorale dell’oratorio e a contatto con minori in situazioni di disagio sociale, italiani e non.

A Torino ho assunto la responsabilità di superiore della comunità religiosa e, oltre all’attività pastorali ordinarie di un oratorio, ho condiviso il lavoro d’equipe con educatori professionali per la gestione di un Centro diurno aggregativo e di una Comunità per minori stranieri non accompagnati. Ringrazio il Signore del percorso vocazionale in cui mi ha condotto: ho incontrato tanti giovani generosi e altri più bisognosi di un sostegno nella vita. Tutti, giovani e adulti, mi hanno insegnato qualcosa.

Che ambiente hai trovato qui a Casale (criticità, risorse…)?

L’inserimento qui a Casale è stato facilitato dalla ricchezza dell’ambiente che ho trovato, molto in sintonia con le mie precedenti esperienze pastorali ed educative. Ho trovato una comunità cristiana composta da adulti e giovani che hanno interiorizzato il sistema preventivo di don Bosco: un cammino spirituale con un’attenzione privilegiata all’accompagnamento delle giovani generazioni e l’attenzione ai più poveri. E’ interessante raccogliere i frutti di un cammino centenario di una comunità che attraverso l’oratorio e la parrocchia ha consolidato una tradizione che si proietta nel futuro con l’accoglienza dei giovani di oggi, così come sono, per fare con loro un pezzo di strada.

Preziosa è l’esperienza di 25 anni di comunità residenziale per minori, di gruppo appartamento per i minori stranieri non accompagnati che ha intessuto un interessante rete con il territorio. Queste presenze vogliono essere per la nostra comunità un segno di accoglienza e di condivisione in un mondo che vive ondate di chiusura, muri, pregiudizi. Notevole è il lavoro di sostegno dei volontari della Caritas parrocchiale per tante famiglie bisognose, in collegamento con la Caritas diocesana.

Sono provocato positivamente dalla presenza di ragazzi in cortile dell’Oratorio e nei cammini formativi di ragazzi non battezzati o di altre religioni.

Rispetto al tema dell’educazione, secondo te, di cosa c’è più bisogno?

Più in generale ritengo che nel campo dell’educazione siano gli adulti ad essere disorientati. Figli di un mondo consumista, individualista e relativista, Il mondo variegato degli adulti dà segnali di difficoltà a dare orizzonti di ampio respiro e si trova spesso impreparato ad accompagnare i giovani nella loro crescita. La stessa riflessione della Chiesa vissuta nel Sinodo dei Vescovi sui giovani ha dovuto vivere un vero proprio capovolgimento di prospettiva. Si è passati da una domanda iniziale sul “Cosa deve fare la Chiesa per i giovani?” a “Come dobbiamo essere come Chiesa a fianco ai giovani?”. È quindi essenziale mettersi in discussione e verificare il modo di essere e di agire del mondo adulto ecclesiale.

Occorre mettersi in ascolto dei giovani: troppe volte noi adulti offriamo loro dei progetti preconfezionati o riversiamo su di loro un bagaglio di idee, di valori che sentiamo il dovere di comunicare, senza chiederci quale sia il loro vissuto, quali domande portano nel cuore e quali valori stanno vivendo. I giovani di oggi sono certamente cambiati e sono in continuo cambiamento rispetto al passato. Non abbiamo ancora realizzato quali cambiamenti antropologici stia portando l’evoluzione tecnologica dei mezzi di comunicazione (internet, social…)

I giovani sono, di fatto, portatori di valori che vanno riconosciuti e accolti, sono disponibili al dialogo e cercano adulti autorevoli che, con il loro vissuto coerente, siano disponibili a “perdere del tempo” con loro. Essi hanno bisogno di un vero e sano protagonismo, dove diventano, anche con fatica e sacrificio, costruttori di progetti che sentono significativi.

