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Rivoli: presentazione libro “Un sorriso in corsia” su Claudia Sini

Notizia a cura dei salesiani di Rivoli.

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Venerdì 11 ottobre nell’ambito dell’ottobre missionario dell’opera salesiana di Rivoli presso un Cine-Teatro Don Bosco gremito di persone per l’evento, è stato presentato il libro su Claudia SiniUn sorriso in corsia”. La breve magnifica vita di una giovane medico salesiana, laica consacrata nell’Istituto secolare delle Volontarie di Don Bosco.

La serata è stata condotta da Marina Lomunno, Giornalista professionista de “La Voce e il tempo”. Ospiti e della serata, Bruno Ferrero, don Livio de Marie, don Giacomo Crotti, le Volontarie di Don Bosco, gli amici di Claudia, i suoi colleghi medici dell’ospedale di Rivoli e soprattutto la sua famiglia.

Come medico conosceva l’evoluzione della sua malattia, ma comunicò a tutti la sua giovanile e festosa volontà di guarigione. Rassicurava tutti, parlava della sua malattia “come missione”. Scrisse:

«La mia vita ora dipende dagli altri. Già tante volte ho avuto bisogno di trasfusioni di globuli rossi e piastrine. Ogni volta ho ringraziato e pregato in silenzio per quei donatori che, senza far rumore, senza mettersi in mostra, semplicemente erano andati a donare il loro sangue, plasma, piastrine. Quante volte quando lavoravo ho richiesto derivati del sangue per pazienti gravi, traumi, emorragie. Ora tocca a me ricevere».

Aveva un segreto, custodito gelosamente come qualcosa di prezioso. Claudia si era consacrata a Dio con la professione dei Consigli evangelici nell’Istituto Secolare Salesiano delle Volontarie Don Bosco.

L’incontro con Claudia parte dall’espressione più frequente con cui scrive di sé: “Sono felice!”. Pur attraversando un calvario di dolori, cure e speranze, non perse mai il suo slancio di generosità e il suo entusiasmo per la vita.

Don Bosco 200 anni dal sogno – La Voce e il Tempo

Si riporta di seguito l’articolo a cura di Marina Lomunno apparso su La Voce e il Tempo.

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L’ultima strenna da Rettor Maggiore e la prima da cardinale, don Ángel Fernández Artime l’ha diffusa per la prima volta in diretta mondiale plurilingue sui social dalla Casa generalizia salesiana di Roma mercoledì 27 dicembre.

La famiglia salesiana presente nei 5 continenti in 134 nazioni si è collegata per il tradizionale «dono» che don Bosco consegnava ogni anno ai suoi ragazzi per caratterizzare l’anno a venire.

Così hanno fatto i suoi successori fino al card. Artime che, citando l’incontro al santuario della Consolata promosso dal nostro giornale il 4 dicembre scorso, ha ribadito l’impegno dei salesiani

«di andare a cercare i giovani di oggi alla ricerca di senso e risposte».

Il tema della strenna per il 2024 richiama i 200 anni del sogno che don Bosco fece nel 1824 a 9 anni: «Il sogno che fa sognare. Un cuore che trasforma i ‘lupi’ in ‘agnelli’» il titolo della strenna che, in un momento dove il mondo è assediato da 59 conflitti tra cui quello in Ucraina e in Terra Santa è drammaticamente attuale.

A partire dalla strenna nella Basilica di Maria Ausiliatrice a Torino è stata allestita una mostra in 12 pannelli dove in ognuno di essi è riportata una frase del sogno così come lo racconta lo stesso don Bosco per consentire una lettura nei suoi passaggi fondamentali.

Ogni frase poi ha un breve commento, o rilettura attualizzata del Rettor Maggiore tratta della stessa strenna 2024. La mostra si potrà visitare fino al 31 gennaio, festa liturgica del Santo dei giovani.

Inoltre in preparazione alla festa di don Bosco sono in programma sempre in Basilica «tre lunedì» di riflessione e di approfondimento sul sogno di don Bosco.

Apre il ciclo (sempre alle 20.30) l’8 gennaio il Rettor Maggiore con una lettura salesiana del sogno per il nostro tempo. Segue lunedì 15 don Andrea Bozzolo, Rettore dell’Università Pontificia Salesiana di Roma, che leggerà il sogno in chiave teologica mentre lunedì 22 don Francesco Motto, direttore emerito dell’Istituto Storico Salesiano di Roma, ne proporrà una riflessione critico-storica.

«Le tre serate» spiega don Michele Viviano, rettore della Basilica di Maria Ausiliatrice «saranno precedute da un video, diverso per ogni sera, sempre sul sogno».

