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TO Agnelli: raccolta per «C’entro Anch’io»

Si riporta la notizia proveniente da “La Voce e il Tempo”settimanale, n.15, domenica 17 aprile – relativa alla campagna di raccolta fondi organizzata dall’Istituto internazionale Edoardo Agnelli di Torino dal titolo: “C’entro Anch’io” che mira alla ristrutturazione del Salone delle Feste “creando così uno spazio dove coltivare i talenti musicali (e non solo) dei nostri studenti”.

L’Istituto internazionale Edoardo Agnelli di Torino (corso Unione Sovietica 312) ha lanciato la campagna di raccolta fondi «C’entro Anch’io» per la ristrutturazione del Salone delle Feste che diventerà uno spazio dove gli studenti potranno coltivare i propri talenti musicali (e non solo).

«Il Salone», spiegano i responsabili del progetto, «è essenziale per lo svolgimento di attività aggregative, laboratori formativi con le aziende partner dell’Istituto ed eventi culturali che coinvolgono le famiglie e il territorio». Il Salone ad oggi non è utilizzabile tutto l’anno in quanto l’impianto di riscaldamento è inadeguato alla dimensione e rumoroso; mancano arredi essenziali (tavoli e sedie); c’è una pessima acustica; mancano impianti luci e audio adatti a concerti, spettacoli, convegni; c’è necessità di una ritinteggiata e di un tocco di colore.

La campagna «C’entro Anch’io» mira a trovare le risorse necessarie per installare un nuovo impianto di riscaldamento efficiente e silenzioso, che consentirà agli studenti di utilizzare la sala per le prove e i concerti, allestire il locale con tavoli, sedie e nuovi arredi che permetteranno di accogliere il pubblico, realizzare laboratori e corsi di formazione. Un progetto dunque per «far rivivere» il Salone delle Feste, luogo simbolico sia per i ragazzi che per l’intera comunità dell’Agnelli.

S.D.L.

È possibile effettuare una donazione tramite bonifico, Iban IT69O0306909606100000116216 con causale: «C’entro Anch’io» oppure tramite Satispay o Rete del dono al seguente link:

Agnelli, riscoprire il gioco da tavolo: strumento educativo in era Covid – La Voce e il Tempo

All’Oratorio Salesiano Agnelli di Torino parte il progetto “Accorciamo le distanze” promosso dai Salesiani per il sociale, con «P.L.A.Y.» (Prevent, Learn, Amuse, Youth): un ciclo di incontri di formazione per gli animatori. Di seguito l’articolo di Emanuele Carrè per “La Voce e il Tempo“.

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FORMAZIONE PER GLI ANIMATORI – QUATTRO INCONTRI NELL’AMBITO DEL PROGETTO «ACCORCIAMO LE DISTANZE» PROMOSSO DAI SALESIANI PER IL SOCIALE

Agnelli, riscoprire il gioco da tavolo: strumento educativo in era Covid

Il gioco da tavolo come strumento educativo a supporto in particolare dei ragazzi che hanno subìto tutte le conseguenze di due anni di pandemia. Si tratta di «P.L.A.Y.» (Prevent, Learn, Amuse, Youth): un ciclo di incontri di formazione per gli animatori dell’oratorio salesiano Agnelli di Torino (via Sarpi 117) che si terrà tra l’11 febbraio e l’11 marzo e che rientra nel progetto «Accorciamo le distanze» promosso dal Comitato interregionale dell’Associazione Salesiani per il Sociale di Piemonte e Valle d’Aosta, in collaborazione con l’Associazione giovanile salesiana per il territorio (Ags) e l’associazione di promozione sociale «Quindi Ci Sei» con il sostegno della Regione Piemonte e del Ministero del lavoro e delle politiche sociali.

Il progetto si pone l’obiettivo di implementare le azioni volte alla cura e al supporto educativo e socia- le. Nel caso di «Play» il fulcro è il gioco, in particolare quello da tavolo, che diviene strumento formativo e di coesione sociale assumendo una funzione riabilitativa in particolare per tutti i ragazzi che sono stati e sono ancora vittima degli effetti negativi della pandemia, a livello sociale, psicologico e didattico. Ne abbiamo parlato con l’educatore dell’oratorio Agnelli, Gianni Glorioso che segue l’iniziativa:

«è un progetto a cui abbiamo aderito per poter seguire i bambini e i ragazzi che frequentano l’oratorio, in particolare il doposcuola con linguaggi e tecniche diversi dal solito. Con l’aiuto di Egidio Carlomagno, responsabile del settore Animando della cooperativa sociale salesiana E.T. i nostri animatori impareranno ad utilizzare il gioco da tavolo come strumento per aiutare i bambini a sviluppare un proprio metodo di studio e a scoprire le loro capacità. È un modo diverso per riuscire a capire le loro debolezze e i loro punti di forza in modo da aiutarli al meglio».

A partecipare al ciclo di incontri (l’11, il 18 febbraio e l’11 marzo dalle 18 alle 20) saranno una quindicina di animatori tra i diciassette e i ventidue anni con alle spalle esperienze di servizio nell’oratorio dell’Agnelli. «Grazie a questi incontri gli animatori potranno comprendere e far loro questo nuovo strumento di relazioni in modo da poterlo poi utilizzare con consapevolezza a favore di bambini e ragazzi», conclude l’educatore Gianni Glorioso.

Per ulteriori informazioni: www.oratorioagnelli.it

Emanuele CARRÈ

Don Viviano, in Basilica le speranze della città – La Voce e il Tempo

Di seguito l’intervista a don Michele Viviano, rettore della Basilica Maria Ausiliatrice di Torino-Valdocco, riportata su La Voce e il Tempo a cura di Marina Lomunno.

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INTERVISTA – IL NUOVO RETTORE DI MARIA AUSILIATRICE «CUORE » DEL MONDO SALESIANO
Don Viviano, in Basilica le speranze della città

Don Michele Viviano, classe 1962, nato a San Cataldo (Caltanissetta), prete dal 1991, è stato nominato rettore della Basilica di Maria Ausiliatrice dal 1° settembre 2021 al 31 agosto 2024: succede al confratello don Guido Errico, ora maestro dei novizi e direttore dell’Opera salesiana di Genzano di Roma. Docente al Centro teologico San Tommaso di Messina, è giunto a Valdocco dopo numerosi incarichi a Roma e in Sicilia.

