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Valsalice: incontro con Domenico Quirico, inviato di guerra, giornalista e scrittore

Notizia a cura della Scuola Valsalice.

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Interessante momento per i ragazzi di quinta superiore e per i genitori che hanno partecipato all’incontro con Domenico Quirico, inviato di guerra, giornalista e scrittore.

Lo ringraziamo per la testimonianza profonda e toccante e anche per aver affrontato un tema così scottante e contemporaneo con professionalità e competenza.

 

Testimonianza da Novara: “Questa scuola mi ha insegnato a contare, ma soprattutto ciò che conta!”

Notizia a cura dei salesiani di Novara.

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Fin da quando ero bambino ho sempre nutrito un profondo interesse per la matematica e le materie scientifiche. Ogni formula che mi si presentava, ogni concetto apparentemente complicato suscitavano in me una forte ammirazione, nonostante non riuscissi pienamente a comprenderli. La svolta decisiva avvenne nell’estate del 2019, anno in cui lessi il mio primo libro di matematica e mi iscrissi al Liceo Scientifico San Lorenzo.

I miei anni qui al San Lorenzo sono stati determinanti per indirizzarmi verso gli studi matematici: non posso fare a meno di ringraziare tutti quei professori (ed ex professori) che nel corso di questi cinque anni si sono rivelati di grande aiuto per me, cercando di coinvolgermi e stimolarmi a fare sempre meglio. Il mio percorso parte fin dalla classe prima, con la partecipazione ai Pomeriggi Fisici, grazie ai quali ho avuto l’occasione di confrontarmi con una comunità coesa e motivata, costituita da tutti gli allievi e insegnanti del San Lorenzo che condividono la passione per le scienze matematiche/fisiche.

Ritengo che i Pomeriggi Fisici, con i suoi incontri finalizzati ad approfondire concetti scientifici spesso complicati,  rispecchino i valori del San Lorenzo, che offre ai suoi allievi sia un piano didattico classico sia un insieme di attività formative e stimolanti, in cerca della realizzazione completa della persona. Proprio a partire da queste opportunità sono riuscito a trasformare gradualmente l’interesse per la matematica in una vera e propria passione, anche grazie a esperienze di PCTO settoriali e approfondimenti individuali.

Il supporto ricevuto dalla scuola si è reso però sempre più evidente a partire dal quarto anno di liceo, anno in cui mi sono qualificato in finale nazionale delle Olimpiadi della Matematica per la prima volta: si è trattata di una novità anche per il San Lorenzo e gli insegnanti mi hanno seguito in maniera diligente, spesso rinunciando al loro tempo libero per correggere le dimostrazioni che preparavo oppure dedicandomi interi pomeriggi per fare esercizio insieme.

Grazie al loro supporto e ad una buona dose di impegno personale, quest’anno sono riuscito a qualificarmi in finale nazionale per la seconda volta consecutiva, conseguendo la “Menzione d’Onore”, un riconoscimento attribuito alle migliori dimostrazioni.

Sarò sempre riconoscente alla scuola e ai suoi docenti per avermi seguito in questi anni e per avermi offerto queste numerose opportunità: se il prossimo anno sarò studente di matematica o fisica è anche grazie a loro!

-Michele Dejana, 5B

Chatillon: incontro di quaresima con l’ADMA e preparazione alla Pasqua con l’Housing Don Bosco Agnelli

Notizia a cura dei salesiani di Chatillon.

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Il 15 Marzo, in occasione della quaresima ai genitori dell’Istituto salesiano di Chatillon è stata proposta una serata di testimonianza.

I genitori dell’Istituto hanno avuto la possibilità di incontrare Letizia e Domenico, moglie e marito, che fanno parte dell’ADMA (Associazione di Maria Ausiliatrice), i quali hanno condiviso la loro esperienza di vita e di fede, nonostante la malattia di Domenico.

Alla fine dell’incontro i genitori hanno avuto la possibilità di porre delle domande alla coppia per avere degli ulteriori chiarimenti.

18 marzo 2024, i ragazzi del triennio dell’IPIA (Istituto professionale) di Chatillon hanno avuto la possibilità di vivere una mattinata di preparazione alla Santa Pasqua.