L’intento come sottolinea il Rettor Maggiore è che questo sogno continui a far sognare ogni salesiano e ogni membro della nostra famiglia trasformandosi in realtà.

Solo scoprendo e realizzando il sogno che Dio ha per ciascuno di noi, la nostra vita diventa più felice e di qualità per ciascuno di noi e dei nostri giovani.

«Un solo è il mio desiderio – scriveva don Bosco – quello di vedervi felici nel tempo e nell’eternità’».

Artime cardinale dei giovani – La Voce e il Tempo

Pubblichiamo di seguito l’intervista al Rettor Maggiore, don Angel Fernàndez Artime, a cura di Marina Lomunno per La Voce e il Tempo.

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C’è la storia delle sue origini e della sua vocazione nello stemma scelto dal Rettor Maggiore dei salesiani, don Angel Fernàndez Artime, tra i 21 sacerdoti e Vescovi creati cardinali da Papa Francesco nel Concistoro celebrato sabato 30 settembre in piazza San Pietro.

Al centro, Gesù Buon Pastore a cui affidare i Figli di don Bosco e i giovani più fragili; in alto a sinistra, sormontato da una corona, il monogramma «MA», Maria Ausiliatrice, la Madre a cui don Bosco affidò la Congregazione e che raccomandò sempre di pregare. A destra un’àncora ricorda che Angel Fernàndez Artime è nato nel 1960 in una famiglia di pescatori nelle Asturie, in Spagna e che l’àncora è presente anche nello stemma della Congregazione che don Bosco scelse come simbolo della virtù teologale della speranza.

Il motto episcopale del neo cardinale, a cui il Papa ha affidato la diaconia di Santa Maria Ausiliatrice in via Tuscolana a Roma, è «Sufficit tibi gratia mea» (2Cor 12,9) «Ti basti la mia grazia», un programma che mette al centro «la fiducia nella Divina Provvidenza».

Abbiamo incontrato il Rettor Maggiore, alla vigilia della sua partenza per Roma, domenica 23 settembre in occasione della celebrazione che ha presieduto nella Basilica di Maria Ausiliatrice, dove ha consegnato il Crocifisso a 13 figlie di Maria Ausiliatrice e 24 salesiani in partenza per le missioni.

Sabato 30 la Basilica era gremita per seguire in diretta su un grande schermo il Concistoro e domenica 15 ottobre alle 9.30 don Angel presiederà la prima Messa da cardinale a Maria Ausiliatrice alla presenza delle autorità e della famiglia salesiana.

Al termine inaugurerà la statua di sant’Artemide Zatti, primo tra i coadiutori salesiani, canonizzato da Papa Francesco il 9 ottobre 2022.

Il card. Artime sarà poi ospite dei «Lunedì della Consolata» promossi dal nostro settimanale il 4 dicembre prossimo alle 21.00 e parlerà su «Giovani d’oggi, la grande sfida educativa».

Don Angel, cosa significa per lei, 10° successore di don Bosco, e per la famiglia salesiana diventare cardinale?

Per me e per tutti noi salesiani è stata una notizia assolutamente inattesa ma che ci conferma l’attenzione del Papa nei confronti della nostra famiglia religiosa. Se ha ritenuto opportuno di contare su di me per un servizio alla Chiesa come salesiano, con grande umiltà e serenità offro la mia disponibilità. Don Bosco ci ha raccomandato di rispondere sempre con entusiasmo a ciò che il Papa ci chiede perché lui amava profondamente la Chiesa e il suo Pastore ed è un fondamento del nostro carisma. Sicuramente altri vedono onori in queste nomine: con grande onestà e sincerità io vivo questo momento solo nella prospettiva del servizio. Finora ho servito come prete religioso, sto servendo come Rettor Maggiore dei salesiani e con questo spirito affronto il prossimo servizio alla Chiesa che mi verrà chiesto dal Santo Padre. Certamente non posso non riconoscere la sua grande fiducia che mi fa vivere questo momento con ancora più grande responsabilità.

Come è nata la sua vocazione?