Lo abbiamo incontrato lunedì 24 gennaio, festa liturgica di san Francesco di Sales, patrono dei salesiani, che ha dato il via alla settimana in preparazione ad una festa di don Bosco «speciale» per la congregazione: nel 2022 si celebrano i 400 anni dalla morte di san Francesco di Sales, al quale è stata dedicata una importante mostra inaugurata a Valdocco la scorsa settimana.

Don Michele, cosa significa per un salesiano essere Rettore della Basilica di Maria Ausiliatrice, Casa madre della sua congregazione, Casa di don Bosco dove si venerano le sue spoglie mortali, a cui tutta la famiglia salesiana nei 134 Paesi in cui è sparsa nel mondo guarda come guida carismatica e meta di pellegrinaggio?

Mi sento molto privilegiato e lo vivo innanzitutto come un regalo di don Bosco per il mio 30° anno di ordinazione presbiterale. Nel 2016, nel mio 25° di sacerdozio, mi è arrivata un’obbedienza «strana», a cui non mi sentivo per nulla preparato: alla mia vita abbastanza tranquilla di docente nell’Istituto Teologico di Messina mi si chiedeva di aggiungere la direzione di un centro di accoglienza per migranti che arrivavano dal porto di Catania. Era il periodo in cui Papa Francesco ci invitava ad aprire le case e gli istituti religiosi per ospitare chi rischiava la vita per attraversare il Mar Mediterraneo. Accolsi quell’obbedienza come un regalo di Dio per il mio 25°. Ora, dopo 5 anni, con mia grande sorpresa e senza esser stato mai parroco, il Rettor Maggiore mi ha chiesto l’obbedienza di venire qui a Torino come Rettore della Basilica più importante per la nostra congregazione. Come non accoglierla come un dono di Dio, come una chiamata di don Bosco? Ogni figlio di don Bosco sogna di stare un giorno, un periodo nei luoghi delle origini della nostra Congregazione e così è stato per me fino adesso.

Un sogno che è diventato realtà: è la prima volta che celebro la festa di don Bosco proprio accanto a lui in Basilica, nei luoghi dove ha cominciato ad accogliere i ragazzi e con alcuni di questi a fondare la congregazione: «ci chiameremo salesiani», era il 26 gennaio del 1854. E poi a maggio, sarà un’emozione celebrare per la prima volta la festa di Maria Ausiliatrice nel tempio costruito dal nostro padre e maestro. Essere Rettore è anche una grande responsabilità, un impegno di cui forse ancora non mi rendo conto. Ma non sono solo: ho una comunità che mi sostiene, confratelli che aiutano e collaborano tanto. Io sono il Rettore ma ancor prima che a me la Basilica è affi data alla mia comunità e questo mi conforta e mi incoraggia.

La Basilica di Maria Ausiliatrice è punto di riferimento non solo per il mondo salesiano, ma per tutta la diocesi di Torino che don Bosco ha reso famosa nel mondo. Cosa chiedono gli uomini, le donne e i giovani di oggi a Maria Ausiliatrice quando vengono in Basilica?

In questi primi 4 mesi ho visto tante persone di tutte le fasce sociali ricorrere all’Ausiliatrice: tutti chiediamo che ci liberi dalla pandemia che, oltre a mettere a rischio la nostra salute, ha cambiato le nostre abitudini, ha condizionato le nostre attività, ci ha isolati di più, ci ha diviso all’interno delle stesse famiglie per le divergenze anche di pensiero sul virus, ci ha resi più fragili, insicuri, diffidenti l’uno dell’altro visto come potenziale portatore della malattia. Per questo abbiamo bisogno di sicurezza, certezze, punti fermi che la scienza non ti dà e non può darti. Per cui c’è un ritorno a Dio, un maggior ricorso a Maria Ausiliatrice, a porre la nostra vita nelle mani sicure del Dio della vita e di colei che è la mamma delle mamme, l’Ausiliatrice di ogni uomo che a lei ricorre con la semplicità e la fiducia del figlio, della figlia.

Quali iniziative pensa di lanciare in Basilica nei prossimi anni perché sia sempre più casa accogliente come sono da sempre questi cortili?

Ho bisogno ancora di qualche mese per conoscere chi varca la nostra soglia, cosa desidera, cosa ha bisogno, cosa ci chiede: non è facile, ma non desidero cadere in un attivismo di iniziative che possono abbagliare ma non illuminare e riscaldare il cuore. Certamente la Basilica deve avere un respiro lungo e profondo, insieme a uno sguardo ampio che vada oltre i confini locali e nazionali da una parte e, dall’altra, offrire, insieme alla celebrazione eucaristica e a quella della riconciliazione sempre ben curate, iniziative formative e culturali. Oggi i santuari, come il nostro non sono solo «oasi nel deserto» per trovare un po’ di pace dal frastuono della città; «ospedali da campo» per curare o sanare qualche ferita; o «isole ecologiche» per essere perdonati. Oggi un santuario come il nostro, che conserva le spoglie di tre santi e due beati, è anche un «magnete» che attira non solo chi vuol pregare, ma anche il semplice curioso o visitatore di luoghi artistici; che accoglie non solo i torinesi ma anche gli ex-allievi che arrivano dall’altra parte del mondo. Dunque mi chiedo, lasciandomi illuminare da don Bosco, cosa può e deve offrire di significativo il santuario Basilica Maria Ausiliatrice alla città di Torino, innanzitutto, e ad ogni persona che entra in questo tempio, o meglio in questa «casa» come diceva don Bosco: «Hic Domus mea, inde gloria mea»? («Questa è la mia casa, da qui la mia gloria»).

Marina LOMUNNO

S. Francesco di Sales, «gigante della fede» – La Voce e il Tempo

La mostra per i 400 anni dalla morte di San Francesco di Sales, dottore della Chiesa. Di seguito l’articolo di Marina Lomunno per “La Voce e il Tempo“.

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C’è molto di Torino nella mostra allestita a Valdocco per celebrare l’inizio del IV centenario dalla morte del Vescovo francese san Francesco di Sales, dottore della Chiesa, avvenuta a Lione il 28 dicembre 1622.

Il Vescovo di Ginevra fu scelto infatti da don Bosco come patrono della congregazione che fondò a Torino il 18 dicembre 1859, i Salesiani.

Torinese è l’autore del dipinto della locandina della mostra, custodito nel Museo, Enrico Reffo, fratello del servo di Dio Eugenio confondatore con san Leonardo Murialdo, amico di don Bosco, della Congregazione di San Giuseppe.