Per guidare i ragazzi è venuto don Alberto Zanini Sdb, Salesiano responsabile del “Housing Don BoscoAgnelli di Torino.

Ai ragazzi ha proposto la sua esperienza maturata in mezzo a molti ragazzi immigrati e ha spiegato come essi abbiano contribuito alla sua crescita personale.

Nella stessa giornata i ragazzi hanno avuto anche la possibilità di fare la confessione.

 

«Ragazzi, vi racconto la guerra» – La Voce e il Tempo

Si riporta di seguito l’articolo apparso su La Voce e il Tempo a cura di Marina Lomunno.

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Scuole di Valdocco – Lucia Castellino, 97 anni, ha raccontato agli studenti di Terza Medie e del biennio delle scuole professionali la tragedia dell’occupazione nazista

La storia si impara sui libri, ma quando in cattedra sale un protagonista delle vicende che il professore ti ha spiegato a lezione l’interrogazione sicuramente andrà bene. E soprattutto, la storia avrà svolto la sua missione di «maestra di vita» (historia magistra vitae…): così sarà per i ragazzi e le ragazze di Terza Media della Scuola Valdocco e del biennio delle Scuole professionali salesiane che giovedì scorso, in occasione della Giornata della Memoria, hanno ascoltato «senza far volare una mosca» la testimonianza della signora Lucia Castellino, 97 anni.

«Nonna Lucia» ha spiegato con lucidità impressionante una pagina della Seconda guerra mondiale, «una brutta bestia», vissuta quando era coetanea degli studenti che hanno gremito la Sala Sangalli a Valdocco, incalzata dalle domande di Davide Sordi, preside della Scuola Media «Don Bosco» e di Giuseppe Puonzo, responsabile della comunicazione CNOS-FAP Piemonte.

Non è la prima volta che la signora Lucia rievoca la «brutta bestia» come ha ripetuto più volte: è stata invitata dal Centro professionale salesiano di Fossano e volentieri, accompagnata dalla figlia a Valdocco, «è ritornata ragazza».

«Sono nata in una frazione di Peveragno a sei chilometri da Boves in provincia di Cuneo e avevo la vostra età quando i tedeschi con i cappotti lunghi e grigi, gli elmetti e gli stivali neri hanno bruciato il mio paese. Mio fratello era in Russia ed è tornato con i piedi congelati; l’altro mio fratello non l’abbiamo più visto e mia cognata è rimasta vedova con due bambini. Arrivavano dalla città tanti sfollati, non avevamo molto da mangiare, ma li aiutavamo come potevamo».

E ancora:

«Nel mio paese nessuno ha fatto la spia con le SS per segnalare se c’erano persone ebree… Sento ancora le bombe in lontananza, le grida dei tedeschi, le donne che tornavano dalla città piangendo perché dal fronte non arrivano notizie dei mariti che non sarebbero più tornati. Avevamo fame tutto era razionato c’erano le tessere annonarie. Sapete cosa sono? Che brutta bestia la guerra! Oggi non riesco a guardare il telegiornale: non avrei mai detto a quest’età di avere di nuovo la guerra vicina. Dopo quello che ho visto, tanti morti, famiglie decimate, orfani: l’umanità non ha imparato nulla… poveri ragazzi».

La signora Lucia racconta «la pagina più triste» della Seconda guerra mondiale vissuta in Italia.

«Un giorno abbiamo sentito per radio che era stato proclamato l’armistizio. Era una bella parola ‘armistizio’, significa ‘fine della guerra’: invece per noi di Peveragno e di Boves iniziò la tragedia: arrivavano in paese soldati allo sbando, altri salivano in montagna, i tedeschi non se ne andavano»

ricorda Lucia. Dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943, cominciano a nascere le prime formazioni partigiane: ed è proprio a Boves, dove è nata una delle prime unità partigiane, che i nazisti si macchiarono della prima strage in Italia, il 19 settembre 1943, un massacro di civili innocenti.

Era una domenica: un gruppo di partigiani sceso in paese si imbatte in due soldati tedeschi della divisione SS Leibstandarte «Adolf Hitler» che li fa prigionieri. Sono gli uomini di Ignazio Vian, uno degli ufficiali che dopo l’armistizio dell’8 settembre hanno di combattere contro i tedeschi, rifugiandosi sulle montagne.

