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La Congregazione Salesiana in Preghiera per Papa Francesco: Servo Fedele Risorto in Cristo

Dall’Agenzia ANS.

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Il Rettor Maggiore dei Salesiani di Don Bosco e l’intera Congregazione salesiana si uniscono a tutta la Chiesa attorno al Santo Padre Francesco che questa mattina è risorto in Cristo.

Grati per la Sua costante attenzione e per i ripetuti stimoli ad uscire per «condividere la missione di portare il Vangelo fino ai confini delle periferie», specialmente là dove vivono i giovani più poveri e abbandonati, assicuriamo il nostro ricordo e la nostra fervida preghiera perché Dio Onnipotente e misericordioso conceda il premio eterno al Suo Servo Francesco che si è consumato «fino all’ultimo respiro» per il bene della Chiesa e dell’umanità intera.

 «Dove siamo noi sul Calvario? Sotto la croce? Un po’ a distanza? Lontano? O forse, come gli apostoli, non ci siamo più. Tu spiri, e questo respiro, ultimo e primo, chiede solo di essere accolto. Signore Gesù, piega le nostre strade verso il tuo dono. Non permettere che il tuo soffio di vita sia disperso. Il nostro buio cerca luce. I nostri templi vogliono rimanere definitivamente aperti. Ora il Santo non è più oltre il velo: il suo segreto è offerto a tutti. A noi, Gesù, che spesso ti guardiamo ancora da lontano, concedi di vivere nella memoria di te, perché un giorno, quando verrai, anche la morte ci trovi vivi»

(Papa Francesco).

Messaggio del Santo Padre ai partecipanti al XXIX Capitolo Generale della Congregazione Salesiana

Pubblichiamo di seguito il Messaggio che il Santo Padre Francesco ha inviato ai partecipanti al XXIX Capitolo Generale della Congregazione Salesiana, in corso a Valdocco, Torino, dal 16 febbraio al 12 aprile 2025:

Dal Vaticano, 2 aprile 2025

Cari fratelli,

non potendo purtroppo incontrarvi, vi mando questo messaggio in occasione del XXIX Capitolo Generale della Congregazione Salesiana, e anche del 150° anniversario della prima spedizione missionaria di Don Bosco in Argentina. Saluto il nuovo Rettor Maggiore, Don Fabio Attard, augurandogli buon lavoro, e ringrazio il Cardinale Ángel Fernández Artime per il servizio che ha reso in questi anni all’Istituto e che offre ora alla Chiesa universale.

Seppure a distanza, desidero incoraggiarvi a vivere con fiducia e impegno questo tempo di ascolto dello Spirito e di discernimento sinodale.

Avete scelto, come tema per i vostri lavori, il motto: “Salesiani appassionati di Gesù Cristo e consegnati ai giovani”. È un bel programma: essere “appassionati” e “consegnati”, lasciarsi coinvolgere pienamente dall’amore del Signore e servire gli altri senza tenere nulla per sé, proprio come ha fatto, a suo tempo, il vostro Fondatore. Anche se oggi, rispetto ad allora, le sfide da affrontare sono in parte cambiate, la fede e l’entusiasmo rimangono gli stessi, arricchiti di nuovi doni, come quello dell’interculturalità.

Cari fratelli, vi ringrazio per il bene che fate in tutto il mondo e vi incoraggio a continuare con perseveranza. Benedico di cuore voi e i vostri lavori capitolari, come pure i confratelli sparsi nei cinque continenti, e chiedo per favore di pregare per me. Maria Ausiliatrice vi accompagni sempre.

-FRANCESCO

Lettera del Papa a quattro studentesse del Liceo Don Bosco di Borgomanero

Notizia a cura dei salesiani di Borgomanero.

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Emma Scilironi, Alessandra Carrera, Matilde Gioria e Chiara Maria Calabrese sono quattro studentesse del secondo anno del Liceo Don Bosco di Borgomanero (Classico ed Economico Sociale) che hanno scritto al Santo Padre riguardo alla povertà infantile in Europa e alle Sue esperienze a riguardo, dell’ambito del progetto didattico su queste tematiche coordinato dal professor Alessandro Salbego.

“Papa Francesco ci ha commosso con la Sua lettera, poiché tutto il Collegio Don Bosco di Borgomanero ha ricevuto una benedizione diretta: inoltre, siamo onorate di aver ricevuto due cartoline devozionali per ognuna di noi in segno di ringraziamento. Abbiamo voluto incorniciare la lettera originale nell’ufficio del direttore Giovanni Campagnoli e della preside Emanuela Negri, per sottolineare la sua importanza.

è quanto affermano le studentesse. È possibile leggere la risposta del Papa di seguito:

 

 

Il San Paolo alla Giornata Mondiale dei Bambini di Roma

Notizia a cura dei salesiani del San Paolo.

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Sabato 25 e domenica 26 maggio, un gruppo di bambinigenitori e catechisti dell’oratorio sono stati a Roma, alla giornata mondiale dei bambini, voluta da Papa Francesco.

Il pomeriggio del sabato abbiamo vissuto una grande festa allo stadio olimpico di Roma, con musica, spettacoli e alla fine le domande dei bambini per il Papa.

Domenica mattina Messa solenne in piazza San Pietro. Abbiamo trovato un clima di accoglienza e di festa, e un Papa che vuole bene a tutti ed è attento a ogni persona, bambini genitori e nonni.

Vaticano – Prima Giornata Mondiale dei Bambini: Papa Francesco affida ai più piccoli il mondo e la pace

Dall’agenzia ANS.