E poi, tra gli altri «pezzi nostrani» esposti, un ritratto del santo «in posa diretta» del 1618 prestato dal Monastero delle Visitandine di Moncalieri, ordine fondato da san Francesco e santa Giovanna de Chantal.

Ancora, un prezioso medaglione in osso di manifattura piemontese del 1613, ricordo coevo dell’ostensione della Sindone del 1613 e una pianeta originale del 1593, indossata dal santo e conservata presso il Santuario della Consolata.

«La vestì celebrando l’Eucaristia a Torino, pochi mesi prima della morte», ha spiegato don Cristian Besso, preside dell’Università Pontificia di Teologia di Torino e responsabile del progetto del Museo don Bosco, «ed è probabile che sia stata confezionata con tessuti della corte sabauda del Duca Carlo Emanuele I». La mostra «Francesco di Sales 400» si è inaugurata sabato 15 gennaio a Valdocco, Casa Madre dei Salesiani, alla presenza del Rettor Maggiore don Ángel Fernández Artime e con 12 mila persone collegate in streaming dai 134 Paesi dove sono presenti i fi gli e le fi glie di don Bosco. Un’occasione speciale per la 40ª edizione delle Giornate di Spiritualità della Famiglia Salesiana 2022, concluse domenica 16 nella Basilica di Maria Ausiliatrice e a pochi giorni dal 24 gennaio, festa liturgica di san Francesco di Sales. L’esposizione è allestita fi no al 15 gennaio 2023 nel Museo «Casa Don Bosco», aperto nell’ottobre 2020 e fortemente voluto dal Rettor Maggiore.

«Valdocco è lanterna per il mondo salesiano», ha sottolineato don Artime, «e il Museo è un sogno realizzato che ogni anno vuole offrire un’iniziativa speciale per approfondire il carisma salesiano che qui è nato 162 anni fa. Ecco allora la mostra su san Francesco di Sales, nostro patrono, fonte a cui don Bosco si è abbeverato e a cui si è ispirato nell’attenzione ai giovani più poveri, nella comunicazione della fede anche con i fratelli separati dalla Riforma nella Ginevra calvinista: noti sono i manifesti che affi ggeva ai muri della città e i foglietti che infi lava sotto le porte delle case. Per questo è anche patrono dei giornalisti».

Gli ha fatto eco l’Arcivescovo, mons. Cesare Nosiglia: «Ringrazio i salesiani per questo Museo e questa mostra che arricchisce non solo la nostra diocesi e la nostra città: san Francesco di Sales è un santo a me molto caro perché ha dedicato il suo ministero ai più bisognosi, un maestro devoto che ci indica la strada verso la perfezione, l’amore di Dio che si esprime della carità: visitare la mostra è fare un esame di coscienza che ci permette di guardare a questo santo che ha ispirato don Bosco a educare buoni cristiani e onesti cittadini. Un messaggio attuale ancora più oggi in questo tempo diffi cile di pandemia».

E del legame con la città ha parlato anche la direttrice dei Musei Reali di Torino, Enrica Pagella, che ha ricordato un altro ritratto di san Francesco di Sales dell’artista Pelagio Palagi (1775-1860), voluto da Re Carlo Alberto per aprire il pantheon dello Stato sabaudo in cui compaiono 54 fra ecclesiastici, scienziati, statisti e diplomatici dal Medioevo all’Età Moderna. La direttrice ha invitato a recarsi ad ammirare la tela a Palazzo Reale poiché non è possibile estrarla dalla grande cornice che il pittore realizzò per raccogliere quella galleria di ritratti. Una buona occasione per creare un itinerario culturale e spirituale fra il Museo salesiano e quello Sabaudo.

La mostra, ha aggiunto la curatrice Stefania De Vita, direttrice del Museo «Casa Don Bosco», accompagna il visitatore alla conoscenza della biografi a del santo, all’iconografi a «salesiana» nell’oratorio delle origini, e alle sorgenti della spiritualità e della pedagogia salesiana. Un «gigante rinascimentale molto attuale, san Francesco di Sales, modello per chi cerca Dio amico del cuore umano», come lo ha definito don Michael Pace, vicedirettore del Museo che ha condotto l’inaugurazione, «che coinvolge – sia per le sue origini familiari sia per la sua azione pastorale – una vasta comunità a cavallo tra la Francia e l’Italia, e da qui l’intera Chiesa».

Marina LOMUNNO

Parrocchie Torino Nord, dibattito con il sindaco Stefano Lo Russo

Martedì 8 febbraio 2022 alle 21.00, presso la chiesa parrocchiale Nostra Signora della Salute in via Vibò 26 (Torino), «La Voce e Il Tempo» organizza un incontro pubblico fra il sindaco di Torino Stefano Lo Russo e le parrocchie della periferia nord.

Lo Russo dialogherà con i parroci e con la popolazione sul presente e il futuro delle periferie, sull’emergenza sociale, sui grandi problemi aperti nei quartieri popolari.

L’incontro, aperto a tutti gli interessati (con obbligo di green pass), sarà moderato da Alberto Riccadonna, direttore de «La Voce e Il Tempo».

Mad for Science: il Valsalice vince un nuovo laboratorio – La Voce e il Tempo

La Voce e il Tempo per domenica 17 ottobre dedica un articolo alla vittoria del “Mad for Science” da parte del Liceo salesiano di  Torino Valsalice con l’intervista alla professoressa Giuliana Losana, docente di scienze, la quale ha guidato la squadra vincitrice composta da Rebecca Oliva, Silvia Mantovani, Edoardo Ghiazza, del quinto anno del Liceo scientifico Scienze applicate, con Matteo Vergnano e Alberto Rota. Di seguito l’articolo a cura di Silvia SCARANARI.

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Mad for Science: il Valsalice vince un nuovo laboratorio

SCUOLA – AL LICEO SCIENTIFICO TORINESE IL PRIMO PREMIO (75 MILA EURO) DEL CONCORSO NAZIONALE RIGENERARE IL FUTURO LEGATO ALL’AGENDA 2030 ONU

Liceo Valsalice, giovedì 7 ottobre, mattina. Entrando a scuola si percepisce una singolare euforia: studenti distratti, un po’ agitati, alcuni scendono in teatro, dove li attende un collegamento in diretta con l’Auditorium Vivaldi di Torino. Chiacchiere un po’ nervose si sentono provenire dal cortile. E poi l’urlo di gioia, poco dopo le 13: «Abbiamo vinto!». Poi è tutto uno scrosciare di applausi. La squadra composta da Rebecca Oliva, Silvia Mantovani, Edoardo Ghiazza, del quinto anno del Liceo scientifico Scienze applicate, con Matteo Vergnano e Alberto Rota, ormai ex allievi, ha vinto il primo premio – su 160 licei in tutta Italia – di Mad for Science. Abbiamo intervistato la professoressa Giuliana Losana, docente di scienze, che ha guidato la squadra.