Hanno bisogno di uscire da sé per vivere esperienze di solidarietà. A noi adulti, oltre a diventare esperti di ascolto e capaci di lasciare il giusto spazio a loro, tocca costruire alleanze educative che testimoniano valori, fraternità e ricerca del bene comune, sia all’interno della comunità ecclesiale, sia nel rapporto con le altre agenzie che incontrano i giovani.

È una sfida che può essere affrontata solo con un’autentica spiritualità, un serio discernimento comunitario e un cammino sinodale a vari livelli.

Noi sacerdoti abbiamo il dovere di promuovere e accompagnare questo processo anche con attente azioni di governo che facilitino il percorso. s.d.

Casale Monferrato: i festeggiamenti per San Giovanni Bosco

Di seguito il programma dei festeggiamenti dedicati a San Giovanni Bosco presso la realtà salesiana di Casale Monferrato: la novena in preparazione alla festa dal 22 al 30 gennaio, l’incontro comunitario di domenica 23 gennaio, la festa di San Francesco di Sales di lunedì 24 gennaio in occasione dei 400 anni dalla morte, l’incontro comunitario di preghiera di venerdì 28 gennaio ed infine le principali celebrazioni di domenica 30 e lunedì 31 gennaio.

“Accaparlante”: il nuovo progetto per i 25 anni di Harambée

Nel 1996 nasceva la Comunità Harambée: un alloggio socio assistenziale per minori in situazioni di disagio, un’opera salesiana che prende vita dal progetto di un gruppo di educatori provenienti dall’Oratorio don Bosco di Casale Monferrato. In occasione di questo traguardo, nasce “Accaparlante“: il nuovo progetto per i 25 anni di Harambée presentato martedì 14 dicembre nei locali dell’oratorio del Valentino dal parroco don Alberto Lagostina. Di seguito le principali informazioni inerenti l’iniziativa riportate su CasaleNews e il rimando al sito ufficiale del progetto.

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“Accaparlante”: il nuovo progetto per i 25 anni di Harambée

Presentato il sito internet della Comunità dove le persone, anche molto diverse, possono incontrarsi per produrre informazione, dibattiti, inchieste ed eventi

Accaparlante” è il nome del nuovo progetto della comunità Harambée che festeggia il 25mo anno di attività – è stata fondata infatti nel 1996 con l’obiettivo di accogliere giovani in stato di bisogno; il nome è una parola swahili che in Rwanda significa “lavorare insieme, giovani anziani, per un risultato comune” – e che oggi, vuole aprirsi ad una rinnovata filosofia di valorizzazione sociale del territorio con la realizzazione di un sito internet (questo il link: https://accaparlante.com/),dove le persone, anche molto diverse, s’incontrano per produrre informazione, dibattiti, inchieste ed eventi.

Il progetto è stato presentato questa mattina, martedì 14 dicembre, nei locali dell’oratorio del Valentino, dal parroco don Alberto Lagostina (la parrocchia del Valentino è salesiana, così come la comunità Harambeè che è nata e si ispira ai valori salesiani) e da diversi educatori – Barbara, Milena, Franco – che ne hanno descritto storia e attività.

Alcuni numeri. In questi 25 anni da Harambée sono passati 156 ragazzi (tra gli 11 e i 18 anni) nella comunità educativa, 22 nel gruppo appartamento (una soluzione intermedia per far transitare i giovani verso una vita autonoma),15 nel centro diurno: ad assisterli si sono succeduti circa 60 educatori ed educatrici.

Attualmente gli educatori/educatrici sono 18, la comunità ospita 12 ragazzi, il gruppo appartamento 6, così come il centro diurno. Sono rappresentate diverse nazionalità.

“Gli ospiti – spiegano gli educatori – sono ragazzi che, a causa di un vissuto particolare, hanno necessità di essere allontani dalla famiglia e aiutati pian piano a crescere e diventare adulti, con un proprio lavoro, una propria abitazione e tutti gli strumenti necessari ad una vita autonoma”.

In questo contesto come si inquadra il progetto “Accaparlante”?