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(ANS – Città del Vaticano) – Una celebrazione semplice e piena di gioia, così come sono i bambini di tutto il mondo: questa è stata la I Giornata Mondiale dei Bambini (GMB), istituita da Papa Francesco su suggerimento proprio di un bambino, e realizzata nel fine-settimana del 25-26 maggio 2024 a Roma. Nelle due tappe della manifestazione – sabato pomeriggio allo Stadio Olimpico e domenica mattina in Piazza San Pietro – il Santo Padre ha dialogato con i più piccoli in maniera affettuosa e sincera, affidando loro il compito di coltivare l’amicizia e la pace e di avere cura dei poveri, degli anziani, dei malati e del mondo intero.

L’evento dello Stadio Olimpico si è aperto con una sfilata di 101 delegazioni – dall’Afghanistan allo Zambia – che ha dato il senso della reale universalità di questa GMB, evento promosso dal Dicastero vaticano per la Cultura e l’Educazione. Il pomeriggio è poi proseguito con momenti d’intrattenimento musicale, testimonianze e sport e, tra le esibizioni di cantanti affermati o amati dai bambini e i momenti di gioco con grandi campioni del recente passato, un bambino di ogni continente ha raccontato la sua vita e ciò che lo preoccupa.

Victor, 13 anni, da Betlemme, vede da otto mesi il cielo occupato dai missili e si chiede: “Che colpa abbiamo noi bambini se siamo nati a Betlemme, a Gerusalemme o Gaza?”. Eugenia, da Kharkiv, in Ucraina, vuole la pace e non vuole che i bambini sentano le bombe cadere e vedere la morte. Mila, dalla Nuova Zelanda, teme per il futuro del pianeta a causa dell’aumento delle inondazioni, così come Mateo da Buenos Aires si è detto angosciato per i bambini che sono malati e non hanno da mangiare.

Al suo arrivo il Papa, accolto da grandi ovazioni da parte di tutti i presenti, ha esortato a ripetere “Ecco io faccio nuove tutte le cose”, il motto della GMB, e ha fatto da vero animatore con i più piccoli. “In voi, bambini, tutto parla di vita, di futuro. E la Chiesa, che è madre, vi accoglie, vi accompagna con tenerezza e con speranza (…) Dio vuole questo, tutto ciò che non è nuovo passa. Dio è novità. Sempre il Signore ci dà la novità” ha affermato, prima di ricordare a tutti che “Gesù vi vuole bene!” e di invitare i 50mila presenti a recitare un’Ave Maria “alla Mamma del Cielo”.

Nel successivo dialogo con alcuni rappresentati dei bambini, Papa Francesco ha regalato sorrisi e risposte genuine, alla portata di tutti. “Come si fa ad amare tutti?”, ha chiesto Riccardo, bimbo rom di Scampia. Cominciamo con amare coloro che sono più vicini a noi, ha risposto il Papa, e poi andiamo avanti.

“Sono felice di stare con voi perché siete gioiosi e avete la gioia della speranza del futuro”, ha ribadito poco dopo Papa Francesco, che se potesse fare un miracolo chiederebbe che tutti i bambini abbiano il necessario per vivere, mangiare e andare a scuola e che “tutti siano felici”, ha dichiarato rispondendo a una bambina indonesiana. Un bambino del Nicaragua gli ha chiesto perché tante persone non hanno una casa o un lavoro. “È il frutto della malizia, dell’egoismo e della guerra”, ha sottolineato il Pontefice.

“Come si apre il cuore dei grandi?”, ha chiesto ancora Ido, dalla Corea del Sud, protagonista del corto “la Casa dei tutti”, rappresentazione dello spirito della GMB, in cui la bambina incontra un senzatetto e lo conduce nella Basilica di San Pietro. C’è tanta gente chiusa “col cuore duro, col cuore che sembra un muro”, ha osservato il Papa. Non è facile, ripete, ma voi bambini, ha avvertito il Papa, dovete avere questa speranza di fare delle cose che facciano pensare gli adulti. “Dovete bussare alle porte dei grandi (…) e, anzi, dovete fare queste domande anche a Dio. Voi bambini potete fare una vera rivoluzione con queste domande e con queste inquietudini”.

Il pensiero di Papa Francesco è andato ancora agli anziani, sollecitato dalla domanda di Iolanda. “Viva i nonni”, ha chiesto di urlare ai bambini dell’Olimpico, dopo aver ricordato l’importanza di vistarli e di andare a trovarli.

Completata la prima sessione, i 50mila dell’Olimpico si sono ritrovati in Piazza San Pietro per la Messa nella Solennità della Santissima Trinità, una celebrazione composta e curata, ma al tempo stesso accessibile ai più piccoli. Il Pontefice in primis ha offerto una catechesi limpida e vivace, con la quale ha riassunto il grande mistero della Trinità in poche e semplici parole: il Padre ci ha creato, Gesù ci ha salvato, lo Spirito Santo “ci accompagna nella vita”, come ha fatto ripetere più e più volte all’assemblea, consapevole che delle tre persone della Trinità proprio lo Spirito Santo sia il più difficile da conoscere e comprendere.

Non sono mancati anche degli accenni speciali a Gesù, “che perdona sempre… anche il più brutto dei peccatori”, e a Maria, la mamma di tutti. Il Papa, infine, ha esortato ancora i piccoli a pregare, per la pace, i genitori, per i nonni e per i bambini ammalati. E al termine della celebrazione ha annunciato che la GMB avrà una seconda edizione nel settembre del 2026.

