Progetto IN.S.I.E.ME. – per un’educazione di qualità

Si presenta l’iniziativa del progetto IN.S.I.E.ME. con tutti gli appuntamenti dedicati.

IN.S.I.E.ME. 

INiziative di Sostegno Inclusivo E MEdiazione per un’educazione di qualità e il contrasto ai fenomeni di marginalità ed esclusione sociale.

Ministero del lavoro e delle Politiche Sociali, Avviso n. 1/2017

 

Il percorso di Formazione e Sostegno all’avventura di Educare sarà suddiviso in 6 appuntamenti tra ottobre 2019 e febbraio 2020, nei pressi di Venaria Reale (TO):

INCONTRO DI PRESENTAZIONE
“Ragazzi e adulti in bilico. Sguardi educativi sul malessere dei giovani”
Testimonianza di Don Domenico Ricca, Cappellano dell’Istituto Penale Minorile Ferrante Aporti di Torino
MARTEDÌ 29 OTTOBRE 2019 – dalle ore 20:45
presso l’Istituto Comprensivo “Don Milani”, Corso Papa Giovanni XXIII n.54

Altri appuntamenti
dalle 18:00 alle 20:00
condotti dalla psicoterapeuta dott.ssa Daniela Rizzo del Centro Attivamente


15 NOVEMBRE 2019
“Genitori del nuovo millennio”
presso la Parrocchia San Lorenzo Martire, via S. Marchese, n.10


29 NOVEMBRE 2019
“Vivere l’adolescenza oggi”
presso la Parrocchia San Francesco d’Assisi, via San Francesco, n.25


13 DICEMBRE 2019
“Le sfide della crescita”
presso la Parrocchia Natività di Maria Vergine, piazza dell’Annunziata, n.10


24 GENNAIO 2020
“Affrontare i conflitti”
presso la Parrocchia San Francesco d’Assisi, via San Francesco, n.25


14 FEBBRAIO 2020
“Reti e alleanze educative”
presso l’Istituto Comprensivo “Lessona”, via Boccaccio, n.48

 

Durante gli incontri sarà disponibile un servizio di animazione per bambini e ragazzi.

Il percorso è gratuito e le iscrizioni sono aperte fino all’11 novembre 2019.

 

Salesiani Betlemme: l’azienda viti-vinicola Cremisan con il vino della Pace

Il vino della pace nella cantina dove lavorano cristiani e musulmani. A Betlemme in Palestina i Salesiani hanno aperto l’azienda viti-vinicola Cremisan per avvicinare i popoli. All’esterno guardie armate, all’interno un’oasi verde.

Si riporta l’articolo pubblicato ieri sul Corriere della Sera, a cura di Luciano Ferraro, nella sezione “Buone Notizie” riguardo il lavoro svolto dai Salesiani in Palestina con la nuova azienda viti-vinicola.

Il vino della pace nella cantina dove lavorano cristiani e musulmani

Martedì 8 Ottobre 2019 (buonenotizie.corriere.it) – Le grandi mani nodose di Bashir Sarras frugano tra le foglie di un alberello d’uva bianca e portano sotto il sole di Betlemme grappoli enormi. È un contadino palestinese che lavora la terra con un mulo, come ai tempi di Cristo e di Ponzio Pilato. L’uva ha forse lo stesso Dna di quella che, come è indicato nella Bibbia, trovarono i 12 inviati di Mosè nella valle dell’Escol:

«Vedi quanto è grosso quel grappolo d’uva? Ci vogliono due uomini per trasportarlo su un’asta».

La vita di Bashir è cambiata quando è diventato un «beneficiario». Si chiamano così i contadini che hanno ricevuto la terra dai salesiani in Terra Santa, con in testa il veneziano don Pietro Bianchi, che guida la cantina Cremisan. L’avamposto cattolico in Israele si trova tra Betlemme e Gerusalemme. La zona è classificata come C: paesi palestinesi con giurisdizione israeliana. La Corte Suprema di Tel Aviv, dal 2015, ha dato il via libera per l’estensione del muro di più di 700 chilometri anche nella valle di Cremisan. Nonostante le proteste dei cittadini (a maggioranza cristiana) di Beit Jala, e dei religiosi, contrari al progetto di una barriera di 1,2 chilometri con l’effetto di dividere il convento femminile da quello maschile.