In modo molto semplice: la mia vocazione è l’esempio di come Dio ci chiama laddove ci troviamo. Sono diventato salesiano grazie a due grandi «mediazioni». Ero un ragazzo nato a Luanco, un paesino di mare della Spagna, in una famiglia di umili pescatori. I miei genitori hanno speso tutta la vita lavorando duramente in mare, erano un padre e una madre religiosi con una fede semplice ma molto profonda. Non conoscevo i salesiani e non avrei avuto possibilità di conoscerli se non ci fosse stata la prima «mediazione» di una benefattrice. Maria, una donna di 75 anni che veniva in vacanza nel mio paesino quando ancora il turismo nelle Asturie non esisteva, venne nella porta di casa mentre papà preparava le reti per andare a pescare. Inizia a parlare con i miei genitori. Tornata un anno dopo chiede ai miei: «Cosa farà questo ragazzino?». Allora avevo 11 anni e papà risponde: «Andrà alla scuola elementare e poi verrà in mare con me».  La signora Maria, dice a mio padre: «Io conosco alcuni religiosi che lavorano con i ragazzi: vostro figlio è sveglio e sarebbe bello se potesse studiare». Mamma e papà le fanno capire che non hanno le possibilità economiche ma lei li rassicura: «Non vi preoccupate». E così un anno dopo iniziai a frequentare una scuola salesiana a 200 chilometri dal mio paesino.

E poi come è diventato salesiano?

I miei genitori ad un certo punto mi hanno chiesto: «Cosa vuoi fare?». E io: «Quello che voi volete». E così ho proseguito i miei studi nelle scuole salesiane fino alle porte dell’università preparandomi per entrare nella Facoltà di Medicina e Chimica: avevo conseguito una buona borsa di studio e tutto era pronto. Per sei anni, durante le vacanze estive, per quattro mesi andavo in mare con mio padre: aveva tanto bisogno di me, perché d’estate si faceva l’80% del lavoro di un anno. Ed ecco che, alla fine dell’estate, prima di iscrivermi all’università arriva la seconda «mediazione». Sentivo nel mio cuore una domanda: perché mi sono trovato così bene in questi anni in cui ho studiato dai salesiani? E dico ai miei genitori: «Devo chiarire cosa ho nel cuore, voi cosa mi dite? Vorrei fare un’esperienza religiosa». Se mio papà mi avesse detto «figliolo ho bisogno di te, andiamo in mare e nel mentre studi medicina» io oggi sarei un medico. Ma papà e mamma mi dicono: «Figliolo, è la tua vita se questo ti farà felice, vai». E sono riconoscente ai miei genitori, un modello per tante mamme e papà che oggi hanno un loro progetto di vita per i figli ma non capiscono che sono i figli che devono scoprire la loro strada e la loro e felicità. La mia vocazione dunque è nata naturalmente in famiglia con una grande sensibilità religiosa dove fin da ragazzo ho imparato a scoprire e sentire Dio. E fin dalla mia la prima esperienza con i salesiani mi sono sempre sentito felice in mezzo ai giovani. E così fino ad oggi, 45 anni dopo la mia prima professione religiosa, sono qui e sono felice.

14 mila figli di don Bosco, tra cui 130 Vescovi, spendono la vita in 135 nazioni del mondo per stare accanto ai giovani che hanno avuto di meno. Sicuramente lei, da cardinale salesiano, continuerà ad avere una attenzione speciale per loro…

La nostra missione è stare nel mondo per accompagnare i giovani, i ragazzi e le loro famiglie, perché oggi senza le famiglie possiamo fare poco. E cerchiamo di stare accanto soprattutto ai giovani, i più poveri. Non so cosa mi chiederà il Papa nel mio servizio come cardinale, ma cercherò di farlo al meglio delle mie possibilità: certamente io sono salesiano e la mia scelta religiosa che feci da ragazzo la porto nel mio bagaglio personale. Sono figlio di don Bosco, amo i giovani, soprattutto chi fa più fatica, mi sento a mio agio tra i poveri e le famiglie. Ho sempre voluto vivere nelle missioni o in mezzo ai più bisognosi e tutto questo lo porto e lo porterò sempre nel mio cuore qualsiasi sia il servizio che mi attende.

Cosa cercano i giovani e quali sono le risposte dei salesiani? Come parlare di Gesù oggi alle nuove generazioni?

È difficile rispondere, perché i giovani nel mondo vivono realtà molto diverse. Pensando ai nostri giovani, qui in Europa, dobbiamo riconoscere che è un tempo molto complicato. Essere giovane oggi non è più facile che 25 anni fa. Hanno più mezzi che possono aiutare e anche rovinare, nella vita di tanti ragazzi e ragazze c’è tanta mancanza di paternità e maternità. Abbiamo una generazione tra le più istruite nella storia delle nostre nazioni, ma al termine degli studi non hanno le possibilità di trovare un lavoro che permetta loro di progettare il futuro: immagino quanti genitori soffrono per questo. In Italia e in Spagna, per esempio, l’età media dei giovani che riescono a diventare autonomi è oltre i 30 anni, una situazione insostenibile che non dà speranza. Anche per questi motivi non è semplice parlare di Dio ai giovani che vivono questa realtà. L’unico modo per confortarli è camminare insieme a loro: spesso pensiamo che siano i giovani che devono venire in Chiesa. Ma da salesiano ho imparato che, come faceva don Bosco, siamo noi che dobbiamo andare a cercarli ovunque si trovino. Questa è grande sfida per la nostra Chiesa: un cammino di vicinanza, di prossimità, incrociare le loro strade. È il modo migliore per poter parlare loro di Gesù.