“È un nuovo progetto – spiegano dalla comunità – che evoca desideri, impegno, condivisione e talenti, in una dimensione che si sceglie per presentare nuove e diverse prospettive, attraverso una piattaforma dove ognuno ha qualcosa da raccontare. Insieme, per coltivare idee, raccogliere sfide, nutrire nuove concezioni e incrementare possibili alternative”.

“Accaparlante è anche e soprattutto condivisione; piani di lavoro che si incontrano per un viaggio “dietro e dentro le quinte” della quotidianità di mondi differenti, originali, giovani, con destinazioni alternative e per rendere protagoniste persone che non lo sono ancora, non lo sono mai state o che vengono spesso, non considerate “all’altezza”.

“Attraverso la sinergia delle diverse realtà, degli operatori e dei ragazzi che, raccolti sotto un unico “cappello” organizzativo operano per raccontarsi e per raccontare facendosi “cronisti” di un’idea, un modo, una necessità, creando un circuito che, con la forza del numero dei partecipanti, lo fa conoscere mediaticamente affinché diventi una reale, completa alternativa di sviluppo sociale”.

“Un mezzo per dare voce ai fatti, alle iniziative, alle opinioni e alle testimonianze che accadono ma che spesso non diventano “notizie”. Un mondo vasto e plurale che decide di “farsi” media e partecipare all’impegno – sociale e civile – di fare comunicazione sociale”.

Il quarto incontro del Community Lab a Casale Monferrato

Comunità: dove “io” diventa “noi”

Quarto e ultimo incontro di formazione nell’ambito del progetto Labs to Learn

Che cosa significa essere, sentirsi e agire come comunità oggi?

A questo interrogativo interessante e provocatorio ha provato a rispondere la comunità educante del “Don Bosco” di Casale, incamminati nel percorso di formazione proposto dall’équipe del progetto “Labs to learn”, che è giunto al suo quarto e ultimo incontro.
La riflessione, accompagnata sapientemente da Giovanni Petrini e dai volti noti di Veronica e Martina, ha preso avvio da considerazioni di carattere sociologico e antropologico, volte a definire il contesto e le ragioni nei quali la dimensione della comunità è destinata a ritrovare e a riaffermare una sua ragione di essere e una peculiarità del tutto originale nel rispondere al bisogno di socialità, di condivisione, di solidarietà e partecipazione da più parti invocato.

Sono emerse così, in maniera spontanea e condivisa, tante parole evocate o ricollegabili al termine “comunità”: fiducia, scambio, seconda famiglia, esperienza, vita insieme, appartenenza, opportunità, servizio, dono, forza, condivisione, crescita, confronto, conflitto, testimonianza, unità…
L’esperienza della comunità, che nasce come realtà spirituale, nel corso del tempo ha acquisito altre connotazioni e caratteristiche, ma in essa ritroviamo costantemente almeno 5 elementi costitutivi: confine, simboli, riti, memoria e legami.

La comunità si definisce come esperienza personale secondaria, nella quale ciascun “io” si integra in un “noi”: si arriva a sostenere che se nel percorso di vita di una persona manca questa possibilità di esperienza, difficilmente il tessuto sociale può essere sano, semplicemente perché gli individui non saprebbero darsi ragione della necessità di sentirsi legati agli altri.

Un bellissimo estratto dalle parole di papa Francesco sulla necessità di recuperare la gentilezza nei rapporti umani ha fatto da ponte per la seconda parte del lavoro, nella quale sono stati recuperati i contributi della SWOT (tecnica di lavoro che ha caratterizzato il 3° incontro formativo), in particolare risorse e limiti del proprio ambiente comunitario.
I partecipanti, divisi in due gruppi, hanno messo a fuoco qualche priorità emersa dalla lettura della situazione dell’ambiente oratorio-comunità, provando a definire delle azioni concrete per affrontare e superare queste fatiche.