Professoressa Losana, cos’è Mad for Science?

Mad for Science è il concorso nazionale indetto dalla fondazione Diasorin, riconosciuto dal ministero dell’Istruzione come iniziativa di valorizzazione delle eccellenze delle Scuole secondarie di secondo grado. Nella sua quinta edizione la Fondazione ha bandito il concorso «Rinnovare il futuro» e invita- to i licei scientifici e classici con curvatura biomedica di tutta Italia ad elaborare un progetto sperimentale innovativo e originale con particolare attenzione alla sostenibilità e all’economia cir- colare. Tra tutti i progetti presentati 8 sono stati selezionati e il 7 ottobre la giuria, riunita all’Auditorium Vivaldi di Torino, ha premiato il nostro. Il primo premio consiste in 50mila euro per rinnovare la strumentazione di laboratorio e 25mila euro per il materiale di consumo per i prossimi cinque anni. Il secondo classificato ha vinto 38mila per l’implementazione del proprio biolaboratorio e relativi materiali di consumo, il terzo 15mila. Gli altri finalisti 10mila euro. Questo concorso è una vera occasione di crescita e un aiuto concreto per svolgere il lavoro di insegnate di scienze nel miglior modo possibile.

Il progetto, iniziato a dicembre 2020, ha coinvolto diverse componenti della scuola: docenti come consulenti, tutta la classe quinta di Scienze applicate, il gruppo della web-radio e alcuni ex allievi. In cosa consiste?

Abbiamo presentato un progetto sulla bioconversione rispetto alla produzione di compost. Ritengo sia stato fondamentale far riflettere sull’importanza della biodiversità genetica e di specie e così abbiamo ipotizzato un nuovo percorso di economica circolare. Partendo da alcuni punti cardine dell’agenda Onu 2030, in particolare i programmi rivolti all’impresa, all’innovazione e alle infrastrutture, quelli per le Città e comunità sostenibili e quelli per il Consumo e la produzione responsabile, gli studenti sono partiti dal paragonare tempi di produzione e qualità del prodotto tra bioconversione e compostaggio valutandone l’impatto quotidiano sull’ambiente. Hanno poi cercato di analizzare l’abbattimento della biodiversità in un allevamento di mosche soldato. Ana- lizzando la flora intestinale delle larve di mosca soldato hanno riflettuto su come rendere lo smaltimento del rifiuto più efficiente, provando ad estrarre proteine delle larve per verificarne la qualità e sperimentarne la possibilità di tessitura. Il lavoro ha comportato anche una riflessione sul potere dei «marchi» e della moda. Il lavoro laboratoriale è stato, e sarà ancora in futuro, accompagnato dall’impegno nella formazione dell’intera scuola tramite programmi alla web radio scolastica (valsonair.li- ceovalsalice.it/podcast/mad-for-scien- ce-4sa-e-bef-biosystem/), la creazione di un sito dedicato (valsaproject.netlify. app/), incontri di spiegazione con le classi del liceo e delle medie e il lancio di un concorso per ideare il logo del nostro nuovo tessuto ‘moscoso’.

Si tratta quindi per tutto l’Istituto Valsalice di un progetto importante per avvicinare i ragazzi alla scienza sperimentale?

L’idea portante del progetto è stata quella di offrire agli allievi non solo competenze tecniche e scientifiche, ma anche la passione per la ricerca biomolecolare. È importante sentirsi parte viva della comunità scientifica odierna. Valsalice è una realtà variegata e soprattutto molto ricca di competenze e conoscenze che sanno integrarsi tra loro e può essere una risorsa per tutta la città. Il nuovo laboratorio sarà sicuramente una vera eccellenza, perché ci permetterà di affrontare didatticamente le principali tecniche odierne di biologia molecolare. I ragazzi potranno essere parte attiva nel costruire il sapere sperimentale. Qualcuno forse troverà una vocazione per la vita, ma sicuramente tutti acquisiranno ulteriori strumenti conoscitivi che potranno aiutarli nelle scelte future. Una bella ricchezza anche per gli studenti del Classico, che potranno frequentare un laboratorio raro da trovare in altri licei.

Silvia SCARANARI

Museo «Casa Don Bosco» allestimento completato – LA VOCE E IL TEMPO

Il Museo Casa Don Bosco, situato nei cortili di Valdocco, ha ampliato il suo allestimento, con nuove proposte e nuove mostre, come le sale dedicate ai santi, beati, venerabili e servi di Dio della Famiglia salesiana e la mostra fotografica temporanea “Lock Art”, promossa e realizzata in collaborazione con l’agenzia fotografica «Art Full Frame».

La Voce e il tempo dedica un articolo all’inaugurazione avvenuta in data mercoledì 8 settembre. Di seguito il testo a cura di Marina Lomunno.