Terminata la Messa, la festa si è conclusa con la recita dell’Angelus nella versione breve e l’intervento del regista e attore premio oscar Roberto Benigni, che tra varie citazioni ha ben sintetizzato il significato dell’evento affermando: “Prendete il volo, prendete in mano la vostra vita e fatene un capolavoro… Costruite un mondo migliore, fatelo diventare più bello, che noi non ci siamo riusciti”.

Avvenire – La formazione professionale in udienza dal Papa: «Troppi giovani sfruttati»

Pubblichiamo un articolo da Avvenire, a firma di Paolo Ferrario.

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«Una valida formazione professionale è un antidoto alla dispersione scolastica e una risposta alla domanda di lavoro in diversi settori dell’economia. Il lavoro è fondamentale della nostra vita e della nostra vocazione. Eppure, oggi assistiamo a un degrado del senso del lavoro, che viene sempre più interpretato in relazione al guadagno piuttosto che come espressione della propria dignità e apporto al bene comune.

Un «incontro storico» – promosso in occasione del 25° di fondazione di Forma e del 50° di Confap – perché, per la prima volta, il Papa incontrerà esclusivamente i rappresentanti di questa importante espressione del sistema italiano di istruzione, composto da circa 160mila allievi tra i 14 e i 18 anni. Ragazzi che vogliono lasciare la propria «impronta nel mondo» attraverso il lavoro. « Noi non formiamo manodopera ma persone in opera», sottolinea don Massimiliano Sabbadini, presidente di Confap. «È motivo di grande gioia poterci presentare al Papa nella nostra specificità – aggiunge – che è aiutare i ragazzi a sviluppare tutte le loro caratteristiche e potenzialità. E siamo orgogliosi di accogliere nei nostri centri di formazione anche giovani che sono stati espulsi dalla scuola, dando loro una nuova dignità». Ragazzi con alle spalle «storie complicate che da noi ritrovano la propria strada», interviene Paola Vacchina, presidente di Forma e amministratore delegato di Enaip (Ente nazionale impresa sociale), fondato negli anni Cinquanta su iniziativa delle Acli. «Abbiamo il desiderio di sentirci abbracciati e incoraggiati da papa Francesco – aggiunge Vacchina – e sappiamo quanto il Santo Padre sia attento alla formazione dei giovani e alla costruzione di una società migliore in cui ciascuno, attraverso il proprio lavoro, possa contribuire al bene comune».

«Una valida formazione professionale è un antidoto alla dispersione scolastica e una risposta alla domanda di lavoro in diversi settori dell’economia. Il lavoro è fondamentale della nostra vita e della nostra vocazione. Eppure, oggi assistiamo a un degrado del senso del lavoro, che viene sempre più interpretato in relazione al guadagno piuttosto che come espressione della propria dignità e apporto al bene comune.

Pertanto, è importante che i percorsi di formazione siano al servizio della crescita globale della persona». Sono le parole con cui questa mattina, in Aula Nervi, Francesco s’è rivolto agli allievi e insegnanti nel corso di un’udienza «straordinaria ed esclusiva», promossa in occasione del 50° di fondazione di Confap e del 25° di Forma. «Questo incontro riveste un significato particolare poiché sottolinea il continuo impegno di Forma e Confap nel promuovere una formazione che non solo trasmetta competenze tecniche, ma anche valori di solidarietà, giustizia sociale e rispetto per la dignità umana. Inoltre, conferma l’importanza cruciale della formazione professionale nel contesto contemporaneo e l’impegno costante nel promuovere un’economia al servizio dell’umanità». Così, Forma e Confap sottolineano l’importanza dell’appuntamento di questa mattina in Aula Nervi, in Vaticano, dove è in programma un’udienza straordinaria ed esclusiva concessa da papa Francesco al mondo della formazione professionale.

Un «incontro storico» – promosso in occasione del 25° di fondazione di Forma e del 50° di Confap – perché, per la prima volta, il Papa incontrerà esclusivamente i rappresentanti di questa importante espressione del sistema italiano di istruzione, composto da circa 160mila allievi tra i 14 e i 18 anni. Ragazzi che vogliono lasciare la propria «impronta nel mondo» attraverso il lavoro. « Noi non formiamo manodopera ma persone in opera», sottolinea don Massimiliano Sabbadini, presidente di Confap. «È motivo di grande gioia poterci presentare al Papa nella nostra specificità – aggiunge – che è aiutare i ragazzi a sviluppare tutte le loro caratteristiche e potenzialità. E siamo orgogliosi di accogliere nei nostri centri di formazione anche giovani che sono stati espulsi dalla scuola, dando loro una nuova dignità». Ragazzi con alle spalle «storie complicate che da noi ritrovano la propria strada», interviene Paola Vacchina, presidente di Forma e amministratore delegato di Enaip (Ente nazionale impresa sociale), fondato negli anni Cinquanta su iniziativa delle Acli. «Abbiamo il desiderio di sentirci abbracciati e incoraggiati da papa Francesco – aggiunge Vacchina – e sappiamo quanto il Santo Padre sia attento alla formazione dei giovani e alla costruzione di una società migliore in cui ciascuno, attraverso il proprio lavoro, possa contribuire al bene comune».