Le SS al comando di Theodor Wisch e di Joachim Peiper, occupano Boves: pretendono la restituzione dei prigionieri e convocano le autorità del paese. Si presenta solo il parroco don Giuseppe Bernardi insieme a un imprenditore, Antonio Vassallo: li costringono a salire sulle montagne per trattare con i partigiani. Se non verranno liberati i due tedeschi, Boves sarà bruciata.

Don Bernardi chiede di mettere nero su bianco l’impegno di risparmiare il paese in cambio dei due soldati. Peiper si indigna: non si discute la parola (che non sarà rispettata) di un ufficiale tedesco! Il parroco e Vassallo convincono i partigiani a consegnare gli ostaggi, ma i nazisti infrangono l’accordo e Boves viene data alle fiamme, muoiono 23 civili. Tra le vittime anche il giovane vice parroco don Mario Ghibaudo, 23 anni: lo uccidono mentre benedice un moribondo. Il parroco e Antonio Vassallo vengono bruciati vivi.

Ma non finisce qui, rammenta Lucia: tra il 31 dicembre 1943 e il 3 gennaio 1944, durante un rastrellamento per stanare i partigiani, i nazisti bruciano di nuovo Boves: 59 vittime. Il 26 aprile 1945, all’indomani della liberazione, i tedeschi in ritirata si accaniscono ancora sui bovesini uccidendone 9. Per questi eccidi Boves è stata insignita delle medaglie d’oro al valor civile e al valor militare e i due sacerdoti sono stati proclamati beati.

«Ma anche Peveragno abbiamo avuto la nostra strage nazi-fascista» conclude Lucia, «furono trovati tre soldati tedeschi morti e il 10 gennaio 1944, i nazi-fascisti ammazzano 30 peveragnesi. Oggi sono ricordati in piazza 30 Martiri».

Una lezione di vita che rimarrà impressa nella memoria dei ragazzi, che dopo l’incontro, invitati dai professori, hanno scritto su un cartellone le loro impressioni:

«La guerra è bruttissima e può provocare solo danni»; «sono felice che qualcuno possa raccontarci ciò che ha vissuto, anche cose brutte»; «ho riflettuto sul fatto che noi ci lamentiamo spesso senza pensare che ci sono persone che alla nostra età erano più sfortunate»; «ho capito che senza guerre il mondo sarebbe un posto migliore per tutti»; «le nonne sono preziose»; «sono rimasta colpita dal fatto che Lucia non si sia scoraggiata e che ancora oggi abbia la forza di raccontare»; «ho capito che la guerra non serve a niente!»; «io alla sua età non sarei riuscita ad affrontare così la guerra»; «ho capito quanto si soffre quando di due fratelli ne torna solo uno»; «abbiamo finalmente compreso come funziona la guerra e che non è la soluzione, non serve a niente»; «bisogna portare rispetto a tutti coloro che hanno difeso la nostra patria»; «sentire persone che hanno avuto morti in famiglia per la guerra fa riflettere». «Per evitare la guerra bisogna ricordare». «Stop war, amore e pace».

CFP Vercelli: testimonianza Debora e Francesca della Cooperativa Maria Cecilia di Biella

Dal sito del CFP di Vercelli.

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Il 20 aprile abbiamo sentito la testimonianza di Debora e Francesca della Cooperativa Maria Cecilia di Biella su ciò che provano e vivono nello svolgere il loro impegno a favore di persone che arrivano da altri paesi ma anche di persone del luogo.

Francesca ci ha raccontato del suo servizio al Cas di Cossato. I miei genitori hanno sempre accolto persone immigrate in casa:

Ora vivo con altre 17 donne al Centro di Accoglienza delle donne. All’inizio (avevo 22 anni) un po’ mi spaventava la cosa, voleva dire differenze culturali, abitudini diverse, differenza di età, ecc. Poi in quelle persone ho iniziato a riconoscere mia zia, mio nipote, la mia amica.
Sono donne molto sensibili, non si aprono facilmente, stanno con noi 6 mesi/1 anno le sosteniamo nella parte burocratica e sanitaria o per il permesso di soggiorno.