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Con l’apertura al pubblico di due sale dedicate ai santi, beati, venerabili e servi di Dio della Famiglia salesiana ben 64 si completa l’allestimento del Museo «Casa Don Bosco» a Valdocco, inaugurato nell’ottobre 2020. Anche questa volta, mercoledì 8 settembre, ha fatto gli onori di casa don Ángel Fernández Artime, Rettor Maggiore dei salesiani e decimo successore del santo dei giovani che ha voluto fortemente il Museo «che spero in futuro si espanda ancora come la nostra famiglia religiosa, la più grande nella Chiesa, presente in 132 nazioni dei 5 continenti». E tra queste sale, «chiunque abbia incontrato nella propria vita don Bosco può ritrovare qui lo spirito originario di Valdocco che ha attraversato i secoli e le nazioni dando forma a nuove esperienze del carisma stesso», ha ricordato la direttrice Stefania de Vita. Ma alle migliaia di oggetti, manufatti e opere d’arte che testimoniano, in 4 mila metri quadrati su tre piani, l’avventura educativa che ancora oggi raggiunge negli angoli più remoti del pianeta i ragazzi «discoli e pericolanti» mancava un tassello fondamentale: «mostrare la vita e la realtà di tanti che hanno preso il carisma di Don Bosco e lo hanno trasmesso in tutto il mondo», ha evidenziato il Rettor Maggiore. «Qui troviamo un ‘arcobaleno meraviglioso’ di persone: non ci sono solo i salesiani, ma tanti ex allievi di un’incredibile capacità sociale, alcuni martiri che hanno segnato con la vita e il sangue questi ideali, tante donne, consacrate e laiche». Spazio privilegiato è dedicato infatti a santa Maria Domenica Mazzarello, cofondatrice delle Figlie di Maria Ausiliatrice, «con la quale don Bosco capì che poteva portare avanti il suo grande sogno per le ragazze». E in occasione del taglio del nastro delle due ultime sale del Museo, don Artime ha anche inaugurato la mostra fotografica temporanea «Lock art», realizzata in collaborazione con l’agenzia fotografica «Art Full Frame». Fino al 21 novembre chi visita «Casa don Bosco» è invitato a riflettere attraverso gli scatti di 15 giovani fotografi di tutto il mondo (l’Italia (rappresentata dai torinesi Claudio Gottardo e Gabriele Zago) su come la pandemia ci abbia cambiati. I fotografi hanno fissato nelle loro immagini momenti di vita durante il lockdown (di qui il titolo della mostra Lock Art, letteralmente «Arte chiusa a chiave»). Arte che in realtà, come documentano le foto, pur nelle restrizioni anticontagio non ha mai smesso di ispirare chi non si è fatto intimorire da coprifuoco e mascherine ma, anche tra le quattro mura di casa, ha saputo fissare scorci e sguardi di speranza tra dolore e lacrime. Ispirata dalla frase di don Bosco «è una vera festa il poter prendere cura delle anime dei giovani», la scelta della curatrice della mostra, Chiara Candellone Sticca, è ricaduta su giovani talora giovanissimi fotografi che con due immagini ciascuno accompagnano il visitatore «nella quotidianità della realtà pandemica mondiale, così diversa e, per molti aspetti, tristemente uguale. «Il Museo Casa Don Bosco, attraverso le fotografie esposte, si fa portavoce di quella quotidianità familiare che ci ha aiutati a superare momenti complessi facendoci riscoprire la bellezza delle relazioni e della straordinarietà nell’ordinarietà». La mostra sarebbe sicuramente piaciuta al santo dei giovani che aveva compreso l’importanza delle immagini che spesso colpiscono più delle parole. Don Bosco, come ha ricordato don Cristian Besso, responsabile del progetto museologico, è stato il primo santo della storia a essere fotografato dal 1861 al 1888, data della sua morte. Di lui si conservano 42 fotografie: solo di personaggi storici come Garibaldi e Vittorio Emanuele II ne sono rimaste di più.

Marina LOMUNNO – 19 settembre – La Voce e il tempo

Intervista a don Mauro Zanini sulla Scuola: «massimo impegno perché nessuno resti indietro» – La Voce e il Tempo

Di seguito l’intervista a don Mauro Zanini (nuovo direttore della Comunità Valdocco – San Francesco di Sales) sulla ripresa delle attività per la Scuola Secondaria di Primo Grado e per il Centro di formazione professionale presenti a Valdocco, a cura di Marina Lomunno per La Voce e il Tempo.

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Valdocco, «massimo impegno perché nessuno resti indietro»

Don Mauro Zanini dal 25 agosto scorso è il nuovo direttore della Comunità Valdocco – San Francesco di Sales nella Casa Madre dei Salesiani che comprende, oltre la Scuola secondaria di primo grado «Don Bosco», il Centro di formazione professionale Cnos-Fap, l’Oratorio Centro giovanile (il primo fondato dal santo dei giovani), il pensionato universitario e la parrocchia Maria Ausiliatrice.

Don Zanini, già direttore della Casa salesiana del Michele Rua in Barriera di Milano, succede al confratello don Alberto Martelli che, durante la sua permanenza a Valdocco – nonostante la scuola paritaria pur svolgendo un servizio pubblico di alto livello, patisca la discriminazione di non essere equiparata a quella statale e quindi deve autosostenersi con le rette delle famiglie – ha aperto una quarta sezione alla Media.

Sono oltre 700 i ragazzi e le ragazze che tra Secondaria di Primo grado e Centro di formazione professionale dal 13 settembre entreranno ogni giorno nelle aule di Valdocco, sanificate secondo le disposizioni.

«Anche quest’anno, nonostante le restrizioni della pandemia», spiega don Mauro, «non abbiamo avuto problemi di iscrizioni e siamo riusciti a coprire tutte le classi (29 allievi ciascuna) delle quattro sezioni della Secondaria di Primo grado e delle 16 annualità del Centro di formazione professionale. E per la Media le pre-iscrizioni per l’anno scolastico 2022-23 sono già al completo. La nostra, in piena sintonia con il carisma di don Bosco (‘l’educazione è cosa di cuore’) non è una ‘scuola per ricchi’: le classi sono omogenee, le classi sociali sono tutte rappresentate e l’attenzione a chi fa più fatica in termini di apprendimento e sostegno – grazie ai buoni scuola della Regione e alla nostra congregazione – si traduce nell’accoglienza di quei ragazzi le cui famiglie in difficoltà economica non possono sostenere i costi della retta».

Come iniziano le lezioni a Valdocco mentre la pandemia non dà segni di resa?

Intanto seguendo le indicazioni delle autorità sanitarie sulla falsariga dello scorso anno: se ce ne sarà bisogno alterneremo lezioni in presenza e Dad dove, anche nei periodi di lockdown gli allievi sono stati tutti messi in condizione di seguire la Didattica a distanza – chi non aveva gli strumenti informatici è stato dotato dalla scuola – e il contatto anche telefonico con gli insegnanti è stato continuo. L’intero corpo insegnate e amministrativo – salvo un paio di casi che per motivi di salute non possono vaccinarsi ma vengono monitorati con i tamponi – hanno il Green pass e completato il percorso vaccinale con grande responsabilità. Per i ragazzi che hanno l’età vaccinale si procederà all’inoculazione, per quelli più piccoli si faranno i tam- poni e si faranno i controlli ogni mattina. Solo per even- tuali gli alunni in isolamento si avvierà la Dad per gli altri lezioni in presenza con il dovuto distanziamento, entrate scaglionate e differenziate anche in mensa per evitare assembramenti.