I salesiani non si sono arresi. E hanno trovato il modo di unire i popoli divisi da politica e religione. Hanno costruito una grande cantina, sotto lo sguardo bonario di Don Bosco, che campeggia nella facciata esterna. Hanno chiamato un enologo internazionale come Riccardo Cotarella (lo stesso di D’Alema, Vespa e di altre 120 cantine nel mondo, tra cui quella della comunità di San Patrignano). E hanno assunto operai musulmani e cristiani. Fianco a fianco.

Il convento che ha generato la cantina è stato costruito nel 1885. All’esterno ci sono guardie armate. All’interno è un’oasi verde di pace. Arrivano gli sposi di ogni rito, per le foto. Una coppia araba si fa largo con una limousine bianca, enorme e con lo stereo a tutto volume.

«Questo – racconta don Pietro, massiccio e sorridente – è il luogo della convivenza pacifica . Abbiamo misure di sicurezza, ma sono soft. Abbiamo cambiato tre agenzie di vigilanza. Ci siamo liberati degli sceriffi con giubbotto anti proiettile che urlavano tutto il giorno. La gente della valle è orgogliosa di poter lavorare e visitare una cantina così bella in Palestina. Il nostro forno distribuisce gratis il pane a 160 famiglie palestinesi e lo vende ad altre 100 ad un prezzo irrisorio. Quando siamo arrivati il vino era così mediocre che nelle famiglie si beveva solo succo d’uva. Adesso vendiamo il vino anche a Gerusalemme, nella casa-ristorante-hotel dei francescani e anche in molti ristoranti».

I vigneti si affacciano su una collina che fino a qualche anno era quasi disabitata. Ora è ricoperta da case di famiglie israeliane.

«Le abitazioni dei palestinesi sono state fatte saltare – indicano i salesiani – noi abbiamo buoni rapporti con il governo di Tel Aviv. Le nostre porte sono aperte, aiutiamo i poveri, stiamo con i più deboli. Produciamo 170 mila bottiglie di vino».

Fuori dal convento, con il buio, i ragazzi palestinesi portano griglie e birre: ridono e cantano fino a notte, guardando le luci di Betlemme e Gerusalemme. Dopo una discesa nel bosco, tra i resti di un’antica villa, il filo spinato e i cavalli di Frisia, appare la cantina. Ci lavorano 15 operai e impiegati. All’orizzonte la città biblica di Gilo.

«Tra noi – spiega Fadi Batarseh, 28 anni, occhi azzurri e sguardo dolce, l’enologo laureato a Viterbo – non c’è razzismo. Viviamo assieme, musulmani e cristiani e vendiamo il vino anche a ristoranti con cucina ebraica. Quando ci sono le feste religiose o nazionali ognuno ha il diritto di comportarsi come crede o di assentarsi. Durante il Ramadan i musulmani non bevono neppure l’acqua, ed è dura sotto il sole. I vigneti si trovano ad una altitudine da 700 a quasi mille metri, in terrazzamenti dove si coltivano anche gli olivi, a volte antichi».

La produzione di vino è iniziata nel 1863 grazie a don Antonio Belloni, missionario ligure che voleva aiutare i ragazzi orfani della valle. La prima cantina è stata costruita nelle grotte naturali, poi è stato edificato il convento e in seguito l’edificio che ospita botti e barriques. Nel 2013 la cantina è stata rinnovata, sono arrivati un trattore Fiat, un frantoio regalato dall’ex sindaco di Orvieto Stefano Cimicchi, un distillatore piemontese con il quale si ricava un brandy invecchiato 35 anni.

«Quando a Beirut una ragazza che lavorava con i salesiani mi disse che c’era una cantina da aiutare a Betlemme, ho chiesto una mano agli amici imprenditori. È scattata – racconta Cotarella – la molla dell’altruismo per questa terra di nessuno. Mi sono immerso tecnicamente e umanamente in questa nuova avventura. Qui sono tutti fratelli, nonostante culture e religioni diverse».

Anche grazie alle donazioni della Chiesa austriaca, la cantina storica (ma fatiscente) che produceva 20 mila bottiglie si è trasformata. Ora dispone di buoni macchinari enologici.

«Puntiamo a 300 mila bottiglie. Presto – annuncia Cotarella – arriverà anche la birra Cremisan».

A due passi dai checkpoint, dalle strade blindate, dalle città in perenne stadio d’assedio, Cremisan si è lasciata alle spalle il periodo della beneficenza. E con la forza delle energie condivise dalla squadra multireligiosa in maglietta blu, è diventata una azienda vinicola pronta a conquistare i mercati mondiali. Il professor Attilio Scienza, l’Indiana Jones dei vitigni, ha analizzato terre e piante di Cremisan. La gamma dei vini si chiama Star Bethlehm, la stella cometa,

«ma senza enfasi religiosa, vogliamo vendere i vini perché sono buoni non per il richiamo religioso».