Don Artime Cardinale: il Papa sul futuro della Congregazione – La Voce e il Tempo

Articolo a cura di Marina Lomunno apparso su La Voce e il Tempo.

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Don Angel Fernàndez Artime, Rettor Maggiore dei salesiani, tra i 21 scelti da Papa Francesco per essere creati cardinali nel prossimo Concistoro nel 30 settembre, ha inviato una letteraa tutti i confratelli salesiani e ai Gruppi della Famiglia Salesiana” sparsi in 133 nazioni dei 5 continenti per spiegare “chi guiderà la Congregazione salesiana”.

Il testo, datato 12 luglio e diffuso in italiano, inglese, spagnolo, spagnolo dell’America Latina, francese e portoghese all’indomani dell’incontro con Papa Francesco avvenuto nel pomeriggio di martedì 11 in Vaticano, comunica le “disposizioni” per il futuro della Congregazione che

“il Santo Padre mi ha comunicato durante un dialogo fraterno”

scrive don Artime.

“Come sempre il Papa si è mostrato attento, cordiale, profondo estimatore del carisma di don Bosco e particolarmente affettuoso. Sentimenti che, a nome mio personale e di tutta la Famiglia salesiana, ho ricambiato”. Il Papa ha stabilito che “potremo anticipare il 29° Capitolo generale di un anno, cioè nel febbraio 2025”

prosegue il Rettor Maggiore la cui scadenza come superiore dei Salesiani era prevista per il 2026.

“Il Papa ha ritenuto che, per il bene della nostra Congregazione, dopo il Concistoro del 30 settembre 2023 io possa continuare il mio servizio come Rettore Maggiore fino al 31 luglio 2024, cioè fino alla conclusione della sessione plenaria estiva del Consiglio Generale. Dopo tale data presenterò le mie dimissioni da Rettor Maggiore per assumere dalle mani del Santo Padre il servizio che mi affiderà: Papa Francesco non me l’ha ancora detto ma con questo ampio margine di tempo ritengo che sia la cosa più opportuna”

aggiunge don Artime. Dopo le sue dimissioni, secondo le Costituzioni della Congregazione nel caso della “cessazione dall’ufficio del Rettor Maggiore”, sarà il vicario don Stefano Martoglio ad assumere il governo della Congregazione ad interim fino alla celebrazione del nuovo Capitolo.

“Per tutto questo tempo continueremo a seguire il programma del sessennio stabilito per l’animazione e nel governo della Congregazione. Al fine di completare tutte le visite straordinarie programmate (comprese quelle relative all’anno 2025), il Rettor Maggiore, udito il parere dei membri del Consiglio generale, procederà alla nomina di un ulteriore visitatore straordinario. In questo modo sarà possibile arrivare al Capitolo con un quadro completo e aggiornato della situazione dell’intera Congregazione”

precisa don Artime. Che ricorda, all’inizio della lettera scritta a Torino, dalla Basilica di Maria Ausiliatrice, Casa Madre dei Salesiani, come dopo

“la notizia inaspettata (soprattutto per me)” migliaia di persone si saranno domandate: “e ora cosa accadrà? Chi guiderà la Congregazione nel prossimo futuro? Quali passi l’attendono? Potete ben capire che sono gli stessi interrogativi che anch’io mi sono posto, mentre ringraziavo con fede il Signore per questo dono che Papa Francesco ci ha fatto come Congregazione salesiana e come Famiglia di don Bosco”.

Infine don Artime chiede a tutti i figli di don Bosco e alla Famiglia Salesiana di continuare a intensificare la preghiera,

“soprattutto per Papa Francesco: lui stesso l’ha espressamente richiesta al termine dell’udienza privata a me concessa. E vi chiedo anche di pregare per quello che vivremo in questo anno come Congregazione e come Famiglia Salesiana. Chiedo, infine, anche di pregare per me, posto di fronte alla prospettiva di un nuovo servizio nella Chiesa che, come figlio di don Bosco, accetto in filiale obbedienza, senza averlo né cercato né voluto. Il nostro amato padre don Bosco mi è testimone davanti al Signore Gesù”.