Già 180 anni fa, nel 1842, don Giovanni Bosco seguiva i giovani apprendisti nelle botteghe di Torino e da quel seme è nata l’esperienza salesiana nel campo della formazione professionale. Porta la firma di don Bosco, infatti, il primo contratto di apprendistato della storia, siglato l’8 febbraio del 1852 tra lo stesso don Bosco, il datore di lavoro, il giovane apprendista e suo padre. Dal 1977, inoltre, la Federazione Cnos Fap è la struttura associativa che attualizza in Italia l’esperienza formativa di don Bosco e dei Salesiani. Una rete oggi composta da 63 centri, 16 sedi regionali, 1.593 operatori su tutto il territorio nazionale, 1.541 corsi, 23.332 allievi e 865.527 ore di formazione erogate. Inoltre, il tasso di occupazione dei diplomati Its (Istituti tecnici superiori) è del 94,2% per il sistema meccanica, dell’89,9% per la Mobilità sostenibile e dell’88,5% per l’Efficienza energetica. « Al Papa – dice don Giuliano Giacomazzi, direttore del Cnos-Fap nazionale – offriamo il nostro impegno per i ragazzi in maggiore difficoltà, il lavoro fatto con loro per collaborare alla costruzione del loro futuro, la collaborazione con le aziende per rispondere con la formazione professionale a un bisogno sempre più urgente nella nostra nazione, cercando di fare un match fra bisogni del mondo del lavoro, le esigenze dei ragazzi, le opportunità della formazione».

2-3 Maggio: il Papa incontra i CFP

Dal CFP di Fossano.

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Venerdì 3 maggio in aula Paolo VI eravamo 7.000, 103 dal Piemonte, 10 da Fossano, tutti della Formazione Professionale, tutti per incontrare Papa Francesco.

Siamo stati invitati a vivere questa esperienza come un pellegrinaggio con le caratteristiche che Don Claudio Belfiore ci ha ricordato:

“Avere una meta, camminare insieme, collaborare, incontrarsi, servire e rispetto”.

L’incontro col Papa è stato preceduto da una riflessione che verteva su tre parole precedute da una frase del Papa.

PROTAGONISMO

Quello che ti dà dignità non è portare il pane a casa. Quello che ti dà dignità è guadagnare quel pane.

-Papa Francesco

Siamo stati invitati a rendere i nostri allievi protagonisti e non individualisti, a prendere coscienza delle proprie capacità e aiutarli a spiccare il volo.

CONDIVISIONE

Dialogare è ascoltare quello che dice l’altro e dire con mitezza quello che penso io; se le cose vanno così il posto di lavoro sarà migliore.

-Papa Francesco

L’ascolto è la base della condivisione che è fondamentale per creare una collaborazione sia tra studenti e insegnanti che tra lavoratori e imprenditori.

TESTIMONIANZA

Ogni Cristiano, nel posto di lavoro, può dare testimonianza con le parole e prima ancora con una vita onesta.

-Papa Francesco

È il modo con cui si svolge il proprio lavoro che fa la differenza e può trasformare una semplice attività in una testimonianza di vita.

Poi dopo tanta attesa è giunto il Papa che ha sottolineato che la nostra proposta formativa è integrale perché oltre alla qualità della didattica riserva una cura e un’attenzione speciale soprattutto ai giovani ai margini della vita sociale e ecclesiale

Il discorso è stato incentrato su tre parole: GIOVANI, FORMAZIONE PROFESSIONE.

Il giovane deve essere il centro della nostra attività di formazione che deve utilizzare al meglio le novità della tecnologia senza pensare che quest’ultima possa risolvere tutti i problemi.

Infine la professione è ciò che dà un’identità alla persona ed è un aspetto fondamentale della nostra vita e della vocazione di ognuno.

L’invito è stato quello di non interpretare il lavoro in funzione del guadagno, ma come espressione della propria dignità e apporto al bene comune.

Il passaggio del Papa in mezzo alla gente al termine del suo intervento, evidenzia la sua umanità, semplicità e vicinanza: i gesti di dare le caramelle ai bambini, di stringere le mani, di dispensare sorrisi fanno scaldare i cuori.

Il pensiero finale va ai ragazzi ricordando loro la loro unicità e le loro capacità.

“Non siete numeri, ma avete i numeri per cambiare il mondo.”

Avvenire – La formazione professionale dal Papa: «Il lavoro dei giovani cambia il mondo»

Dal quotidiano Avvenire, di Paolo Ferrario.

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«Questo incontro riveste un significato particolare poiché sottolinea il continuo impegno di Forma e Confap nel promuovere una formazione che non solo trasmetta competenze tecniche, ma anche valori di solidarietà, giustizia sociale e rispetto per la dignità umana. Inoltre, conferma l’importanza cruciale della formazione professionale nel contesto contemporaneo e l’impegno costante nel promuovere un’economia al servizio dell’umanità». Così, Forma e Confap sottolineano l’importanza dell’appuntamento di questa mattina in Aula Nervi, in  Vaticano, dove è in programma un’udienza straordinaria ed esclusiva concessa da papa Francesco al mondo della formazione professionale. Un «incontro storico» – promosso in occasione del 25° di fondazione di Forma e del 50° di Confap – perché, per la prima volta, il Papa incontrerà esclusivamente i rappresentanti di questa importante espressione del sistema italiano di istruzione, composto da circa 160mila allievi tra i 14 e i 18 anni. Ragazzi che vogliono lasciare la propria «impronta nel mondo» attraverso il lavoro. «Noi non formiamo manodopera ma persone in opera», sottolinea don Massimiliano Sabbadini, presidente di Confap. «È motivo di grande gioia poterci presentare al Papa nella nostra specificità – aggiunge – che è aiutare i ragazzi a sviluppare tutte le loro caratteristiche e potenzialità. E siamo orgogliosi di accogliere nei nostri centri di formazione anche giovani che sono stati espulsi dalla scuola, dando loro una nuova dignità». Ragazzi con alle spalle «storie complicate che da noi ritrovano la propria strada», interviene Paola Vacchina, presidente di Forma e amministratore delegato di Enaip (Ente nazionale impresa sociale), fondato negli anni Cinquanta su iniziativa delle Acli. «Abbiamo il desiderio di sentirci abbracciati e incoraggiati da papa Francesco – aggiunge Vacchina – e sappiamo quanto il Santo Padre sia attento alla formazione dei giovani e alla costruzione di una società migliore in cui ciascuno, attraverso il proprio lavoro, possa contribuire al bene comune». Un assaggio delle competenze apprese nei centri di formazione professionale e della passione dei giovani allievi saranno i doni presentati al Papa durante l’udienza.