Le due ore di lavoro condiviso, epilogo del percorso formativo intrapreso qualche mese fa, si sono concluse con la verbalizzazione di alcuni sogni espressi dai partecipanti per la propria comunità. L’esperienza ha lasciato nei partecipanti il desiderio di proseguire nella riflessione comunitaria: il saluto ai bravissimi formatori è stato un arrivederci, con la promessa di potersi incontrare in presenza e continuare a condividere pensieri, sogni, progetti e azioni per realizzarli.
Grazie!

Il Metodo di studio a Casale Monferrato: “Oltrescuola”

A seguito della presentazione dell’iniziativa “Metodo di studio”, parte del progetto Labs to Learn, ci confrontiamo con Simona Dametto, volontaria presso l’opera salesiana Don Bosco di Casale Monferrato nel progetto “Oltrescuola”, che offre assistenza nello studio pomeridiano ai ragazzi in difficoltà. Di seguito si riporta l’intervista.

Durante la presentazione del progetto sono stati illustrati numerosi aspetti che interessano il percorso che dovrà intraprendere il “metodo di studio”. Quale ti è sembrato più interessante in base alla tua esperienza maturata a fianco dei ragazzi nel tuo centro?

La presentazione ha offerto innanzitutto una buona sintesi ed una spiegazione ordinata per comprendere al meglio le dinamiche del progetto che si mostra ambizioso, ma ben strutturato. In particolare però ho trovato molto interessante la spiegazione di come le emozioni siano legate al metodo di studio dei ragazzi, così tanto da risultare un aspetto imprescindibile per la sua buona riuscita, assieme anche alla cura del contesto e dell’ambiente in cui avviene il loro apprendimento.

Un’altra immagine interessante che è stata usata è quella dello “scaffolding”, come un’impalcatura su cui poter far crescere la vita dei giovani. Ritengo che funzioni non solo nella scuola, ma anche nella loro vita quotidiana, per poterli aiutare a crescere come persone; questo infatti dovrebbe essere il nostro obiettivo per eccellenza e questo progetto può aiutarci a raggiungerlo. 

È sicuramente un progetto ambizioso, visto che si pone un tale obiettivo, ma il fatto che sia previsto un lavoro di rete, con un movimento condiviso in cui diversi attori sono chiamati a spendersi, costituisce per me una garanzia e una buona strada da seguire.

Quasi quotidianamente offri assistenza ai ragazzi che frequentano il doposcuola dell’oratorio. Quali sono le maggiori difficoltà che riscontri nei ragazzi aiutati nello studio?

La difficoltà più diffusa è proprio quella di non aver ancora costruito un proprio metodo per studiare o anche solo di essere in grado di organizzarsi il lavoro. 

Sicuramente è da sottolineare come in questo tempo storico, pieno di complessità, la scuola non rivesta più un ruolo principale nella visione di vita delle famiglie, ancor di più ora che a scuola i ragazzi non ci stanno andando fisicamente. La scuola rimane una delle molte dimensioni del quotidiano e forse neanche la più coinvolgente, secondo il punto di vista loro e di molte famiglie.

Un’altra considerazione da fare è che la maggior parte dei ragazzi che frequentano il doposcuola appartengono a famiglie straniere e loro stessi costituiscono l’unico vero ponte con la società in cui sono chiamati a vivere. Si trovano a dover mediare per i propri genitori soprattutto linguisticamente, gli viene quindi richiesto di assumere un ruolo impegnativo in cui a volte finiscono per essere i controllori di se stessi. In alcune di queste famiglie l’idea di essere stranieri porta a sentirsi in dovere di dimostrare di valere quanto e di più degli altri, mentre altre famiglie non riconoscono assolutamente lo studio come strumento per raggiungere l’emancipazione e la giusta autonomia.

Pensando alle attività svolte nel tuo centro, quale bisogno dei ragazzi potrebbe andare a coprire questo progetto? Quali ricadute auspichi possa avere sui ragazzi?

