Si pubblica di seguito l’articolo, a cura di Marina Lomunno, dedicato alla visita dell’arcivescovo Roberto Repole all’Istituto penale minorile maschile “Ferrante Aporti” di Torino, apparso su Avvenire.
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L’abbraccio di Repole ai minori detenuti
L’arcivescovo di Torino tra i ragazzi del Ferrante Aporti: «Specchio di una società nichilista che non offre prospettive»
«Mi può benedire questa mano? Mi sono fatto male, sto passando un brutto periodo».
Omar (nome di fantasia), 17 anni, è uno dei 46 giovani detenuti all’Istituto penale minorile maschile “Ferrante Aporti” di Torino. Per la maggior parte stranieri, alcuni sono figli di immigrati di seconda generazione, altri sono giunti con i barconi sulle coste italiane, soli e facile preda dell’illegalità.
La richiesta, in un italiano stentato, è rivolta all’arcivescovo Roberto Repole che chiede al ragazzo come si chiama e da dove viene. Lo abbraccia e lo incoraggia a non mollare, ad utilizzare bene il tempo della pena con lo studio e le opportunità di formazione offerte dall’Istituto.
Lo benedice tra la commozione dei compagni: una benedizione estesa anche agli operatori che ogni giorno si dedicano con la scuola, i laboratori e lo sport al riscatto di questi giovani
«nati nelle culle sbagliate».
È uno dei tanti momenti toccanti della prima e attesa visita di Repole – che in questi giorni festeggia un anno dal suo ingresso in diocesi – nel carcere minorile.
Accolto ieri dalla direttrice Simona Vernaglione e dal cappellano, il salesiano don Silvano Oni, l’arcivescovo è subito stato accompagnato alla targa che ricorda come tra quelle mura, nel 1855, san Giovanni Bosco ebbe una grande intuizione.
Durante le sue visite alla “Cascina Generala” (luogo dove aveva sede l’allora riformatorio per minorenni) elaborò il “sistema preventivo”, pilastro dell’impianto educativo del santo dei giovani.
Don Bosco intuì che se ci fosse stata una famiglia solida, una comunità accogliente e una scuola con adulti significativi, non ci sarebbero state le carceri. E durante le giornate trascorse al riformatorio con i “giovanetti discoli e pericolanti” escogitò soluzioni per prevenire lo sbando in cui versavano migliaia di adolescenti delle periferie, esattamente come accade oggi.
Per questo è tradizione che i cappellani del “Ferrante” siano salesiani. Lo ha spiegato don Oni, successore del confratello don Domenico Ricca, in pensione dallo scorso anno dopo averne trascorsi oltre 40 di servizio, esteso anche ad alcuni novizi salesiani che ogni settimana
si fanno le ossa in questo oratorio dietro le sbarre».
Prima dell’incontro con i minori nelle aule studio dove abitualmente seguono lezioni di lingua, informatica, corsi professionali di cucina, ceramica e grafica, la direttrice con i suoi collaboratori ha spiegato all’arcivescovo che attualmente l’Istituto è a capienza massima.
Ci sono giovani
«che stanno scontando pene per reati contro il patrimonio aggravati da episodi di violenza. Un dato preoccupante è l’aumento dei reati contro la persona, con episodi di rabbia ingiustificata anche di gruppo, cui segue un distacco empatico da ciò che si è commesso: uno squarcio desolante sul futuro delle nuove generazioni».
I ragazzi detenuti al “Ferrante” non sono che la punta dell’iceberg dei ragazzi «fuori» che come ha evidenziato Repole,
«sono lo specchio di una società nichilista che non offre prospettive e valori ai giovani».
Ringraziando tutto il personale – insegnanti, agenti, psicologi, educatori ed obiettori – per la passione educativa con cui si impegnano per costruire un futuro migliore affinché i ragazzi non tornino a delinquere, il presule ha richiamato l’urgenza di una alleanza educativa di tutte le forze in campo. Tra queste, la comunità cristiana,
«per riempire di senso la vita dei nostri giovani, in modi diversi tutti fragili».
Nell’aula di italiano c’è un ragazzo che mostra all’arcivescovo una foto che ha appeso al muro del Papa.
«Lei lo conosce? Lo saluti, gli voglio bene».
L’insegnante consegna a Repole una lettera che Francesco ha inviato nei giorni scorsi ai ragazzi in risposta ad un loro scritto accompagnato dalle foto del presepe “multiculturale” che hanno allestito a Natale.
Accanto alla grotta con Gesù bambino, il barcone con i migranti soccorsi dalla Croce Rossa, fa parte del presepe multiculturale allestito al Ferrante Aporti di Torino. Il Papa:
«Grazie per aver voluto condividere con me la vostra esperienza, che mi ha commosso. Quello che avete realizzato è un grande segno di speranza… Siate sempre ‘fratelli tutti’ e non perdete mai il sorriso!».
-Marina Lomunno