Mentre in Israele le cantine hanno scelto i vitigni internazionali (dal Cabernet franc al Sauvignon), Cremisan ha puntato soprattutto su due autoctoni, il bianco Dabouki che profuma di ginestra e somiglia al siciliano Cataratto; e il rosso Baladi, una sferzata agrumata e speziata, simile all’Aglianico, con eleganza beneventana e profondità irpina.

«Qui la natura è rigogliosa come ai tempi della Bibbia e dei grappoli così grandi da dover essere trasportati con un’asta», dice don Pietro. La nostra sfida è far capire che si può convivere in armonia nella natura, rispettando ogni diversità».

 

Carteggio tra Antonio Rosmini e don Giovanni Bosco – Corriere di Novara

Si riporta l’articolo oggi pubblicato dal Corriere di Novara nella sezione Vita &Arti dedicato al libro “Carteggio tra Antonio Rosmini e don Giovanni Bosco” a cura di don Gianni Picenardi, rosminiano, edito dalle Edizioni rosminiane di Stresa.

IL VOLUME Raccoglie il carteggio tra Antonio Rosmini e don Giovanni Bosco

Due stelle di prima grandezza nel firmamento del Cielo

“Conviene che noi ci aiutiamo reciprocamente, giacché abbiamo un solo fine”:

così, affidandosi alla divina Provvidenza (e a una strenua forza di volontà), scriveva Antonio Rosmini (1797-1855) a Giovanni Bosco (1815-1888) da Stresa il 19 febbraio 1855, dopo essersi conosciuti a Torino una quindicina d’anni prima circa, quando Rosmini aveva fatto catechismo ai suoi “biricchini”.

A cura di don Gianni Picenardi, rosminiano, è uscito il carteggio tra queste due grandi figure della Chiesa, edito dalle Edizioni rosminiane di Stresa (200 pagine, 10 euro): raccoglie anche la corrispondenza fra religiosi rosminiani con don Bosco e altre lettere di religiosi salesiani, realizzando così un quadro realistico e rivelatore dei rapporti fra i due fondatori, anche per il prezioso contributo di note del curatore e di utili appendici biografiche.

L’opera è stata presentata al Collegio Rosmini di Stresa alla presenza del cardinale Tarcisio Bertone, salesiano e del preposito generale dei Rosminiani, padre Vito Nardin.

Don Picenardi, augurandosi in futuro un’edizione completa del carteggio, individua le sei tematiche che animano le lettere: la “promozione vocazionale” , il “progetto iniziale di una comune collaborazione per Valdocco” (1850) con l ‘ idea di una casa rosminiana accanto all ‘ istituto salesiano, la “costruzione della chiesa di S. Francesco di Sales” (1851), “progetti di aprire una casa rosminiana e una tipografia comune a Torino“(1853), l’ “acquisto del terreno a Valdocco e la sua successiva rivendita a don Bosco” (1851-1854) e infine le ” buone relazioni e l’amicizia tra Salesiani e Rosminiani ” proseguite fino ai nostri giorni. Non si pensi che il dialogo tra queste anime elette non toccasse temi prosaici, perché spesso si tratta di soldi (in lire e in sterline) e cambiali, conti correnti, debiti e interessi, cedole al portatore e rendite, progetti di acquisti e vendite, disegni di fabbricati, sullo sfondo dell’Italia risorgimentale e del Conte Cavour, spesso nella persona del suo amministratore, Carlo Rinaldi, frequentemente impegnato a Torino per conto di Rosmini nei rapporti economici con don Bosco (tra i due epistolografo più assiduo). E può capitare di trovare (lettera di don Puecher a Rosmini, 5 luglio 1850) una descrizione di don Bosco in questi termini:

“mi pare un sacerdote fornito di molta pietà, semplicità e carità; di un ‘ indole mansueta, benevola e dolce; d’ingegno e cognizioni discrete, ma nulla più; di viste alquanto ristrette e anguste …”.

Su prevalenti questioni pratiche s’innestano i propositi di ” salute delle anime” per la quale tanto si adoperarono Rosmini e don Bosco, differenti per nascita e indole intellettuale, ma entrambi all ‘ insegna di un comune denominatore: la carità, attirando da subito un gruppo di collaboratori sempre crescente, per numero e zelo.