Molte volte i ragazzi non hanno proprio gli ambienti e le condizioni adeguati per potersi dedicare in maniera proficua allo studio. In questo i progetti come il nostro doposcuola educativo possono offrire un supporto valido e un luogo adeguato, sicuro e ricco di opportunità anche per creare socializzazione, un aspetto, questo, che risulta essere sempre più fondamentale in questi tempi di distanziamento e privazioni relazionali.

C’è da auspicare però che migliori prima di tutto nei ragazzi il rapporto con il proprio studio personale, per diventare protagonisti anche nella scuola e non soltanto subirne le conseguenze. Infine una maggiore diffusione dell’attenzione allo studio da parte dei professionisti e degli adulti che entrano in contatto con il progetto, assieme ad una formazione diffusa, dal teorico al pratico, possono avere ricadute positive sui ragazzi anche nel futuro, a prescindere dal dove e dal quando si affrontino questo tipo di attività.

(Nella foto, i ragazzi di Oltrescuola inaugurano la settimana dedicata alla storia dell’immigrazione dall’Albania)

Casale Monferrato: la Dad in dodici sotto lo stesso tetto, il lockdown dei ragazzi in comunità – La Stampa

La Stampa” a cura di Giulia Di Leo.

Harambée a Casale da 25 anni ospita minorenni con famiglie fragili: i problemi della scuola a distanza qui sono moltiplicati. Connessione da potenziare, pc da acquistare, regole da rispettare: “Ma loro hanno dimostrato una grande resilienza”

«La dad ci ha sconvolto. Abbiamo dovuto cambiare la linea internet, comprare dei supporti perché avevamo solo due computer. Abbiamo iniziato a stampare ininterrottamente i compiti dei ragazzi. Anche far capire le regole è stato più difficile: incontrare le famiglie, nei casi in cui è previsto, e gli amici, ha preteso una gestione più controllata».

L’assenza della scuola ha ribaltato gli equilibri di tutte le famiglie, Ma ancora più complicata è la realtà di quelle in cui i componenti non si scelgono. Come la comunità Harambée di Casale. Qui ogni anno arrivano minori con storie difficili, famiglie fragili.
«È complicato anche parlare con il compagno di stanza. Basta una parola fuori posto, un commento sulla tua famiglia o sul tup vissuto che scatta la rabbia. Quando vivi certe cose non è facile parlarne. Io ci sto provando, ma non riesco ancora a dire tutto».

Giorgia ha 13 anni e vive da sempre in comunità. Prima era a Caresana, nel Vercellese, col fratello più piccolo, poi è arrivata in Harambée, dove c’era già il fratello maggiore, Fabio. Quest’anno ha l’esame di terza media. Come lei anche Jacopo. Si conoscono dai tempi di Caresana. Là però litigavano sempre. «Io ero la ribelle – dice Giorgia –, poi qui ho capito che a discutere con tutti finivo solo per piangere da sola in camera».

Gli alti e bassi sono all’ordine del giorno. A convivere negli spazi comuni e in stanze doppie sono in 12 di età diverse, il più piccolo ha 10 anni, il più grande è maggiorenne e vive nell’alloggio accanto, in autonomia con altri 5 coetanei. «Così impariamo a vivere da soli», spiega Tony, all’anagrafe Platon Merko. Ha 19 anni ed è arrivato dall’Albania. Voleva cambiare la sua vita e ora vorrebbe farlo anche per i genitori che sono rimasti là. «Ci sentiamo tutti i giorni. Sapevo che in Italia si viveva meglio e sono partito con i risparmi che avevo. Quando sono arrivato pensavano che fossi sordomuto, perché non sapevo una parola di italiano. Ho imparato in fretta. Sto per prendere la terza media linguistica e lavoro. Ora spero che i miei genitori mi raggiungano».