Uno dei drammi peggiori che vivono e il problema della tratta, fenomeno di inganno, …”se mi dai 10 mila euro, ti porto in Italia e ti prometto il mondo, ma ti devi fidare di me”.

Si fidano di persone che poi le mettono sulla strada, allora bisogna offrire loro un sostegno emotivo e non solo: il poter chiudere la loro porta della camera a chiave, diventa un privilegio. La struttura che le accoglie, per quanto antiquata a loro sembra un hotel 5 stelle. Così si ritrovano poi a ripagare il debito per tutta la vita.

Vivo al Cas per una mia scelta personale oltre che professionale. Tante cose prima mi sembravano banali ora guardo le cose con occhi diversi. Per esempio il carrello della spesa per le donne, che figata, ci faccio un giro, gli sembra un parco divertimenti o il fatto che io guidassi l’auto cosa che a loro sembra una cosa assurda.

Poi Debora ha raccontato la sua esperienza:

Insegno ai migranti che arrivano in Italia ma è aperta a tutti, anche per chi vive qui da un po’ e hanno bisogno di imparare l’italiano. All’interno dell’aula ci sono diverse culture. Bisogna imparare a rispettare. Dietro l’italiano c’è l’opportunità per stare assieme, e si impara a stare assieme, a rispettarsi, nonostante la diversa provenienza e cultura. La scuola è diventata una grande famiglia, c’è una palestra e con il tempo abbiamo aperto un laboratorio.

Pensate alla loro difficoltà di arrivare in un paese sconosciuto e devono cercare di esprimersi. Mettiamoci nei panni di chi arriva qui è ed completamente disorientato, a volte basta una parola buona: fa piacere a chi arriva perché non si sente trasparente.

Per sentire il bene, va sperimentato non possiamo sentirlo per telefono. Fate voi la differenza, date voi l’esempio.

Il mio impegno è di riuscire ad arrivare a loro, dandogli gli strumenti per poter stare bene qui: e non è solo per il problema dell’italiano.

In passato sono stata in missione In Africa, ho imparato molto, vai perché vorresti cambiare le cose e invece ti rendi conto che la gente cambia te! Ti accolgono in un modo speciale, pieno d’amore, soprattutto i bambini. Ci sono persone che ti accolgono con il sorriso, diversamente da come noi accogliamo la gente in Italia. Ti insegnano a condividere la tua vita con loro.

Nonostante tutti i problemi che hanno, sono sempre sereni: quando penso all’Italia mi viene da dire che abbiamo troppo. Li si viveva una vita essenziale condividendo con gli altri il poco che c’era. Il bene è generativo, io dono all’altro ma nello stesso tempo mi fa stare bene a me.

Hanno concluso l’incontro facendo scrivere agli allievi che cosa li avesse colpiti di più delle loro parole su un post. Debora e Francesca, grazie per il vostro esempio!

Oratorio Don Bosco Agnelli: testimonianza missionaria

Venerdì 4 novembre presso l’oratorio salesiano Don Bosco Agnelli si è svolta una testimonianza da parte di tre ragazze partite in missione quest’estate ai ragazzi di gruppi formativi ForMe e ForUs dell’oratorio.

Erano presenti Giulia Meucci partita per la Lituania, Sara Busato e Sara Scrivo partite per la Romania e anche Andrealisa partita qualche anno per l’Africa.

Dopo un primo video di presentazione e un breve racconto dell’esperienza è stato lasciato lo spazio ai ragazzi per porre domande a coloro che erano partite. Per quest’ultime è stata una bella occasione per rivivere l’esperienza vissuta e donarla anche ad altri ragazzi; per riflettere sulle motivazioni che le hanno spinte a partire e sul loro ritorno dalla missione.

Agnese: «Quello che perdiamo con la didattica a distanza» – La Voce e il Tempo

Scuola e didattica a distanza. Di seguito la testimonianza di Agnese, una studentessa maturanda del liceo salesiano Valsalice riportata su la Voce e il Tempo.