Nella presentazione del volume, il cardinale Bertone parla dei due protagonisti come ” due stelle di prima grandezza nel firmamento del Cielo, due carismi che hanno impreziosito la Chiesa e dato vita a due famiglie religiose che continuano a riverberarne la luce nel mondo ” , sottolineando la ” relazione di carità” da loro condivisa, mentre padre Nardin pone l’attenzione sulla Chiesa come ” società dei figli di Dio”: “alla vita consacrata spetta il compito di vivere e favorire il più possibile la realizzazione della preghiera di Gesù”. Ercole Pelizzone

 

ADMA: festeggiati i 150 anni di vita – Giornata Mariana

Domenica 6 ottobre 2019, presso Valdocco, si è tenuta la Giornata Mariana dell’ADMA nel 150° della fondazione dell’Associazione. Il tema scelto per l’occasione è stato “Condividi la grazia. Con Maria donna credente“.

L’incontro è iniziato alle ore 9.00 presso il Teatro piccolo di Valdocco e, dato il numero elevato di partecipanti, un gruppo di associati è stato dislocato nella Sala Sangalli da dove si è potuto seguire l’evento della mattinata in diretta streaming.

Un clima di festa e di raccoglimento ha caratterizzato tutta la giornata con numerose attività: al mattino le lodi guidate da don Pierluigi Cameroni (animatore dell’associazione), i canti, la rappresentazione dell’ADMA Giovani sui passi di Don Bosco e Maria Ausiliatrice, l’intervento del Rettor Maggiore don Ángel Fernández Artime sulla sua lettera scritta in occasione dei 150 anni dell’Associazione e alcune forti testimonianze di vita e di fede.

In merito alla Lettera dedicata all’ADMA, dopo aver ringraziato per l’invito all’iniziativa, il Rettor Maggiore ha sottolineato:

penso che sarà un aiuto per promuovere l’ADMA e la devozione a Maria Ausiliatrice in tutto il mondo.

Nel testo della sua Lettera:

“Ringrazio tutti coloro che rendono possibile questo cammino e invito tutta la nostra Famiglia Salesiana e tutte le nostre presenze a potenziare questo amore alla Madre con la stessa passione educativa ed evangelizzatrice vissute da don Bosco. Vi assicuro che non vi mancherà la protezione del Signore, la presenza materna di Maria Ausiliatrice e l’intercessione di don Bosco. In particolare, chiedo a 45 Gv 2,5. tutta la nostra Famiglia Salesiana: promuoviamo l’apertura di questa Associazione, nei luoghi dove non è ancora presente, con creatività pastorale, anche se sono passati 150 anni dalla sua fondazione. Maria Ausiliatrice farà il resto.

Nel pomeriggio ci si è ritrovati invece per il momento più celebrativo della giornata, con la preghiera del Santo Rosario in Basilica, la Celebrazione Eucaristica presieduta dal Rettor Maggiore ed infine il momento delle nuove adesioni all’Associazione ADMA.

6 OTTOBRE – TORINO VALDOCCO – 150° DI FONDAZIONE DELL'ADMA CON IL RETTOR MAGGIORE – 600 PARTECIPANTI DA TUTTA ITALIA

Publiée par ADMA don Bosco sur Dimanche 6 octobre 2019

6 OTTOBRE – TORINO VALDOCCO – 150° DI FONDAZIONE DELL'ADMA CON IL RETTOR MAGGIORE – CELEBRAZIONE EUCARISTICA – 55 NUOVI SOCI

Publiée par ADMA don Bosco sur Dimanche 6 octobre 2019

Rivivi il momento:

Valdocco con gli occhi di… L’urna di Don Bosco

Nella giornata di oggi, l’Agenzia d’Informazione Salesiana ANS pubblica un interessante video-documentario dedicato ai luoghi di Valdocco e in particolare alla Basilica di Maria Ausiliatrice. La puntata di oggi si apre con la spiegazione di uno degli elementi principali che caratterizza il cuore della Basilica: l’urna di Don Bosco. La parola è data don Enrico Lupano, Responsabile delle visite a Valdocco, il quale ha recentemente iniziato un corso di formazione su Don Bosco dal titolo “Un sogno che continua“.

Si riporta di seguito il video dedicato, disponibile anche sul sito della Basilica di Maria Ausiliatrice, nella sezione della Scopri la Basilica – “Altare di San Giovanni Bosco

La Voce e il Tempo: 150° Spedizione Missionaria, il mandato a 36 Salesiani e 12 Figlie di Maria Ausiliatrice

Si riporta l’articolo  di Marina Lomunno pubblicato su La Voce e il Tempo  in merito alla 150° Spedizione Missionaria tenutasi a Valdocco domenica 29 settembre.