E conclude:

“Sento come rivolte a me le stesse espressioni che la Madonna disse a don Bosco nel sogno dei nove anni – di cui l’anno prossimo si celebrerà il secondo centenario: ‘A suo tempo tutto comprenderai’. E sappiamo che per il nostro padre ciò è effettivamente avvenuto quasi al termine della vita, davanti all’altare di Maria Ausiliatrice nella Basilica del Sacro Cuore di Gesù, che era stata consacrata il giorno prima, il 16 maggio 1887. Mettiamo tutto nelle mani del Signore e di sua Madre”.

L’abbraccio di Repole ai minori detenuti – Avvenire

Si pubblica di seguito l’articolo, a cura di Marina Lomunno, dedicato alla visita dell’arcivescovo Roberto Repole all’Istituto penale minorile maschile “Ferrante Aporti” di Torino, apparso su Avvenire.

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L’abbraccio di Repole ai minori detenuti

L’arcivescovo di Torino tra i ragazzi del Ferrante Aporti: «Specchio di una società nichilista che non offre prospettive» 

 

«Mi può benedire questa mano? Mi sono fatto male, sto passando un brutto periodo».

Omar (nome di  fantasia), 17 anni, è uno dei 46 giovani detenuti all’Istituto penale minorile maschile “Ferrante Aporti” di Torino. Per la maggior parte stranieri, alcuni sono figli di immigrati di seconda generazione, altri sono giunti con i barconi sulle coste italiane, soli e facile preda dell’illegalità.

La richiesta, in un italiano stentato, è rivolta all’arcivescovo Roberto Repole che chiede al ragazzo come si chiama e da dove viene. Lo abbraccia e lo incoraggia a non mollare, ad utilizzare bene il tempo della pena con lo studio e le opportunità di formazione offerte dall’Istituto.

Lo benedice tra la commozione dei compagni: una benedizione estesa anche agli operatori che ogni giorno si dedicano con la scuola, i laboratori e lo sport al riscatto di questi giovani

«nati nelle culle sbagliate».

È  uno dei tanti momenti toccanti della prima e attesa visita di Repole – che in questi giorni festeggia un anno dal suo ingresso in diocesi – nel carcere minorile.

Accolto ieri dalla direttrice Simona Vernaglione e dal cappellano, il salesiano don Silvano Oni, l’arcivescovo è subito stato accompagnato alla targa che ricorda come tra quelle mura, nel 1855, san Giovanni Bosco ebbe una grande intuizione.

Durante le sue visite alla “Cascina Generala” (luogo dove aveva sede l’allora riformatorio per minorenni) elaborò il “sistema preventivo”, pilastro dell’impianto educativo del santo dei giovani.

Don Bosco intuì che se ci fosse stata una  famiglia solida, una comunità accogliente e una scuola con adulti significativi, non ci sarebbero state le carceri. E durante le giornate trascorse al riformatorio con i “giovanetti discoli e pericolanti” escogitò soluzioni per prevenire lo sbando in cui versavano migliaia di adolescenti delle periferie, esattamente come accade oggi.

Per questo è tradizione che i cappellani del “Ferrante” siano salesiani. Lo ha spiegato don Oni, successore del confratello don Domenico Ricca, in pensione dallo scorso anno dopo averne trascorsi oltre 40 di servizio, esteso anche ad alcuni novizi salesiani che ogni settimana

si fanno le ossa in  questo oratorio dietro le sbarre».

Prima dell’incontro con i minori nelle aule studio dove abitualmente seguono lezioni di lingua, informatica, corsi professionali di cucina, ceramica e grafica, la direttrice con i suoi collaboratori ha spiegato all’arcivescovo che attualmente l’Istituto è a capienza massima.

Ci sono giovani

«che stanno scontando pene per reati contro il patrimonio aggravati da episodi di violenza. Un dato preoccupante è l’aumento dei reati contro la persona, con episodi di rabbia ingiustificata anche di gruppo, cui segue un  distacco empatico da ciò che si è commesso: uno squarcio desolante sul futuro delle nuove generazioni».

I ragazzi detenuti al “Ferrante” non sono che la punta dell’iceberg dei ragazzi «fuori» che come ha evidenziato Repole,

«sono lo specchio di una società nichilista che non offre prospettive e valori ai giovani».