Insomma cercherete il più possibile di impostare un anno «normale» nel rispetto delle regole…

Il motto di quest’anno salesiano è “Amati e chiamati” e faremo di tutto, come è nel nostro stile e come abbiamo spiegato ai genitori delle prime medie nelle riunioni di accoglienza (4 serate, una per ogni sezione per evitare assembramenti) perché nessuno rimanga indietro, si senta «amato e chiamato per nome»: questo è il pilastro del sistema preventivo di don Bosco che vale anche in tempo di pandemia. Possiamo mettere in atto questo stile di famiglia perché abbiamo un corpo insegnante compatto (ripeto tutti si sono vaccinati), persone che cercano il più possibile, oltre che a tramettere delle nozioni, di essere adulti di riferimento, educatori che trasmettono ai ragazzi speranza invitandoli ad ‘alzare gli occhi al cielo’ e trasmettendo loro la voglia di ripartire anche in un momento incerto come questo, garantendo doposcuola e il sostengo allo studio per i ragazzi con problemi di apprendimento, i laboratori, le attività di integrazione con l’oratorio. I nostri insegnanti, il direttore e il preside Davide Sordi, ‘ci sono sempre’ anche quando a scuola – speriamo di no – non si potrà andare. Da noi quello che importa non è solo se l’alunno ‘Marco Rossi’ ha buoni voti: a noi sta a cuore che Marco Rossi si senta accolto, venga aiutato a tirare fuori i suoi talenti. Per questo lo scorso anno durante la Dad gli insegnati (che hanno lavorato molto di più in termini di ore) hanno puntato tutto sul contatto personale a casa con i ragazzi e le famiglie: non li abbiamo mai mollati e nessuno si è perso perché si sentivano accompagnati. E per noi, anche se è stato faticoso, è il risultato migliore.

Marina LOMUNNO

Pandemia anno terzo, come dare speranza ai giovani: intervista a don Domenico Ricca

Da La Voce e il Tempo, intervista di Marina Lomunno a don Domenico Ricca, cappellano dell’Istituto penale per minorenni «Ferrante Aporti» di Torino sul tema delle fragilità giovanili alla luce della pandemia.

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Don Domenico Ricca, salesiano, sacerdote dal 1975, dal 1978 è cappellano dell’Istituto penale per minorenni «Ferrante Aporti» di Torino. Ha ricoperto per la sua congregazione numerosi incarichi nazionali e regionali a favore dei ragazzi più fragili. Presidente dell’associazione «Amici di don Bosco» onlus che si occupa di adozioni internazionali, è anche consigliere ecclesiastico delle Acli della Provincia di Torino.

Don Ricca, lei ha dedicato tutta la sua vita di prete ai giovani più deboli secondo il carisma salesiano «diamo di più ai giovani che hanno avuto di meno». La pandemia ha svelato fragilità nuove anche nei giovani più «fortunati» e da più parti si afferma che saranno le nuove generazioni a pagarne il prezzo più alto. Dal suo osservatorio condivide questa analisi?

Se c’è una categoria di persone su cui non si dovrebbe mai generalizzare sono proprio i giovani: solitamente siamo noi adulti dediti a quest’arte, perché li conosciamo troppo poco, è troppa la distanza di anni fra noi e loro, e così ci affidiamo agli analisti del mestiere. Mi piace partire da alcune testimonianze dirette, colte sul campo, che ho letto in questi mesi sui giornali. «Ho 12 anni, mi vaccino perché sono stufo della Dad e non voglio fare tamponi su tamponi»; «La rinuncia più grande nel periodo del Covid forse è lo sport. Pratico basket e nuoto e non sono riuscito a fare nulla per quasi due anni. Spero di rifarmi adesso. Per non restare troppo fermo ho fatto ginnastica con papà a casa. Esercizi a corpo libero, papà mi dice come si faceva una volta in palestra. Era l’unico modo per muovermi un po’». E altri giovanissimi: «Ci vacciniamo per tornare a stare con gli amici».

Mostrano fieri il cerotto sul braccio: sono giovani e adolescenti che non pensano solo alla vacanza in libertà. Scelgono il vaccino per ritrovare la normalità, rientrare in classe e superare l’incubo della Dad, riprendere le attività sportive, ma anche per tornare a vivere in sicurezza l’università o il lavoro. Tra i ventenni, c’è anche la spinta ad ottenere il Green pass per i concerti e per «uscire con gli amici e feste». Ma non solo: «Paola guarda il cerotto sul braccio e si rivolge a mamma: ‘Quando torneremo a trovare nonna, finalmente potrò abbracciarla?».

I «suoi» giovani al Ferrante Aporti sperimentano la reclusione, la sottrazione della libertà e fondamentale, nel percorso di riabilitazione, è l’incontro con adulti significativi che rimotivino a ripartire. In questi due anni anche i giovani «liberi» in qualche modo hanno vissuto «ristretti» non potendo andare a scuola in presenza, frequentare gli amici, fare sport ecc. Secondo lei il mondo degli adulti (genitori, educatori, insegnanti, politici…) cosa deve fare per aiutare ragazzi e le ragazze a guardare oltre il Covid che ci ha gettato in un clima di pessimismo e progettare il futuro?

Qui il tema rimanda a quale tipo di comunicazione va innestata tra gli adulti e i giovani. Noi adulti siamo ancora troppo legati alla comunicazione verbale fatta di buone parole, piena di «mi raccomando». Ma forse non è giunto il tempo di avviare segnali e possibili percorsi di incontro? Perché tutti sperimentiamo la ricchezza di un incontro prolungato, senza fretta, non guardando l’orologio ma trasmettendo la vera sensazione di essere lì solo per loro. Occorre condivisione di esperienze: ci abbiamo provato un po’ nel tempo del lockdown, ma poi la Dad per i ragazzi, il lavoro in remoto per gli adulti hanno di nuovo ridotto le possibilità di incontro. Dice un ragazzo «E il resto della giornata: Dad e play station, che d’altronde erano gli unici due modi per stare in contatto con i miei amici». Il tema del guardare oltre va trasmesso con segnali di speranza. Non possiamo consegnare ai giovani ciò che a noi adulti per primi manca. Mi sembra che siamo incapaci di manifestare passione, vicinanza, empatia con chi ci sta accanto, fosse anche nostro figlio. È quanto scriveva san Giovanni Bosco nel 1884 da Roma in una lettera inviata ai salesiani di Torino Valdocco: «Non basta che i giovani siano amati ma che capiscano di essere amati!». Con questo li invitava a stare in mezzo ai ragazzi, a giocare con loro, a seguirli in ogni loro attività, a praticare la vicinanza… Erano questi per don Bosco i veri segnali d’incontro. Adulti arrabbiati nelle piazze per le proteste «No Green Pass» con lo slogan di «Potere al popolo» non so cosa possano trasmettere ai giovani…

Qual è il ruolo della pastorale giovanile delle nostre diocesi?