CON IL RETTOR MAGGIORE – 150a SPEDIZIONE MISSIONARIA, IL MANDATO A 36 SALESIANI E 12 FIGLIE DI MARIA AUSILIATRICE

Da Valdocco ai cinque continenti

Il tradizionale appuntamento che ogni anno riunisce la famiglia salesiana nella Casa madre per dare il via all’ottobre missionario con l’invio dei fi gli e delle figlie di don Bosco nei Paesi più poveri del mondo, quest’anno è stato speciale: «Harambee 2019», in lingua swahili «raduno festoso», è caduto nell’anniversario della 150a spedizione missionaria salesiana: era l’11 novembre 1875 quando nella Basilica di Maria Ausiliatrice don Giovanni Bosco benediceva i «suoi» primi 5 missionari, guidati da don Giovanni Cagliero, primo vescovo e cardinale salesiano, con destinazione la Patagonia.

E domenica 29 settembre, il 10° successore di san Giovanni Bosco, il Rettor maggiore don Ángel Fernández Artime, durante la solenne concelebrazione in Basilica, ha consegnato la croce missionaria a 36 salesiani (4 europei, 12 africani, 16 asiatici) in partenza per i Paesi dove c’è più necessità di educazione e del sistema preventivo di don Bosco.

Tunisia, Kosovo, Venezuela, Medio Oriente, Turchia, Mongolia e Papua Nuova Guinea, alcune delle destinazioni dei missionari che si aggiungono ai 9.523 inviati nelle 150 spedizioni a partire dalla prima «inaugurata» da don Bosco. Ha ricevuto la croce anche il vescovo emerito di Neuquén (Patagonia) mons.

Marcelo Angiolo Melani, 81 anni, che dopo una vita da missionario si è messo a disposizione «laddove c’è bisogno» – ha spiegato don Artime durante l’omelia:

«partirà per il Perù amazzonico, alla vigilia del Sinodo straordinario convocato da Papa Francesco».

Accanto al Rettor Maggiore, anche madre Yvonne Reungoat, madre generale delle Figlie di Maria Ausiliatrice, che ha consegnato la croce a 12 consorelle in partenza per le missioni: una festa di famiglia che si rinnova ogni anno da quando il sogno di don Bosco ha iniziato a realizzarsi nelle periferie torinesi e che «oggi, sebbene il mondo sia cambiato, non ha mai smesso di dare frutti» ha sottolineato il Rettore, ricordando le 132 nazioni dove sono presenti i salesiani oggi.

«Noi siamo una congregazione il cui carisma ha al centro l’educazione e l’evangelizzazione soprattutto dei giovani più poveri per questo siamo una congregazione missionaria che, in linea con la parola profetica di Papa Francesco, continua ad inviare i fi gli nelle periferie del mondo».

A sottolineare il traguardo della 150a spedizione, il Rettor Maggiore ha anche inaugurato a Valdocco il museo Etnografico missioni don Bosco in cui sono esposti gli oggetti della vita quotidiana deli popoli che i salesiani hanno incontrato in un secolo e mezzo di evangelizzazione nei 5 continenti.

ADMA: 150 anni di vita

In occasione dei festeggiamenti dei 150 di vita dell’Associazione di Maria Ausiliatrice, ADMA, riportiamo due articoli pubblicati su due differenti riviste (Ed. San Paolo): Maria con te Famiglia Cristiana.

MARIA NEI FATTI
“NOI, FAMIGLIE SOTTO IL MANTO DELLA MADONNA”

(Lorenzo Montanaro)
Famiglie sotto il manto della Vergine. L’Adma (Associazione di Maria Ausiliatrice) festeggia i suoi primi 150 anni, ma è più giovane che mai. E pur restando fedele allo spirito di don Bosco, che la fondò personalmente nel 1869, l’anno seguente alla consacrazione della chiesa di Maria Ausiliatrice a Torino, ha saputo rinnovarsi: un cambio di pelle radicale, grazie al quale l’associazione riesce a fronteggiare le tante sfide del presente. E a guardare al futuro con speranza, in una logica d’inclusione che, partendo da Torino, abbraccia l’Italia e i 5 continenti.

La nuova rotta, inaugurata a partire da una ventina d’anni, sta tutta in un’intuizione semplice quanto dirompente: fare delle famiglie il motore propulsivo.