Ringraziando tutto il personale – insegnanti, agenti, psicologi, educatori ed obiettori – per la passione educativa con cui si impegnano per costruire un futuro migliore affinché i ragazzi non tornino a delinquere, il presule ha richiamato l’urgenza di una alleanza educativa di tutte le forze in campo. Tra queste, la comunità cristiana,

«per riempire di senso la vita dei nostri giovani, in modi diversi tutti fragili».

Nell’aula di italiano c’è un ragazzo che mostra all’arcivescovo una foto che ha appeso al muro del Papa.

«Lei lo conosce? Lo saluti, gli voglio bene».

L’insegnante consegna a Repole una lettera che Francesco ha inviato nei giorni scorsi ai ragazzi in risposta ad un loro scritto accompagnato dalle foto del presepe “multiculturale” che hanno allestito a Natale.

Accanto alla grotta con Gesù bambino, il barcone con i migranti soccorsi dalla Croce Rossa, fa parte del presepe multiculturale allestito al Ferrante Aporti di Torino. Il Papa:

«Grazie per aver  voluto condividere con me la vostra esperienza, che mi ha commosso. Quello che avete realizzato è un grande segno di speranza… Siate sempre ‘fratelli tutti’ e non perdete mai il sorriso!».  

-Marina Lomunno

Il Bollettino Salesiano: intervista a Monsignor Roberto Repole

Pubblichiamo l’intervista a Monsignor Roberto Repole, apparsa sul numero di dicembre de Il Bollettino Salesiano, a cura di Marina Lomunno.

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È giovane e preparato Il nuovo Arcivescovo di Torino

Monsignor Roberto Repole, conosciuto e stimato come teologo, nella sua formazione scolastica giovanile è stato anche allievo dei salesiani: ha frequentato il ginnasio a Valdocco e ha conseguito la maturità classica presso il Liceo Valsalice di Torino.

Già dal primo incontro Lei si è soffermato sulla necessità dell’attenzione ai più giovani e all’emergenza educativa. Come fare per far ritornare i giovani alla Chiesa?

 

C’è un’attenzione particolare al mondo giovanile che si disegna su due orizzonti, il primo è quello sociale e antropologico. Viviamo in una società anziana con una forte denatalità e questo fa sì che i giovani rischino di non essere visti e di non essere apprezzati per la carica e la novità che essi hanno: tutti i progetti sociali e i discorsi politici spesso sono tarati su altre generazioni. Secondo me occor- re invece ritornare ad avere un’attenzione alle nuove generazioni in una società occidentale che è tendenzialmente vecchia e che pensa da vecchia. Poi però – e questo evidentemente si interseca con il secondo orizzonte – da pastore ho la preoccupazione o, meglio, una forte attenzione dal punto di vista della Chiesa. La Chiesa esiste per vivere e annunciare il Vangelo ed è chiaro che i primi destinatari di questo Vangelo sono le nuove generazioni con le quali la trasmissione «normale» e assodata del Vangelo e della vita cristiana si sta velocemente interrompendo. Mi sembra allora che ci sia necessità di una Chiesa che ritorni a mettere al centro, appunto, l’annuncio evangelico e quindi, di conseguenza, i giovani come primi protagonisti. Ho l’impressione che i giovani abbiano sete di senso e di spiritualità ma anche che la Chiesa venga percepita tutto fuorché una risorsa spirituale. Su questo credo che ci sia bisogno di interrogarci e che la necessità di parlare di giovani debba andare proprio in questa direzione. Ed è anche l’occasione per chiederci:

«che ci stiamo a fare come Chiesa, perché esistiamo»?

Perché gli oratori e il catechismo sono un po’ in crisi?

Metterei due accenti. Il primo: possiamo ridiventare significativi e anche attraenti nella misura in cui diventa chiaro e viene testimoniato che c’è una bellezza, una gioia nel vivere la vita evangelica, nel seguire il Signore, nel consegnarsi a lui, nell’appartenergli. Quindi credo che la grande questione oggi sia veramente la fede dei cosiddetti credenti… Forse siamo troppo poco significativi perché ormai il cristianesimo è diventato tutto meno che l’appartenenza in forza della fede. Il secondo punto, e richiamo la canzone di Celentano,

«neanche un prete per chiacchierar»

ci siamo abituati o abbiamo pensato troppo e un po’ superficialmente che gli unici a dover annunciare il Vangelo, gli autorizzati a farlo anche in maniera competente e con l’ascolto che questo richiede, siano i preti. Ma non è così: questo richiede persone anche laiche che abbiano la passione per l’annuncio evangelico ma abbiano anche la competenza dell’annuncio evangelico. E qui dobbiamo farci un esame di coscienza e camminare: al di là delle etichette, il problema è che il cristianesimo spesso è sconosciuto agli stessi cristiani: come vogliamo testimoniarlo e annunciarlo ai più giovani? E soprattutto c’è urgenza di una passione che faccia sì che li si vada ad incontrare e a cercare: è un atteggiamento che nasce da persone che veramente si sentono responsabili del Vangelo e che non può valere soltanto per i preti perché, in un momento in cui siamo di meno, è chiaro che questo non verrà più fatto.

