Agnese: «Quello che perdiamo con la didattica a distanza» – La Voce e il Tempo

Scuola e didattica a distanza. Di seguito la testimonianza di Agnese, una studentessa maturanda del liceo salesiano Valsalice riportata su la Voce e il Tempo.

Agnese: «Quello che perdiamo con la didattica a distanza»
Scuola e pandemia – Abbiamo chiesto ad una maturanda del liceo salesiano Valsalice di Torino di scrivere come si vive l’ultimo anno delle superiori «a distanza»

(Di Redazione – 12 Marzo 2021)

Se mi chiedessero: «Agnese, preferisci la sveglia alle 6 e la corsa per non perdere il pullman oppure accendere la web-camera del tuo computer e sederti al tavolo della tua camera, ancora in sonno veglia?», probabilmente risponderei d’istinto: la seconda opzione. Ma la verità è che, per quanto sia bello passare dall’essere ancora in pigiama all’essere «già» in pigiama, la didattica a distanza è solo un’eco lontano della vera scuola.

A parer mio, la nuova modalità non ha nulla a che vedere con la scuola tradizionale. Mi spiego: la scuola è la chiacchierata con la compagna mentre aspetti l’apertura delle classi; è lo sguardo che si incrocia per le scale; è la battuta che provoca la risata; è il volto turbato prima dell’interrogazione; è il «face to face» col professore; è l’attesa della campanella; è il mettersi ogni secondo in discussione. Insomma, la scuola è relazione, apprendimento, gioia, tristezza, crescita personale… è vita!

Al contrario, la lezione da remoto diviene un mero meccanismo di ascolto – prendo appunti – capisco – ripeto. E tu sei quel quadretto a piè di schermata, solo, stereotipato e un po’ fragile, con le tue angosce e le tue felicità che non puoi condividere; con tanti desideri, tanti aneliti, tante parole, tanti perché e tanti come, che pian piano rinchiudi in te stesso e divengono calore di fiamma lontana.

Non si può dunque paragonare il vivere della scuola col vivacchiare della didattica a distanza, la lezione in presenza con quella da remoto, l’immensità con la limitatezza. Dico questo e ne sono convinta, perché arrivati in quinta liceo sembra un lontano ricordo la scuola ordinaria, tra i banchi, senza mascherine, con i professori e i volti «nudi» dei compagni.

Ma «di necessità, virtù» dicevo all’inizio, e, da maturanda ringrazio sia di esser riuscita a fare la maggior parte dei miei anni di liceo nella normalità, sia per lo sforzo cercato per creare una modalità che non disperdesse nel nulla gli anni passati.

Nessuna luce in fondo al tunnel? Beh, sì: la maturità. Infatti, se pur l’incertezza sia stata la linea guida di questi ultimi mesi, sembra che, in questa situazione, proprio la maturità sia l’unica piacevole certezza. Innanzitutto, perché la prova finale promuove la messa in gioco del candidato, che dà voce di sé con una relazione iniziale personale. Quindi i professori valutano le capacità acquisite e perfezionate negli anni, e non solo negli ultimi cinquanta minuti. Inoltre, l’assenza di scritti è sicuramente un ulteriore aspetto positivo, in quanto limita l’incognita e riconosce il cammino senza racchiudere l’individuo in base all’andamento della prova stessa.

Infine, la bellezza di avere, probabilmente, gli stessi professori (con cui il rapporto è divenuto un vero legame), in un momento così importante della propria vita e che per sempre sarà ricordato, è un vero e proprio onore.

Dunque, a questo punto posso dire che preferirei mille volte sentire il suono della sveglia quasi all’alba e vedere dal pullman appena preso per un fiato, la città che lentamente si sveglia mentre vado a scuola.

Agnese DONNA
III Liceo Classico, Valsalice