«Don Bosco aveva fondato l’Adma per custodire la fede del popolo, sotto la guida di Maria»

ricorda don Pierluigi Cameroni, 63 anni, dal 2007 animatore spirituale dell’associazione.

«Oggi la dimensione di fede popolare va costruita e coltivata soprattutto in famiglia».

Dai racconti di chi, per primo, ne ha fatto esperienza, emerge che il cammino si è svolto in modo assolutamente naturale, «senza grandi proclami, senza marketing o strategie».

Più di tutto, a contare, è stato il passaparola: un primo nucleo di famiglie, unito saldamente nella preghiera comune e nella condivisione, ha iniziato a invitare coppie di amici, che, trovandosi bene, hanno a loro volta esteso l’invito ad altre persone.

Oggi la sezione torinese dell’Adma, detta “la primaria”, appunto perché la più antica per fondazione, conta 200 iscritti ” ufficiali” e una marea di amici e simpatizzanti.

Agli ultimi esercizi spirituali comunitari, tenutisi lo scorso agosto a Pracharbon (Valle d’Aosta) hanno partecipato oltre 650 persone. Di tutte le età. Sì, perché i “senior” (per decenni ossatura dell’associazione) continuano ad avere un posto speciale, ma a loro si sono affiancati tanti giovani e giovanissimi, che hanno portato una ventata di freschezza.

«Bellissimo il confronto intergenerazionale»,

dice don Cameroni.

«Altrettanto preziosa l’osmosi tra religiosi e laici, che hanno un ruolo di primo piano e sono il volto della Chiesa del domani».

Basta partecipare all’incontro di preghiera che si tiene ogni 24 del mese (giorno in cui il gruppo fa memoria di Maria Ausiliatrice) per averne un’idea. La chiesa di San Francesco di Sales (da lui il nome di “Salesiani”, che don Bosco volle dare alla sua congregazione), all’interno del grande complesso di Valdocco (là dove il sogno del “santo dei giovani” ha preso avvio) è gremita di gente. Come in famiglia, ci si saluta, ci si abbraccia. Poi, nel silenzio, l’adorazione eucaristica, le confessioni, i misteri del Rosario. E la dolcezza dei canti mariani. Quello di Torino, basato sulla centralità di famiglie e giovani, è un modello che sta prendendo piede in altre realtà italiane: in Lombardia ad esempio (soprattutto nelle province di Milano e di Brescia), in Valle d’Aosta, in Liguria (Genova e La Spezia), ma anche in Sicilia, dove peraltro l’Adma è da sempre molto radicata. Ma c’è uno sguardo che si estende ben oltre, fino a includere il mondo intero. L’associazione infatti è presente in 50 Paesi.

«A seconda del luogo prende forme diverse. Questa è stata una straordinaria intuizione di don Bosco»,

spiega Renato Valera, 46 anni, presidente Adma.

Circa 120.000 gli iscritti sparsi in tutto il pianeta, raccolti in 800 gruppi. Per dar voce a questa immensa ricchezza esistono momenti di incontro mondiale, come i Congressi di Maria Ausiliatrice, cui partecipa l’intera famiglia salesiana. Il prossimo si terrà dal 7 al 10 novembre a Buenos Aires (Argentina), prima destinazione dei missionari mandati da don Bosco, ma anche terra di papa Francesco (che non ha mai nascosto la sua affinità col mondo salesiano). Né supereroi, né “santini”.

«Siamo gente normale, con le fragilità e le fatiche di ogni giorno, ma sperimentiamo in un’alleanza che si rafforza nella preghiera»,

ci spiega Valera.

«E abbiamo una sicurezza», aggiunge sua moglie, Barbara Rosa Clot, 43 anni. «Per noi Maria è una donna vicina e concretissima, che ci accompagna con pazienza, mitezza e misericordia».

03/10/2019
Pag. 18 N.40 – 6 ottobre 2019 Maria con te

ANNIVERSARI
«GRAZIE A MARIA SI RIM ANE SEMPRE GIOVANI»
«OFFRIAMO CAMMINI DI FEDE CHE ATTIRANO SEMPRE PIÙ NEOSPOSI E GENITORI CON FIGLI PICCOLI 0 ADOLESCENTI», DICONO RENATO, BARBARA E DON PIERLUIGI, RESPONSABILI DELL’ORGANISMO

(Lorenzo Montanaro)

Un volto fresco della Chiesa, I che sa guardare al domani e I parlare la lingua dei giovani, pur restando fedele alle I proprie radici. L’Adma (Associazione di Maria Ausiliatrice), fondata personalmente da don Giovanni Bosco nel 1869, l’anno seguente alla consacrazione della chiesa di Maria Ausiliatrice a Torino, festeggia 1 suoi primi 150 anni, ma è più giovane che mai. Ha cambiato pelle, inaugurando un nuovo stile, che mette al centro le famiglie. Dal capoluogo piemontese (cuore dell’esperienza salesiana) questo modello si va estendendo in diverse zone d’Italia e oltre, in una logica che abbraccia idealmente tutto il mondo.