La Pastorale giovanile ha  grandi opportunità, educatori e preti giovani che stanno in mezzo ai ragazzi. Li favorisce la vicinanza di età, le tante occasioni, anche quelle estive: Estate ragazzi, campi scuola, oratori aperti e accoglienti al di là del colore della pelle e dell’appartenenza religiosa. Ma anche qui – e io sono nessuno per insegnare agli altri – sembra ovvio che queste occasioni di incontro bisogna giocarsele a tutto campo, non aver paura, ma viverle con gioia: perché se i ragazzi vedono che noi ci crediamo, non saranno mai spettatori.

Il presidente Mattarella intervenendo al Meeting di Rimini ha invitato tutti, soprattutto i credenti, al coraggio della responsabilità: «la nostra responsabilità è immaginare il domani» ha detto. Come possiamo aiutare i nostri giovani ad immaginare il loro domani?

Rispondo con le parole di Mattarella: «Il mondo ‘globale’ viene percepito, e diviene in realtà, sempre più piccolo, le distanze si accorciano, comunichiamo on line, con immediatezza, non soltanto parole e immagini, ma speranze e paure, modelli di vita e comportamenti sociali. Un virus temibile e sconosciuto ha propagato rapidamente i suoi effetti sull’uomo, sulle società, sulle economie, diffondendo morte e provocando una crisi ancor più pesante delle altre di questo primo scorcio di millennio. Avere il coraggio ‘di dire io’ richiama la necessità di rivolgersi ad altri, a uno o a tanti tu. Si tratta, anche per i credenti, della chiave del rapporto con Dio. La pandemia ci ha dimostrato quanto ci sia bisogno di responsabilità. L’io responsabile e solidale, l’io che riconosce il comune destino degli esseri umani, si fa pietra angolare della convivenza. E, nella società civile, nella democrazia.

Lo sviluppo integrale della persona si è arricchito di ulteriori implicazioni e coerenze, connesse anche all’irrinunciabile principio di pari dignità e uguaglianza. La persona è più dell’individuo: è un io pienamente realizzato. Vive nel ‘noi’, cerca il ‘noi’. Sentiamo che cresce la voglia di ripartire: il motore è la fiducia che sapremo migliorarci, che riusciremo a condurre in avanti il nostro Paese».

Nel chiudere vorrei rivolgere a tutti l’invito a tradurre queste grandi parole in un costante, anche se faticoso, esercizio della responsabilità, ma, e ancor più in quello, tutto da inventare, del trasmettere ai giovani gli strumenti adatti per non restarne fuori.

Estate negli Oratori di frontiera – La Voce e il Tempo

Dopo mesi di pandemia, i giovani sono tornati a relazionarsi nei centri oratoriani. Tra i ragazzi torinesi ci sono anche quelli di Don Bosco San Salvario. Di seguito l’articolo pubblicato su “La Voce e il Tempo“, a cura di Stefano Di Lullo.

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Inchiesta – Viaggio nei centri oratoriani della periferia torinese, spesso l’unico salvagente per i ragazzi da Barriera di Milano a Mirafiori, San Salvario, Falchera, Porta Palazzo dopo i difficili mesi della pandemia che hanno quasi annientato le relazioni.

In oratorio la vita e al di là delle mura la morte con lo spaccio e fenomeni di delinquenza a cielo aperto, in pieno giorno. È la fotografia che don Stefano Votta, parroco a Maria Regina della Pace nel cuore di Barriera di Milano, tra corso Giulio Cesare e corso Palermo, scatta in un giorno di oratorio estivo. Si tratta di uno dei tanti oratori di frontiera che nelle periferie della città, segnate dal disagio sociale aggravato a dismisura dalla pandemia, hanno spalancato i cancelli, o sono andati direttamente sulle strade, puntando a risvegliare i sogni infranti di bambini, adolescenti e giovani a cui il Covid ha annientato le relazioni.

Imponente la rete degli oratori, diocesani, salesiani e di parrocchie affidate a diverse congregazioni religiose, che stanno offrendo al più ampio numero di ragazzi possibile opportunità di inclusione e integrazione a tutto campo con quote di iscrizione basse, a fronte di un aumento dei costi di gestione, o a volte gratuite.

Gli oratori non hanno di certo aspettato rassicurazioni sui contributi pubblici, che arriveranno chissà quando (ormai è la norma) ma si sono mobilitati per offrire servizi di qualità a tutte le famiglie.

Presentiamo dunque alcune fra le numerose e significative esperienze da nord a sud di Torino.

Falchera e Villaretto – Per la prima volta la parrocchia San Pio X di Falchera, grazie all’impegno di un giovane, ha avviato l’Estate Ragazzi anche al Villaretto presso la chiesa di San Rocco (piazza Don Puglisi) dove non sono mai esiste opportunità di aggregazione per i ragazzi e tanto meno centri estivi.

«Viste le difficoltà delle famiglie», sottolinea Alessio Salpietra, responsabile dell’Estate Ragazzi del Villaretto, «offriamo il servizio gratuitamente (eccetto 10 euro di assicurazione). Fino al 16 luglio accoglieremo bambini che non avendo opportunità di spostarsi sarebbero rimasti a casa tutta l’estate». Ogni giorno alcuni animatori dell’oratorio San Pio X partono in bicicletta e raggiungono il Villaretto per le attività di animazione. A San Pio X, invece, le iscrizioni sono terminate in pochi giorni: ci sono tra i 130 e i 140 iscritti e sono numerosi quelli in lista d’attesa.

«Le norme», sottolinea il parroco don Adelino Montanelli, «nonostante gli ampi spazi esterni, non ci consentono di accogliere più iscrizioni, ma è massima l’attenzione per raggiungere chi è ai margini come i bambini delle famiglie Rom che vivono nella zona della Falchera. Offriamo una vacanza, dopo i terribili mesi delle restrizioni, in cui i ragazzi possano tornare a ricostruire le relazioni e a vivere: ampia anche la risposta degli animatori che prestano servizio senza risparmiarsi; organizzano anche gite in montagna in Val d’Ayas».

Barriera di Milano – Sono in centocinquanta, fra iscritti, animatori ed educatori,  anche all’oratorio Maria Regina della Pace in Barriera di Milano dove sono partiti i campi estivi in montagna e le gite al parco acquatico.