«Simboli dell’impegno dei ragazzi capaci di produrre cose buone», aggiunge la presidente di Forma. Tra le opere donate al Pontefice, una lampada in legno realizzata dagli allievi del Cfp di Tesero, in Trentino, con i rami e i tronchi schiantati dalla tempesta Vaia dell’autunno 2018, «simbolo della vita che rinasce e della luce che si accende nche dopo le difficoltà». Un allievo ucraino porterà in dono alcune colombe, messaggere di pace, realizzate unendo legno dolce e duro, «simbolo di speranza e riconciliazione, richiamo potente all’importanza di costruire ponti di comprensione e solidarietà, affinché possiamo tutti vivere in un mondo di pace e armonia». «Nella cultura dello scarto in cui oggi viviamo, come dice papa Francesco – si legge nella presentazione dell’udienza pubblicata sul sito di Forma – i doni portati dai ragazzi ci raccontano un’altra realtà: il valore sta nelle mani di chi sa produrre e nelle menti di chi sa concepire. Ognuno restituisce al mondo il proprio valore, con un’impronta che rimane indelebile attraverso artefatti, opere e strumenti che raccontano il meraviglioso universo che risiede in ognuno di noi. L’unicità dei doni è l’unicità dei ragazzi che li hanno creati, il valore più grande che i centri di formazione professionale hanno: i propri allievi».

Già 180 anni fa, nel 1842, don Giovanni Bosco seguiva i giovani apprendisti nelle botteghe di Torino e da quel seme è nata l’esperienza salesiana nel campo della formazione professionale. Porta la firma di don Bosco, infatti, il primo contratto di apprendistato della storia, siglato l’8 febbraio del 1852 tra lo stesso don Bosco, il datore di lavoro, il giovane apprendista e suo padre. Dal 1977, inoltre, la Federazione Cnos Fap è la struttura associativa che attualizza in Italia l’esperienza formativa di don Bosco e dei Salesiani. Una rete oggi composta da 63 centri, 16 sedi regionali, 1.593 operatori su tutto il territorio nazionale, 1.541 corsi, 23.332 allievi e 865.527 ore di formazione erogate. Inoltre, il tasso di occupazione dei diplomati Its (Istituti tecnici superiori) è del 94,2% per il sistema meccanica, dell’89,9% per la Mobilità sostenibile e dell’88,5% per l’Efficienza energetica. «Al Papa – dice don Giuliano Giacomazzi, direttore del CnosFap nazionale – offriamo il nostro impegno per i ragazzi in maggiore difficoltà, il lavoro fatto con loro per collaborare alla costruzione del loro futuro, la collaborazione con le aziende per rispondere con la formazione professionale a un bisogno sempre più urgente nella nostra nazione, cercando di fare un match fra bisogni del mondo del lavoro, le esigenze dei ragazzi, le opportunità della formazione».

Don Franco Fontana nominato Cappellano della Direzione dei Musei e dei Beni Culturali del Governatorato

Dall’agenzia ANS.

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(ANS – Città del Vaticano) – Nella giornata di giovedì 15 febbraio 2024 la Sala Stampa della Santa Sede ha reso noto che il Santo Padre Francesco ha nominato il salesiano don Francesco Fontana Cappellano della Direzione dei Musei e dei Beni Culturali, Coordinatore di tutti i Cappellani delle Direzioni e degli Uffici Centrali, Coordinatore del Programma “Estate Ragazzi” e del Programma “Festa della Famiglia” e delle altre iniziative di pastorale familiare.

Don “Franco” Fontana, come è più noto tra confratelli, amici e personale in servizio presso la Santa Sede era già Cappellano della Direzione dei Servizi di Sicurezza e Protezione Civile del Governatorato dello Stato della Città del Vaticano dal luglio 2019.

Nato il 15 agosto 1949 a Treviglio, in Lombardia, don Fontana conta 56 anni di vita salesiana e 44 di sacerdozio.

Negli ultimi cinque anni ha lavorato in Vaticano, distinguendosi nel servizio di Direttore della comunità vaticana presso la Santa Sede, come Cappellano della Gendarmeria e come Coordinatore delle già quattro esperienze di successo dell’“Estate Ragazzi” in Vaticano. Proprio al termine dell’edizione 2022 dell’Estate Ragazzi, durante l’udienza generale a cui partecipavano anche i giovani dell’Estate Ragazzi, il Santo Padre manifestò un singolare attestato di stima nei confronti del salesiano, affermando: “Voglio ringraziare don Franco, l’anima spirituale del Vaticano, che da buon salesiano è stato capace di mettere questo seme, fare questo centro estivo, è il terzo anno”.