Come parlare di Gesù ai giovani di oggi, ai giovani torinesi di oggi? Lei come parlerà di Gesù ai giovani che incontrerà da Arcivescovo?

Non penso che esista una risposta-ricetta ma che ci possano essere alcune attenzioni decisive. La prima: la coltivazione di una conoscenza della fede che la renda anche plausibile rispetto alle grandi sfide della secolarizzazione. Non possiamo pensare di parlare di Gesù ai giovani se le domande che probabilmente loro si pongono non sono anche le nostre e, soprattutto, se noi non ci siamo dati delle risposte. Ma per far questo bisogna essere molto seri nel cammino della fede e della conoscenza della fede. Io sono un teologo e penso, purtroppo, che nella Chiesa molto spesso si ritenga che la teologia sia un optional: se la pensiamo così quella che noi chiamiamo «la pastorale» che cos’è? In passato ai miei studenti dicevo che la pastorale

«sembra lo starnazzare delle galline che fanno tanta aria però non si sollevano di mezzo metro»

Che cosa vogliamo annunciare, quando noi stessi non siamo all’altezza delle domande che ci vengono poste, perché non le abbiamo interiorizzate e non proviamo costantemente a dare risposte con tutta la passione e l’intelligenza che questo richiede? I giovani ci chiedono che cosa è la preghiera, come interviene Dio nella mia vita, ci dicono

«io prego ma tanto non vengo ascoltato»

sono questioni serissime e noi che cosa rispondiamo? Se noi adulti rispondiamo con stereotipi e non siamo all’altezza di quelle domande che cosa vogliamo annunciare in questo nostro mondo?

Le omelie, talvolta, non sono un po’ difficili?

Secondo me i giovani (e non soltanto loro) si accorgono se ciò che gli comunichi è ciò per cui tu veramente vivi. Lo vedo esistenzialmente nell’omelia, uno dei momenti di comunicazione della fede… Alla fine passa quello che veramente dici perché è passato nella tua vita, perché è passato nel tuo cuore e credo che questo sia uno dei deficit nell’annuncio oggi: a volte continuiamo a dire cose che non corri- spondono davvero alla vita, chi le annuncia non le vive e i giovani se ne accorgono…

Lei è stato allievo a Valdocco e poi a Valsalice. Che cosa le è rimasto del carisma salesiano nella sua vita di sacerdote, di insegnante, di teologo ed ora di Arcivescovo di una delle città che oggi ha molte analogie con la Torino dei santi sociali (povertà, disoccupazione, emigrazione, giovani «pericolanti»)?

Mi è rimasta l’attenzione alle persone più giovani – anche perché ho passato molti anni ad insegnare – e come eredità «salesiana» ho in mente alcuni insegnanti, anche anziani, che avevano ancora il gusto di intrattenersi, di spendere del tempo con noi allievi. E mi è rimasta viva questa testimonianza che poi ho cercato a mia volta di trasfondere con i miei studenti nella mia esperienza di insegnante. Inoltre – anche se è stato faticoso – mi è rimasto anche il rigore del lavoro nello studio: la serietà e la profondità del lavoro sono cose importanti anche per il lavoro intellettuale.

-Marina Lomunno

San Francesco di Sales, esempio per i giovani: recensione del libro Elledici: “Verso l’alto”

Il settimanale diocesano di Torino La Voce E il Tempo in uscita (domenica 31 luglio 2022), dedica un’articolo al libro Elledici di don Gianni Ghiglione “Verso l’alto“. Di seguito la recensione a cura di Marina Lomunno.

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«A tutti i giovani che sognano di diventare un capolavoro. A tutti coloro che aiutano i giovani a camminare verso il Signore».

È la dedica che l’autore, salesiano, studioso di san Francesco di Sales – il Vescovo di Ginevra dottore della Chiesa di cui quest’anno ricorre IV centenario dalla morte – ha scelto per il suo ultimo libro sul santo, «Verso l’alto. Cammino di vita cristiana in compagnia di san Francesco di Sales» (Elledici).