L’associazione è diffusa in 50 Paesi sparsi nei cinque continenti, dagli Usa al Brasile, dall’India alle Filippine, passando per Corea e Indonesia: conta, in tutto, circa 120 mila iscritti. La sezione torinese di Valdocco (detta “la primaria”, perché la più antica per fondazione) ha da sempre un ruolo guida. Ed è proprio da qui che, una ventina d’anni fa, è partita la “piccola rivoluzione”. In passato, a tener viva l’associazione erano state principalmente persone adulte e anziane (spesso ex allievi salesiani o persone che avevano frequentato l’oratorio).

I “senior” hanno ancora oggi un posto importante, ma a loro si sono aggiunte tante famiglie con bambini e giovani che hanno portato una ventata di novità.

 

Tutto è partito da un nucleo di coppie, molto affiatate, che si ritrovavano assiduamente per la preghiera e la condivisione. Nel tempo sono stati coinvolti alcuni amici che, trovandosi bene, hanno a loro volta esteso l’invito. Così, grazie al passaparola, il gruppo si è ingrandito. Attualmente “la primaria” conta circa 200 iscritti “ufficiali”, affiancati da un gran numero di simpatizzanti e amici. Agli ultimi esercizi spirituali comunitari, tenutisi tra luglio e agosto a Pracharbon (in Valle d’Aosta), hanno partecipato oltre 650 persone.

«Tutto è accaduto in modo molto naturale, senza strategie di marketing»,

racconta Renato Valera, (46 anni, lavora nel settore informatico), presidente mondiale dell’Adina. Né supereroi, né “santini”.

«Siamo gente noimale, contadini, opeiai, impiegati, insegnanti, commeicianti, medici, magistrati fino a un guaidiapaico, con le fragilità e le fatiche di ogni giorno, ma speiimentiamo un’alleanza che si rafforza nella preghiera».

«E ci affidiamo a Maria, che per noi è una donna vicina e concretissima», aggiunge la moglie, Barbara Rosa Clot (43 anni).

Per volere di don Bosco, l’Adma aveva tra i suoi obiettivi quello di “custodire la fede del popolo”, diffondendo l’amore per Gesù Eucaristia e la devozione a Maria Ausiliatrice, le “due colonne” care al Santo dei giovani.

Oggi «è proprio all’interno della famiglia che le nuove generazioni possono respirare questa dimensione di fede popolare», spiega don Pierluigi Cameroni, 63 anni, dal 2007 animatore spirituale dell’associazione. L’esperienza inaugurata a Valdocco ha tra i suoi pregi quello di «favorire un vitale confronto tra le generazioni». Per averne un’idea basta frequentare uno dei momenti di preghiera, come quelli che si tengono ogni 24 del mese (giorno in cui il gruppo fa memoria di Maria Ausiliatrice) nella chiesa di San Francesco di Sales (da lui il nome di Salesiani, dato da don Bosco alla sua congregazione). Proprio come in famiglia, ci sono il bambino e il nonno, la coppia di fidanzati e i genitori adulti.

Un modello “familiare” che sta prendendo piede anche in altre realtà italiane: in Lombardia, per esempio (soprattutto ad Arese, in provincia di Milano, e bel Bresciano) in Valle d’Aosta, Liguria e in Sicilia.

Per valorizzare questa dimensione universale, che va oltre l’Italia, esistono i Congressi di Maria Ausiliatrice, cui partecipa l’intera famiglia salesiana. Il prossimo si terrà dal 7 al 10 novembre a Buenos Aires (Argentina), prima destinazione dei missionari mandati da don Bosco, ma anche terra di papa Francesco (che non ha mai nascosto la sua riconoscenza per il mondo salesiano che ha inciso sulla sua formazione). L’appuntamento argentino è preceduto da un altro importante incontro domenica 6 ottobre a Valdocco: partecipa il Rettor maggiore, don Àngel Fernandez Artime.

03/10/2019
Pag. 70 N.40 – 6 ottobre 2019

Don Jonny Eduardo Reyes – Una visita a Valdocco!