Bambini e ragazzi, italiani che stranieri, arrivano in comunità per motivi vari. «Sono soprattutto storie di incapacità genitoriali – spiega l’educatore Franco Girardino –. Nel gruppo attuale abbiamo molte famiglie collaboranti e questo ci ha sicuramente aiutato ad affrontare il primo lockdown che non è stato disastroso come immaginavamo». «Se ci avessero detto di dover convivere per un anno intero, avremmo deciso di chiudere prima. E invece i ragazzi hanno dimostrato una grande resilienza», commenta Barbara Zaglio, una dei 5 educatori salesiani che il 24 marzo del 1996 hanno aperto le porte della comunità. Venticinque anni fa: da allora da Harambée sono passati 149 ragazzi.

Le difficoltà si sono fatte sentire soprattutto da ottobre, tra Regioni colorate, dad e regole in continuo cambiamento. E ora arriva un’altra festività in cui i ragazzi non potranno ricongiungersi alle loro famiglie. «A ogni ingresso dobbiamo fare un tampone – spiega Franco Girardino –. Da novembre tutti i ragazzi vengono controllati una volta al mese. Anche se il primo lockdown è stato sereno, perché si respirava un clima famigliare, siamo sempre stati a rischio. Noi educatori viaggiavamo di continuo e avevamo contatti con l’esterno».

Risolto il problema di linee internet e supporti, con pc e tablet acquistati dai salesiani e dagli assistenti sociali, i ragazzi hanno continuato a fare scuola. La tecnologia alla fine è servita anche per parlare con le famiglie e gli amici. Non è stato facile, ma i ragazzi di Harambée alle difficoltà sono abituati. Anzi, la vita di comunità aiuta: apparecchiare tavola, fare i compiti e guardare il Tg può diventare persino divertente. A vederli sembra tutto naturale. Anche se loro forse più di altri avrebbero bisogno della socialità negata dal distanziamento. Ma insieme il tempo passa meglio. Si studia, si parla, si gioca. Jacopo ha appena finito una partita a carte con i ragazzi: «Mi piace stare in compagnia. Qui c’è sempre qualcosa da fare, non ci si annoia mai».

Festeggiati i 25 anni della Comunità Harambée

Nella serata di ieri, mercoledì 24 marzo, si sono festeggiati online i 25 anni di vita della Comunità Harambée con il contributo video mandato in onda su YouTube: un racconto, una storia fatta di storie per le persone che ci sono state, ci sono e ci saranno.

Il commento di don Domenico Ricca in merito ai festeggiamenti:

“Ascoltarvi da Torino mi emoziona tantissimo….perché celebrare vuol dire non dimenticare la difficoltà dei primi passi…sapersi voltare indietro non per rimpiangere ma per ringraziare e per dire che andare avanti ancora si può, si deve. È la nostra responsabilità educativa, è la nostra azione pastorale ed educativa di salesiani, perché questo ce lo chiede don Bosco, oggi come sempre…”

Il Metodo di studio a Casale Monferrato: “Per trovare il proprio posto nella scuola”

Il Metodo di studio secondo l’esperienza della realtà territoriale di Casale Monferrato coinvolta nel progetto Labs to Learn. Di seguito una breve descrizione e il video-intervista.

Le parole della Prof.ssa Valentina Rinaldi, docente di lettere presso l’Istituto Comprensivo Francesco Negri di Casale Monferrato, sottolineano l’importanza del progetto Labs to Learn dedicato al Metodo di studio all’interno della scuola di oggi.

Insegnante di italiano e coordinatrice della classe degli studenti di prima coinvolti nelle attività, in una breve intervista raccolta a pochi giorni dall’evento di presentazione del progetto alle famiglie, ricorda come la formazione continua dei docenti e l’attenzione verso le diverse forme di apprendimento dei ragazzi possano costituire la chiave giusta e necessaria per permettere agli studenti di crescere seguendo le proprie potenzialità e aiutando ognuno a trovare il posto giusto anche a scuola.