Prima di servire in Vaticano don Fontana era stato Direttore dell’“Istituto Sant’Ambrogio” di Milano, dove accompagnava la crescita umana e spirituale di circa 2.000 allievi; e Consigliere dell’Ispettoria Italia Lombardo-Emiliana (ILE); e prima ancora aveva già servito in diverse case salesiane, sempre come Direttore, Catechista o Preside: a Parma, a Bologna-Beata Vergine di San Luca, a Castel de’ Britti (Provincia di Bologna), in un centro per il recupero di adolescenti e giovani di strada, e Chiari (Provincia di Brescia), sede di una scuola che va dalle elementari al Liceo e all’Istituto di Formazione Professionale.

Né vanno dimenticati gli incarichi svolti come Delegato di Pastorale Giovanile per l’Ispettoria ILE e Coordinatore Nazionale dell’Animazione Missionaria, Delegato del Centro Nazionale Opere Salesiane (CNOS) per l’ONG “VIS – Volontariato Internazionale per lo Sviluppo” e suo Vicepresidente.

Sul suo conto si possono ricordare anche le esperienze maturate a fianco di due compianti pastori: il Cardinale Giacomo Biffi, che a Bologna lo volle Delegato di Pastorale Giovanile e con il quale collaborò assiduamente come Segretario Generale del Congresso Eucaristico Nazionale che si svolse a Bologna nel 1997; e mons. Ernesto Vecchi, che accompagnò tra il 2013 e il 2014 nella delicata missione di Vescovo Amministratore Apostolico di Terni-Narni-Amelia, in qualità di moderatore della Curia diocesana.

Nel suo curriculum di studi, infine, ci sono il baccalaureato in Teologia, conseguito all’Università Pontificia Salesiana di Torino (1980), e la Laurea in Scienze Naturali, ottenuta presso l’Università di Parma (1984), cui ha fatto seguito anche l’abilitazione per l’insegnamento nelle scuole superiori.

La Stampa, intervista al Papa: “Don Bosco ha cambiato un po’ la storia. Anche con riflessioni culturali. E pure attraverso conversazioni con chi lo contrastava”

In una intervista rilasciata a Domenico Agasso de La Stampa, il Papa ha parlato anche di Don Bosco.

Il 31 gennaio è la festa di don Giovanni Bosco, «il Santo dei giovani»: che cosa insegna ancora oggi?

«Pare che una volta don Bosco abbia detto: “Se volete avere e aiutare dei giovani buttate un pallone sulla strada”. Il fondatore dei Salesiani e delle Figlie di Maria Ausiliatrice è stato capace di chiamare, coinvolgere ed entusiasmare i ragazzini senza futuro, e dare loro un futuro. Come? Con gli oratori. Lì i giovani giocavano, pregavano e imparavano. Per migliaia di piccoli abbandonati, disperati, destinati a un’esistenza di stenti e di esclusione, don Bosco ha tracciato la via di un avvenire di dignità e speranza. Ha fornito loro gli strumenti intellettuali e spirituali per superare gli ostacoli e valorizzare la propria vita. E ci è riuscito nonostante attacchi feroci: non dimentichiamoci che il Santo di Valdocco ha vissuto nell’epoca del Piemonte massonico e mangiapreti, e in quell’ambiente ostile è stato capace di trasformare in meglio l’atteggiamento sociale del territorio nei confronti dei giovani. Don Bosco ha cambiato un po’ la storia. Anche con riflessioni culturali. E pure attraverso conversazioni con chi lo contrastava».

L’intervista poi ha trattato i temi di attualità, la guerra, la pace e i giovani:

Santità, il mondo è nel pieno della «guerra mondiale a pezzi» da cui Lei aveva messo in guardia anni fa…
«Mai mi stancherò di ribadire il mio appello, rivolto in particolare a chi ha responsabilità politiche: fermare subito le bombe e i missili, mettere fine agli atteggiamenti ostili. In ogni luogo. La guerra è sempre e solo una sconfitta. Per tutti. Gli unici che guadagnano sono i fabbricanti e i trafficanti di armi. È urgente un cessate il fuoco globale: non ci stiamo accorgendo, o facciamo finta di non vedere, che siamo sull’orlo dell’abisso». Esiste una «guerra giusta»? «Bisogna distinguere e stare molto attenti ai termini. Se ti entrano in casa dei ladri per derubarti e ti aggrediscono, tu ti difendi. Ma non mi piace chiamare “guerra giusta” questa reazione, perché è una definizione che può essere strumentalizzata. È giusto e legittimo difendersi, questo sì. Ma per favore parliamo di legittima difesa, in modo da evitare di giustificare le guerre, che sono sempre sbagliate».

Come descrive la situazione in Israele e Palestina?

«Adesso il conflitto si sta drammaticamente allargando. C’era l’accordo di Oslo, tanto chiaro, con la soluzione dei due Stati. Finché non si applica quell’intesa, la pace vera resta lontana». Che cosa teme più di tutto? «L’escalation militare. Il conflitto può peggiorare ulteriormente le tensioni e le violenze che già segnano il pianeta. Però allo stesso tempo in questo momento coltivo un po’ di
speranza, perché si stanno svolgendo riunioni riservate per tentare di arrivare a un accordo. Una tregua sarebbe già un buon risultato». Come sta agendo la Santa Sede in questa fase degli scontri in Medio Oriente? «Una figura cruciale è il cardinale Pierbattista Pizzaballa, patriarca di Gerusalemme dei Latini. È un grande. Si muove bene. Sta provando con determinazione a mediare. I cristiani e la gente di Gaza – non intendo Hamas – hanno diritto alla pace. Io tutti i giorni videochiamo la parrocchia di Gaza. Ci vediamo nello schermo di Zoom, parlo alla gente. Lì in parrocchia sono 600 persone. Stanno continuando la loro vita guardando ogni giorno la morte in faccia. E poi, l’altra priorità è sempre la liberazione degli ostaggi israeliani».