Agnese: «Quello che perdiamo con la didattica a distanza»
Scuola e pandemia – Abbiamo chiesto ad una maturanda del liceo salesiano Valsalice di Torino di scrivere come si vive l’ultimo anno delle superiori «a distanza»

(Di Redazione – 12 Marzo 2021)

Se mi chiedessero: «Agnese, preferisci la sveglia alle 6 e la corsa per non perdere il pullman oppure accendere la web-camera del tuo computer e sederti al tavolo della tua camera, ancora in sonno veglia?», probabilmente risponderei d’istinto: la seconda opzione. Ma la verità è che, per quanto sia bello passare dall’essere ancora in pigiama all’essere «già» in pigiama, la didattica a distanza è solo un’eco lontano della vera scuola.

A parer mio, la nuova modalità non ha nulla a che vedere con la scuola tradizionale. Mi spiego: la scuola è la chiacchierata con la compagna mentre aspetti l’apertura delle classi; è lo sguardo che si incrocia per le scale; è la battuta che provoca la risata; è il volto turbato prima dell’interrogazione; è il «face to face» col professore; è l’attesa della campanella; è il mettersi ogni secondo in discussione. Insomma, la scuola è relazione, apprendimento, gioia, tristezza, crescita personale… è vita!

Al contrario, la lezione da remoto diviene un mero meccanismo di ascolto – prendo appunti – capisco – ripeto. E tu sei quel quadretto a piè di schermata, solo, stereotipato e un po’ fragile, con le tue angosce e le tue felicità che non puoi condividere; con tanti desideri, tanti aneliti, tante parole, tanti perché e tanti come, che pian piano rinchiudi in te stesso e divengono calore di fiamma lontana.

Non si può dunque paragonare il vivere della scuola col vivacchiare della didattica a distanza, la lezione in presenza con quella da remoto, l’immensità con la limitatezza. Dico questo e ne sono convinta, perché arrivati in quinta liceo sembra un lontano ricordo la scuola ordinaria, tra i banchi, senza mascherine, con i professori e i volti «nudi» dei compagni.

Ma «di necessità, virtù» dicevo all’inizio, e, da maturanda ringrazio sia di esser riuscita a fare la maggior parte dei miei anni di liceo nella normalità, sia per lo sforzo cercato per creare una modalità che non disperdesse nel nulla gli anni passati.

Nessuna luce in fondo al tunnel? Beh, sì: la maturità. Infatti, se pur l’incertezza sia stata la linea guida di questi ultimi mesi, sembra che, in questa situazione, proprio la maturità sia l’unica piacevole certezza. Innanzitutto, perché la prova finale promuove la messa in gioco del candidato, che dà voce di sé con una relazione iniziale personale. Quindi i professori valutano le capacità acquisite e perfezionate negli anni, e non solo negli ultimi cinquanta minuti. Inoltre, l’assenza di scritti è sicuramente un ulteriore aspetto positivo, in quanto limita l’incognita e riconosce il cammino senza racchiudere l’individuo in base all’andamento della prova stessa.

Infine, la bellezza di avere, probabilmente, gli stessi professori (con cui il rapporto è divenuto un vero legame), in un momento così importante della propria vita e che per sempre sarà ricordato, è un vero e proprio onore.

Dunque, a questo punto posso dire che preferirei mille volte sentire il suono della sveglia quasi all’alba e vedere dal pullman appena preso per un fiato, la città che lentamente si sveglia mentre vado a scuola.

Agnese DONNA
III Liceo Classico, Valsalice

Parole di vite che non si arrendono: storie lungo il cammino quaresimale, con Alessandro Ciquera

Una parola, una storia. Una storia, una persona. Una persona, una vita. Vita.

Una proposta di Cammino Quaresimale con parole di vite che non si arrendono, attraverso la testimonianza dei protagonisti presentati da Alessandro Ciquera e Marco Canta nel libro “La speranza ha il vestito azzurro” edito da Effatà Editrice.

Grazie all’utilizzo di una singola parola, l’autore Alessandro Ciquera ha cercato di tirare fuori l’essenza di ciascun racconto. Ogni mercoledì e venerdì di Quaresima, in prima visione alle ore 20.00 sui canali social @MGSPiemonte e @SalesianiICP, sarà così possibile seguire le storie di vita narrate dal libro con la contestualizzazione del luogo in cui nasce il racconto, la storia legata alla persona e l’auspicio di un gesto concreto consigliato per tutti noi.

Una piccola anticipazione: le parole di questa settimana saranno CORAGGIO, con la storia di Fatima (disponibile di seguito), e PERSEVERANZA con la vita di Rabia.