In occasione del Sinodo dell’Amazzonia indetto da Papa Francesco che si terrà in Vaticano dal 6 ottobre al 27 ottobre, Mons. Jonny Eduardo ReyesVescovo in Venezuela – ha fatto visita alla casa di Valdocco e si è reso disponibile per una breve intervista toccando i temi dell’ecologia e della situazione sociale e politica in Venezuela.

In un primo momento ci ha parlato appunto del Sinodo e di quello che si aspetterà durante questa esperienza. Per maggiori informazioni riguardo al Sinodo clicca qui.

Ha concluso infine facendo un quadro generale su quella che è l’attuale situazione in Venezuela e di come la Chiesa di stia muovendo per venire incontro alle esigenze delle persone che la abitano.

 

La vita si fa storia: 54° Giornata mondiale delle Comunicazioni sociali

Lo scorso 28 settembre, Papa Francesco ha reso noto il tema della prossima 54° Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali che si terrà nel 2020: “Perché tu possa raccontare e fissare nella memoria” (Es 10,2). La vita si fa storia.

Si riporta l’articolo pubblicato in merito dall’Agenzia d’informazione Salesiana ANS.

(ANS – Città del Vaticano) – Con questo bellissimo titolo, Papa Francesco ha presentato, lo scorso 28 settembre, la 54° Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali, che sarà celebrata nel 2020. Perché tu possa raccontare e fissare nella memoria di tuo figlio (Es 10,2). La vita si fa storia. Scegliendo questo tema, il Papa sottolinea quanto sia prezioso il patrimonio della “memoria” nella comunicazione e la capacità di raccontare belle storie alle generazioni future. Non c’è dubbio che “educare con le storie ci aiuta ad affrontare situazioni diverse in un mondo complesso, mutevole e sconcertante”, ha scritto D. Chomskim.

Il Papa ha sottolineato in molte occasioni che non c’è futuro senza memoria della storia vissuta. Ci ha aiutato più volte a capire che la memoria non deve essere considerata come qualcosa di “statico”, ma piuttosto come una “realtà dinamica”. Attraverso la memoria si passa da una generazione all’altra: storie, speranze, sogni ed esperienze. Ci ricorda anche che ogni storia nasce dalla vita e dall’incontro con l’altro.

Gesù ricorreva alle “Parabole” per comunicare la forza vitale del Regno di Dio, lasciando gli ascoltatori liberi di ascoltarle e di relazionarsi poi con loro stessi. La forza di una storia si esprime nella sua capacità di generare un cambiamento. Una storia esemplare ha infatti un grande potere di trasformazione.

In un contesto come quello attuale, in cui ci sono innumerevoli interazioni attraverso i social network, si parla di un’informazione che si ottiene attraverso le storie. Afferma C. Cox che “il formato delle storie sta per diventare il modo principale in cui gli utenti condivideranno le informazioni”.

Leggendo il titolo della Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali ci si pone una domanda: “Cosa avremo da dire alle prossime generazioni?”. In questi anni, Papa Francesco ci ha proposto cinque storie:

  • “Che ogni essere umano, uomo, donna, ragazzo, ragazza è l’immagine di Dio”: noi siamo l’immagine di Dio.
  • “Che vivere insieme è un’arte, un cammino paziente, bello e affascinante”: siamo nati per vivere in comunità e in comunione.
  • “Che ognuno ha la sua idea del bene e del male e deve scegliere di seguire il bene e combattere contro il male. Questo basterebbe a rendere il mondo un posto migliore”: che le nostre azioni vanno a beneficio degli altri.
  • “Che la natura non è una proprietà di cui possiamo abusare a nostro piacimento, tanto meno la proprietà di pochi, ma un dono di tutti, che dobbiamo custodire”: che il nostro mondo è la nostra casa.
  • “Paradiso è una delle ultime parole pronunciate da Gesù sulla Croce, rivolta al buon ladrone”: che il nostro posto è il paradiso.

Ancora una volta, il Pontefice pone al centro della sua riflessione la persona, con le sue relazioni e la sua innata capacità di comunicazione.

Salesians of Don Bosco: il cortometraggio per la 150esima Spedizione missionaria

In occasione della 150° Spedizione Missionaria celebrata lo scorso weekend,  i Salesians of Don Bosco pubblicano sul loro canale YouTube Salesian Mission un cortometraggio animato che spiega ai più piccoli tutti gli avvenimenti e le date che hanno caratterizzato le missioni salesiane avviate da Don Bosco.