E come procede la diplomazia vaticana sul fronte del conflitto in Ucraina?

«Ho dato l’incarico di questa missione complicata e delicata al cardinale Matteo Zuppi, presidente della Conferenza episcopale italiana: è bravo ed esperto, sta attuando una costante e paziente opera diplomatica per mettere da parte le conflittualità e costruire un’atmosfera di riconciliazione. È andato a Kiev e a Mosca, e poi a Washington e a Pechino. La Santa Sede sta cercando di mediare per lo scambio di prigionieri e il rientro di civili ucraini. In particolare stiamo lavorando con la signora Maria Llova-Belova, la commissaria russa ai diritti dell’infanzia, per il rimpatrio dei bambini ucraini portati con la forza in Russia. Qualcuno è già tornato nella sua famiglia».

Quali sono i pilastri su cui costruire la pace nel mondo?

«Dialogo. Dialogo. Dialogo. E poi, la ricerca dello spirito di solidarietà e fraternità umana. Non possiamo più ucciderci tra fratelli e sorelle! Non ha senso!».

Lei invita sempre alla preghiera: quanto conta e può incidere mentre il mondo brucia?

«La preghiera non è astratta! È una lotta con il Signore affinché ci dia qualcosa. La preghiera è concreta. E forte, e incisiva. La preghiera conta! Perché prepara il cammino verso una pacificazione, bussa alla porta del cuore di Dio affinché illumini e conduca gli esseri umani verso la pace. La pace è un dono che Dio può darci anche quando sembra che la guerra stia prevalendo  inesorabilmente. Per questo insisto in ogni occasione: bisogna pregare per la pace».

Lei a Lisbona, la scorsa estate, di fronte a milioni di giovani ha gridato con forza che la Chiesa è per «todos, todos todos»: rendere la Chiesa aperta a tutti è la grande sfida del suo pontificato?

«È la chiave di lettura di Gesù. Cristo chiama tutti dentro. Tutti. C’è proprio una parabola: quella del banchetto nuziale al quale nessuno si presenta, e allora il re manda i servi “ai crocicchi delle strade e tutti quelli che troverete, chiamateli alle nozze”. Il Figlio di Dio vuole far capire che non desidera un gruppo selezionato, un’élite. Poi qualcuno magari entra “di contrabbando”, ma a quel punto è Dio a occuparsene, a indicare il percorso. Quando mi interrogano: “Ma possono entrare pure queste persone che sono in tale inopportuna situazione morale?”, io assicuro: “Tutti, l’ha detto il Signore”. Domande come questa mi arrivano soprattutto negli ultimi tempi, dopo alcune mie decisioni…».

In particolare la benedizione delle «coppie irregolari e dello stesso sesso»…

«Mi chiedono come mai. Io rispondo: il Vangelo è per santificare tutti. Certo, a patto che ci sia la buona volontà. E occorre dare istruzioni precise sulla vita cristiana (sottolineo che non si benedice  l’unione, ma le persone). Ma peccatori siamo tutti: perché dunque stilare una lista di peccatori che possono entrare nella Chiesa e una lista di peccatori che non possono stare nella Chiesa? Questo non è Vangelo».

Durante la seguitissima intervista televisiva a Fabio Fazio nella trasmissione Che Tempo Che Fa ha parlato del prezzo della solitudine che deve pagare dopo un passo come questo: come sta vivendo la levata di scudi di chi insorge?

«Chi protesta con veemenza appartiene a piccoli gruppi ideologici. Un caso a parte sono gli africani: per loro l’omosessualità è qualcosa di “brutto” dal punto di vista culturale, non la tollerano. Ma in generale, confido che gradualmente tutti si rasserenino sullo spirito della dichiarazione “Fiducia supplicans” del Dicastero per la Dottrina della Fede: vuole includere, non dividere. Invita ad accogliere e poi affidare le persone, e affidarsi, a Dio».

Soffre per la solitudine?

«La solitudine è variabile come la primavera: in quella stagione puoi trascorrere una giornata bellissima, con il sole, il cielo azzurro e una brezza piacevole; 24 ore dopo magari il clima ti incupisce. Tutti viviamo solitudini. Chi dice “io non so che cos’è la solitudine” è una persona acui manca qualcosa. Quando mi sento solo innanzitutto prego. E quando percepisco tensioni attorno a me, provo con calma a instaurare dialoghi e confronti. Ma vado comunque sempre avanti, giorno dopo giorno».

Teme uno scisma?

«No. Sempre nella Chiesa ci sono stati gruppetti che manifestavano riflessioni di colore scismatico… bisogna lasciarli fare e passare… e guardare avanti».

Siamo all’alba di una nuova era segnata dall’Intelligenza artificiale: quali sono le sue speranze e le sue preoccupazioni?