Comunità Harambée: 25 anni insieme

Esattamente 25 anni fa nasceva la Comunità Harambée: un alloggio socio assistenziale per minori in situazioni di disagio, un’opera salesiana che prende vita dal progetto di un gruppo di educatori provenienti dall’Oratorio don Bosco di Casale Monferrato. In occasione di tale anniversario, mercoledì 24 marzo alle ore 20.45 sarà possibile celebrare questo traguardo grazie al contributo video che sarà mandato online sul canale Youtube nella serata.

Di seguito l’articolo pubblicato sul sito dell’opera salesiana di Casale Monferrato il 23 marzo 2021:

Una scommessa vinta, nata da un progetto di giovani Salesiani Cooperatori

Una casa per restituire futuro

25 anni di vita per la comunità educativa residenziale “Harambée” e i suoi servizi

CASALE – “Una casa per restituire futuro”: questo il titolo del Convegno che 5 anni fa celebrava il ventennale di Harambée e che continua a sintetizzare efficacemente l’essenza e la “mission” educativa di questa realtà, giunta quest’anno al suo 25° anno di attività.

Precisamente il 24 marzo 1996 gli ambienti della comunità aprivano ufficialmente i battenti, preceduti da un percorso di riflessione e di progettazione risalente al 1992, allorquando cinque giovani con esperienze di lavoro e di volontariato nelle comunità per minori cominciarono a condividere un desiderio con la famiglia salesiana di Casale: offrire un’opportunità educativa ai ragazzi con necessità di casa, con uno stile e un carisma specifico, quello salesiano, in linea col sistema preventivo e riproducendo lo stile di famiglia di Don Bosco.

Il sogno trovò concretezza nell’investimento dell’Ispettoria Salesiana del Piemonte per adeguare gli spazi dell’opera e per destinare risorse a ragazzi e ragazze marcatamente segnati da disagio e difficoltà relazionali. Supportata dall’allora incaricato di Oratorio, il gruppo originario dei cinque giovani, accomunati dalla promessa di Salesiani Cooperatori maturata in seno ai rispettivi vissuti in ambito oratoriano salesiano, mise mano al progetto educativo mentre venivano avviati i lavori di ristrutturazione degli ambienti, per trasformare i locali del vecchio istituto della scuola media che aveva chiuso i battenti da anni. Oltre alla struttura abitativa, rispondente alle caratteristiche necessarie per progettare una comunità residenziale, l’opera salesiana disponeva di una “marcia in più”, rappresentata dagli ampi spazi dell’Oratorio, che da sempre sono elemento importante e imprescindibile del carisma salesiano e del sistema preventivo, e che continuano ad essere una grande risorsa per i ragazzi delle comunità, soprattutto in questo periodo di pandemia.

Con l’inserimento in comunità della prima ragazzina ospite, nel luglio del ’96, l’attività prendeva ufficialmente l’avvio: ad oggi sono 149 i minori che hanno condiviso un tratto più o meno lungo della propria esistenza in seno alla comunità Harambée: “Sono volti, storie, ciascuno con le sue peculiarità – raccontano gli operatori che compongono l’équipe educativa, équipe che si è a sua volta trasformata in questi anni -. Una straordinaria ricchezza di vita, fatta di gioie, di fatiche, di scommesse vinte, ma anche di fallimenti, di delusione… Al centro, però, c’è sempre la relazione tra il ragazzo con il suo vissuto, spesso problematico, sofferto, e l’educatore, che si pone al suo fianco, pronto a mettersi in gioco, mantenendo un atteggiamento di fiducia”.

In questo senso i servizi di Harambée nascono attorno ad un bisogno, letto e rivisitato alla luce dell’esperienza educativa, nella fiducia di poter costruire qualcosa di buono, in un incastro di risorse e di competenze che cercano di prendere forma attraversando le storie e i sogni dei ragazzi.