Tutte le storie pubblicate nel corso del Cammino Quaresimale saranno rese disponibili sulla pagina dedicata “Parole di vite che non si arrendono

Parole di vite che non si arrendono

Ogni mercoledì e venerdì di Quaresima, in prima visione alle ore 20.00
sui canali social @MGSPiemonte e @SalesianiICP

Cnos Fap Fossano: gli studenti si raccontano

Le allieve e gli allievi del CNOS-FAP di Fossano si raccontano agli studenti delle classi terze medie.

Sorprenditi, imparare attraverso il fare si può.

La nostra vita è come un viaggio: una strada ora in salita, ora in discesa

Pubblichiamo la testimonianza di Fatima, giovane studente del CnosFap di Valdocco, presente su La Voce e il Tempo – a cura di Rosarina Spolettini, insegnante – riguardo la strada che l’ha condotta a Torino. Buona lettura!

«La nostra vita è come un viaggio, una strada ora in salita, ora in discesa, tortuosa o dritta».

È il titolo di un tema assegnato a Fatima S. durante questo anno scolastico e non poteva essere più calzante, perché la sua vita è un viaggio e non certo turistico…

Ho incontrato Fatima presso una biblioteca civica torinese, dove svolgo servizio di volontariato per insegnare l’italiano agli stranieri e mentre le davo una mano nello studio ho conosciuto la sua tormentata storia di figlia di migranti.

Il primo viaggio l’ha portata a Torino dal Marocco, suo paese di origine, dove ha frequentato per due anni la scuola elementare. Poi nuovamente in Marocco, dove è rimasta per sette anni con il rammarico di lasciare Torino, la scuola, i compagni e le maestre con cui si trovava bene, cosa facile quando si è bambini .

Nel 2017 un terzo viaggio, ancora per motivi di lavoro del padre, l’ha riportata a Torino: tutto più è stato difficile, una strada in salita e piena di sassi. Si iscrive presso un istituto tecnico solo con una connazionale sua vicina di casa (se casa si può definire una stanza a piano terra, ex bottega, senza riscaldamento e con i servizi nel cortile, dove Fatima viveva con la sua numerosa famiglia).

Presto si è resa conto che quella scuola scelta era troppo difficile a partire dalla lingua e anche farsi degli amici era diventato difficile. Era isolata, alcuni compagni le dicevano di tornarsene al suo paese: si sentiva morire dentro, senza più fiducia in se stessa, perdente. Poi l’incontro in biblioteca dove ho capito che il problema non era solo la lingua ma la ricostruzione di un sé smarrito ed insieme abbiamo iniziato un percorso di conoscenza.

La solidarietà e l’empatia ci aiutano ad allargare i nostri orizzonti; confrontarci con lingue e culture nuove, ci cambia interiormente ed è proprio quello che mi è capitato con Fatima. Ho iniziato ad ascoltarla e lei si è sentita accolta, è riuscita a dire ciò che provava e parlare delle sue paure. Insieme abbiamo deciso di scegliere una scuola più adatta a lei ed Fatima si è iscritta ad una corso di formazione professionale salesiana presso il Cnos-Fap di Valdocco di Torino. E a Fatima si è aperto un mondo.

Lo stile educativo di don Bosco è stato per lei, ragazza musulmana, terapeutico sotto tutti i punti di vista. Ha iniziato il primo anno con speranze e paure, poi le speranze sono diventate certezze e la paura è scomparsa. Ha conosciuto professori che hanno saputo accoglierla, guardando oltre le sue reali difficoltà e dandole fiducia. Questa pratica educativa ricorda la ricerca-azione, il cui scopo non è solo quello di dare conoscenze, ma introdurre cambiamenti migliorativi, attraverso la complessità, come attenzione a tutto l’essere umano e l’ascolto sensibile, basato sull’empatia per ottenere il cambiamento.

Fatima si è impegnata molto nel cercare di migliorarsi ed ha raggiunto nei giorni scorsi il traguardo della qualifica. Ora la sua strada è più facile, ci sono meno salite ed ha imparato a guardare al futuro con fiducia ed anch’io sono cresciuta con lei.

Rosarina Spolettini, insegnante