«L’oratorio», evidenzia il parroco don Votta, «diventa espressione di vita per tutto il quartiere. Quando mi affaccio dalla finestra del mio ufficio da una parte vedo la vita, la gioia, la speranza, la carità, il donarsi reciprocamente e dall’altra parte esattamente il contrario: la morte, la tristezza, la disperazione: ingredienti che alimentano il degrado e il disagio nelle periferie, nonostante gli slogan delle istituzioni sul rilancio dei quartieri popolari».

Ma c’è un segno di speranza a partire dalle nuove generazioni che si ritrovano a giocare, a riflettere e a confrontarsi insieme in uno stesso cortile: «è lì», osserva il parroco della Pace, «che si formano gli ‘onesti cittadini’, attraverso l’educazione alla legalità e all’inclusione che è certamente possibile».

Un terzo degli iscritti sono di origine straniera. A guidare le attività ci sono il viceparroco don Giuliano Naso e il collaboratore parrocchiale don Luca Ramello, direttore della Pastorale giovanile diocesana. «Constatiamo la debolezza degli adolescenti», conclude don Votta, «che vivono crisi di panico, soprattutto laddove si sono verificate situazioni di sofferenza in famiglia a causa della pandemia».

Borgo Vittoria – I campetti utilizzati fino a 4 anni fa dal Victoria Ivest in via Paolo Veronese, realizzati nel 2012 e dopo poco tempo lasciati al degrado, ora ospitano l’Estate ragazzi della parrocchia San Giuseppe Cafasso su corso Grosseto che si è occupata di tagliare l’erba e riqualificare l’area.

«La Circoscrizione 5», sottolinea il parroco don Angelo Zucchi, «ha concesso i campi in comodato d’uso gratuito alla parrocchia per un mese. Abbiamo dunque portato l’oratorio in un’area nel degrado come segno di speranza e di rinascita per il quartiere periferico e la città». L’oratorio estivo della parrocchia Cafasso, conosciuta come «Il centro della periferia», iniziata lunedì 21 giugno, proseguirà fino a fine luglio con 120 iscritti.

«È bastata una settimana e i ragazzi sono finalmente rinati», commenta don Zucchi, «l’oratorio è un’oasi di vita nel deserto in un quartiere che al di là delle problematiche legate al Covid chiede a gran voce un rilancio ‘vero’. C’è stata anche, in particolare, un’esplosione di nuovi animatori che a maggio hanno chiesto di prestare servizio».

Borgo Dora/Aurora – Nella parrocchia San Gioacchino, affidata ai sacerdoti della Fraternità del Sermig, fra i quartieri Aurora e Porta Palazzo, l’«oratorio dei popoli» è tornato a rianimarsi e a colorarsi con bambini e ragazzi di diverse etnie, provenienze e religioni. Circa 200 gli iscritti suddivisi tra l’Arsenale della Pace del Sermig in piazza Borgo Dora e l’oratorio San Gioacchino in corso Giulio Cesare. Oltre 100 sono in lista di attesa.

«Per dare la possibilità a più ragazzi possibili di partecipare», sottolinea Alberto Rossi del Sermig, «i diversi gruppi frequentano il centro estivo solo mezza giornata, alternandosi fra mattina e pomeriggio con una gita settimanale». Tra le attività ampio spazio viene dato all’integrazione, «per imparare a vivere bene insieme valorizzando le diversità come ricchezza».

San Salvario – Da pochi giorni è tornato, anche fisicamente, l’oratorio sulla strada. La postazione «Spazio Anch’io» dei Salesiani di San Salvario al Parco del Valentino, dopo la chiusura dovuta alla presenza prima del Covid Hospital e poi del Centro vaccinale,  ha ora trovato casa, in seguito ad un accordo con il Comune, nel viale centrale pedonale di corso Marconi.

«L’educativa di strada che non si è mai interrotta nei diversi lockdown», sottolinea l’incaricato dell’oratorio San Luigi don Mario Fissore, salesiano, «ha di nuovo il suo punto di riferimento sul territorio per accogliere, ascoltare e accompagnare i giovani più fragili che è possibile intercettare, appunto, solo sulla strada».

Allo stesso tempo è ripresa la presenza degli educatori anche in piazza Galimberti di fronte alle arcate e alle palazzine in fase di completa ristrutturazione dell’ex Villaggio Olimpico Moi. Sono poi partite le attività degli Oratori estivi al San Luigi (via Ormea) per le medie e a Ss. Pietro e Paolo per le elementari (via Giacosa).

«L’obiettivo», prosegue don Fissore, «è quello di favorire una presenza educativa capillare sul territorio con vari destinatari, sia con ambienti di transito come l’educativa di strada, sia con le attività tradizionali  e organizzate dei centri estivi oratoriani». Numerose le iscrizioni pervenute. Gli oratori offrono ciò che i ragazzi non hanno avuto in questi mesi: attività che stimolino la creatività e il movimento in gruppo».

Positive anche le attività proposte dal Comune di Torino e dalla Fondazione Compagnia di San Paolo nell’ambito dell’iniziativa «La bella stagione» che offre opportunità di laboratori, visite museali e percorsi naturalistici nei parchi cittadini ai centri estivi che aderiscono al progetto «2021. Un’estate insieme» attraverso la Noi Torino o l’Ags (associazione giovanile salesiana).

Mirafiori – Un murales per riempire di colore lo spazio nero lasciato dalla pandemia: l’oratorio San Luca Evangelista, nel quartiere Mirafiori Sud di Torino, ha inaugurato così l’oratorio estivo: i ragazzi e le ragazze per dipingerlo sono tornati ad incontrarsi, dopo più di un anno di contatti virtuali e di relazioni segnate dalla lontananza. E come nell’oratorio di San Luca, anche negli altri cortili dell’Unità pastorale 20 è tornato ad esserci movimento. Lo scorso 14 giugno hanno preso il via all’unisono le attività estive di tutti gli oratori dell’Unità pastorale: quello di San Remigio (via Chiara 14), quello della parrocchia Visitazione di Maria Vergine e San Barnaba insieme alla parrocchia di Santi Apostoli (Strada Castello 42), oltre all’oratorio di San Luca (via Negarville 14) e a quello dei Beati Parroci (via Monte Cengio 8), che per la prima volta hanno ideato insieme un’unica Estate Ragazzi.

La parrocchia Visitazione di Maria Vergine e San Barnaba, come altre parrocchie torinesi, ha promosso una raccolta fondi intitolata «Estate sospesa», per permettere la partecipazione anche ai figli delle famiglie in difficoltà economica.