«Qualsiasi novità scientifica e tecnologica deve avere carattere umano, e permettere agli esseri umani di rimanere pienamente umani. Se si perde il carattere umano si perde l’umanità. Nel Messaggio per la Giornata mondiale delle Comunicazioni sociali ho scritto: “In quest’epoca che rischia di essere ricca di tecnica e povera di umanità, la nostra riflessione non può che partire dal cuore umano”. L’Intelligenza artificiale è un bel passo in avanti che potrà risolvere molti problemi, ma potenzialmente, se gestita senza etica, potrà anche provocare tanto male all’uomo. L’obiettivo da porsi è che l’Intelligenza artificiale sia sempre in armonia con la dignità della persona. Se non ci sarà quest’armonia, sarà un suicidio».

Dio troverà ancora posto in mezzo ai robot?

«Dio c’è sempre. Lui si arrangia. È sempre vicino a noi, pronto ad aiutarci, anche quando non ce ne accorgiamo. Anche quando non lo cerchiamo. Anche quando non lo vogliamo. E se vede che le
derive sono sfrenate, si fa sentire. Nei suoi modi, che superano tutto e tutti».

Come va la sua salute?

«Qualche acciacco c’è, ma adesso va meglio, sto bene».

Le dà fastidio sentire parlare delle sue possibili dimissioni a ogni colpo di tosse?

«No, perché la rinuncia è una possibilità per ogni pontefice. Ma adesso non ci penso. Non mi inquieta. Se e quando non ce la farò più, inizierò eventualmente a ragionarci. E a pregarci su».

Quali potrebbero essere i suoi viaggi del 2024?

«Uno in Belgio. Un altro a Timor Est, Papua Nuova Guinea e Indonesia, ad agosto. Poi c’è l’ipotesi Argentina, che però tengo per adesso “tra parentesi”: l’organizzazione della visita non è ancora cominciata. Per quanto riguarda l’Italia, andrò a Verona a maggio, e a Trieste a luglio».

Il neo presidente argentino Javier Milei l’ha attaccata più volte e con irruenza in questi mesi: si è sentito offeso?

«No. Le parole in campagna elettorale vanno e vengono».

Lo incontrerà?

«Sì. L’11 febbraio verrà alla canonizzazione di “Mama Antula”, fondatrice della Casa per Esercizi spirituali di Buenos Aires. Prima delle canonizzazioni è consuetudine il saluto con le autorità in sacrestia. E poi so che ha chiesto appuntamento per un colloquio con me: ho accettato, e dunque ci vedremo. E sono pronto a iniziare un dialogo – parola e ascolto – con lui. Come con tutti».

Perché ha istituito la Giornata mondiale dei Bambini?

«Perché mancava. Ne percepivo il bisogno. A novembre abbiamo realizzato quell’incontro con migliaia di bimbi e ragazzini giunti da tutto il pianeta nell'”Aula Paolo VI”: è andato molto bene. Il 25 e 26 maggio a Roma ci sarà la prima Giornata ufficiale. Lo scopo è suscitare meditazioni e azioni per rispondere ai quesiti: “Che tipo di mondo desideriamo lasciare ai bambini che stanno crescendo? Con quali prospettive?”. Se li ascoltiamo e li osserviamo, i bambini sono maestri di vita per noi adulti e anziani, perché sono puri, genuini e spontanei. Ogni loro comportamento, anche quello più complicato e apparentemente indecifrabile, è una lezione. Se ci impegniamo per il loro bene, faremo del bene a noi stessi. E all’umanità intera».

Qual è il suo sogno per la Chiesa che verrà?

«Seguire la bella definizione della “Dei Verbum”, la costituzione dogmatica del Concilio Vaticano II: “Dei Verbum religiose audiens et fidenter proclamans”, ascoltare religiosamente la Parola di Dio e proclamarla con ferma fiducia, e con forza. Sogno una Chiesa che sappia essere vicina alla gente nella concretezza e nelle sfumature e nelle asperità della vita quotidiana. Io continuo a pensare ciò che ho detto nelle Congregazioni generali, le riunioni dei cardinali che precedono il Conclave: “La Chiesa è chiamata a uscire da se stessa e a dirigersi verso le periferie, non solo quelle geografiche ma anche quelle esistenziali: quelle del mistero del peccato, del dolore, dell’ingiustizia, quelle dell’ignoranza e dell’assenza di fede, quelle del pensiero, quelle di ogni forma di miseria”».

Che cosa ricorda delle giornate storiche del marzo di undici anni fa?

«Dopo il mio intervento è scattato un applauso, inedito in tale contesto. Ma io assolutamente non avevo intuito ciò che molti mi avrebbero poi rivelato: quel discorso è stata la mia “condanna” (sorride, nda). Quando stavo uscendo dall'”Aula del Sinodo” c’era un cardinale di lingua inglese che mi ha visto e ha esclamato: “Bello quello che hai detto! Bello. Bello. Ci vuole un Papa come te!”. Ma io non mi ero accorto della campagna che stava nascendo per eleggermi. Fino al pranzo del 13 marzo, qui a Casa Santa Marta, alcune ore prima della votazione decisiva. Mentre stavamo mangiando, mi hanno posto due o tre interrogativi “sospetti”… Allora nella mia testa cominciavo a dirmi: “Qui sta accadendo qualcosa di strano…”. Ma sono comunque riuscito a fare una siesta. E quando mi hanno eletto ho avuto una sorprendente sensazione di pace dentro di me». E oggi come si sente? «Mi sento un parroco. Di una parrocchia molto grande, planetaria, certo, ma mi piace mantenere lo spirito da parroco. E stare in mezzo alla gente. Dove trovo sempre Dio».