Il trascorrere del tempo e le mutate condizioni sociali hanno trasformato i bisogni e le richieste dal punto di vista educativo: grazie anche alla preziosa esperienza maturata in questi anni di attività, l’équipe educativa è stata in grado progressivamente di diversificare e ampliare la propria offerta di servizi, rendendo così molto feconda la realtà di Harambée. Grazie anche ad un sapiente lavoro di rete, alla costruzione di solide collaborazioni con istituzioni, famiglie, agenzie educative, volontarie e al supporto costante della famiglia salesiana, locale e ispettoriale, i servizi ad oggi attivati attorno alla tutela e alla promozione del benessere dei minori e dei neomaggiorenni si sono arricchiti e diversificati.

OVER 18

Al raggiungimento della maggiore età, i ragazzi lasciano la comunità e sono accompagnati nella complicata fase di sgancio dall’equipe educativa, che stila un progetto educativo insieme all’ospite e al Servizio Sociale di riferimento, con l’obiettivo di concretizzare l’autonomia, quando non è possibile un ritorno in famiglia. Questo percorso è accompagnato e monitorato da uno o più educatori, a seconda delle esigenze.

GApp

Accanto alla storica comunità nasce nel 2015 un gruppo appartamento per ragazzi dai 16 ai 21 anni: in risposta agli emergenti bisogni di accoglienza del territorio, la comunità ha scelto di spendersi per offrire l’opportunità di avviamento alla vita autonoma e alla costruzione di un futuro possibile a giovani provenienti da terre lontane. Al loro arrivo, soli e spaventati, i giovani immigrati scoprono un paese nuovo e cercano di inserirsi in una nuova realtà: apprendimento della lingua, espletamento delle questioni burocratiche e stesura di un progetto di vita che, grazie a formazione e al lavoro, consenta loro di introdursi in una vita adulta con basi solide.

CEM – CENTRO EDUCATIVO MINORI

Il progetto del centro diurno nasce dalla constatazione di una richiesta, spesso pressante, di dare risposte ad un disagio diffuso e sfuggente, e si configura come preventivo del disagio. In una struttura adiacente la comunità, si accolgono nel tempo diurno (ore pomeridiane) fino a sei preadolescenti in età scolare provenienti dal territorio casalese e territori limitrofi. La relazione educativa che si instaura con loro comprende attività finalizzate allo svolgimento dei compiti scolastici, cura della persona, momenti di formazione umana, attività laboratoriali e ludiche, momenti di socializzazione esterna attraverso attività sportive e culturali. La stesura di un progetto educativo individualizzato e di gruppo detta obiettivi e tempi per il raggiungimento degli obiettivi, in un percorso dinamico e funzionale e attraverso verifiche intermedie. 

LUOGO NEUTRO E SOSTEGNO ALLA GENITORIALITÀ

In locali adiacenti alla comunità si offre la possibilità di svolgere incontri tra i minori e i familiari in un luogo protetto, chiaramente sotto la supervisione degli educatori ed avendo sempre come priorità la tutela dei minori.

PROGETTO FAMIGLIE AFFIDATARIE

Nell’ottica di suscitare e potenziare le reti di collaborazione con le comunità, gli educatori ricercano e sperimentano azioni di avvicinamento, con l’obiettivo di creare un gruppo di famiglie a supporto dell’attività educativa e disponibili ad eventuali affidi e adozioni.

PERCORSI EDUCATIVI TERRITORIALI PERSONALIZZATI

Servizi richiesti dal servizio sociale o da privati di supporto a  minori e alle loro famiglie che vivono sul territorio con obiettivi specifici e personalizzati rispetto ad alcune fragilità del percorso evolutivo.

CONSULENZA EDUCATIVA PER ENTI ED ASSOCIAZIONI

Forte dell’esperienza maturata in questo lungo e proficuo percorso educativo, Harambée offre il proprio know-how educativo e organizzativo ad enti e associazioni che operano nel settore dei servizi educativi per minori e famiglie.

PROGETTO BORSE LAVORO

Si tratta di progetti di attività lavorativa per minori ospiti della comunità o in autonomia abitativa. Col tempo si è costruita un’ampia rete di partner sul territorio con i quali Harambée collabora da anni.