Francesco di Sales del resto è il patrono a cui don Bosco ha voluto consacrare la sua congregazione e don Ghiglione si è sempre occupato di pastorale giovanile e universitaria. Già la copertina – un giovane escursionista che cammina su una vetta innevata verso una croce – invita in questa torrida estate a mettere il libro nello zaino. Sì perché don Gianni apre il suo testo colloquiando con san Francesco chiedendogli di dargli una mano ad essere fedele al suo carisma per «far nascere nei più giovani il desiderio di una vita cristiana orientata verso l’altro».

San Francesco in questo dialogo immaginario risponde all’autore: «Perché hai scritto queste pagine?» dal momento che don Gianni con numerosi studi ha già scandagliato la vita e le opere del santo di Ginevra… «Per proporre ai più giovani la ‘Filotea’ o ‘Introduzione alla Vita Devota’, l’opera più famosa di san Francesco».

Don Gianni è convinto che il carisma di san Francesco di Sales possa guidare anche i ragazzi e le ragazze che oggi vogliono puntare in alto, per «vivere e non vivacchiare», come diceva un altro giova- ne torinese, tal beato Pier Giorgio Frassati… E il testo di don Gianni è proprio concepito come una guida «spirituale», una lettura che può accompagnare l’estate mentre si è in viaggio unendo i passi lungo la strada con quelli dell’anima ispirati alle parole del santo. Sfogliamo l’indice: primo capitolo «La mappa e il sentiero» che prevede una sosta: «il desiderio». Segue «L’attrezzatura nello zaino»: preghiera, Parola di Dio, Eucaristia e riconciliazione. Il terzo capitolo si intitola «Il cammino continua», non ti fermare.

San Francesco, tramite don Gianni, ci suggerisce come proseguire l’itinerario spirituale: con quali atteggiamenti si deve salire verso l’alto? Ecco gli ingredienti: «Pazienza, dolcezza, mitezza e bontà, umiltà. E ancora amicizia e prudenza nel parlare».

Nell’ultimo capitolo troviamo le «coordinate» per «Raggiungere la vetta»: «l’abbandono alla volontà di Dio». «Il titolo ‘Verso l’alto’ e la fotografia della copertina dicono che il testo usa la metafora di un’escursione in montagna», spiega don Ghiglione. «Come la Filotea, anche il mio libro si può considerare un manuale verso una vita cristiana santa in compagnia e sotto la guida di Francesco di Sales, un Santo! In ogni escursione ci sono delle tappe, così anche il libro offre al lettore delle tappe. La prima è la più importante, quella che dà il via a tutto il resto e consiste nel passare da un iniziale desiderio di incontrare Dio alla ferma decisione di raggiungerlo e di rimanervi fedele. La vita santa verso la quale Francesco guida è aperta a tutti e tutti ce la possono fare e questo è incoraggiante: tutti, ciascuno con il proprio passo, senza lasciare la propria vita quotidiana, possono arrivare in cima. È una bella notizia!». Infatti san Francesco di Sales è sta- to un grande comunicatore di buone notizie, del Vangelo: noti sono i manifesti che faceva affiggere ai muri di Ginevra e i foglietti che infilava sotto le porte delle case. Per questo è anche patrono dei giornalisti.

Marina LOMUNNO

Il Cuore di san Francesco di Sales a Moncalieri

Giovedì 16 giugno e venerdì Venerdì 17 il Monastero della Visitazione di Moncalieri ha ospitato la reliquia del cuore di san Francesco di Sales custodita normalmente nel monastero di Treviso, che l’ha ceduta per celebrare il quarto centenario della morte del santo.

In arrivo dal monastero di Pinerolo, la reliquia ha sostato due giorni a Moncalieri dove è stata accolta e venerata da molti cristiani, religiosi e religiose nella serata di giovedì in una celebrazione appositamente organizzata per loro.

Venerdì 17 alle 20.30 la solenne celebrazione eucaristica presieduta dal Rettor Maggiore don Angel Artime e concelebrata da 10 sacerdoti (la gran parte salesiani) tra cui don Ivo Coelho. Un nutrito coro ha animato la preghiera liturgica e la chiesa del Monastero gremita di fedeli, soprattutto appartenenti alla Famiglia Salesiana.

Nell’omelia il Rettor Maggiore ha posto la domanda che fa da sfondo ad una vita cristiana “A che punto è la mia fede?”, per poi rileggerla nei gesti di amore che la esprimono: amore a Dio e al prossimo, esattamente come san Francesco di Sales educava le sue “Visitandine” dicendo loro:

“Nell’amore di Dio e nella carità verso il prossimo questo piccola congregazione non deve essere seconda a nessuno”.

La comunità delle Monache ha partecipato in tutto e per tutto nel modo che la clausura ha loro consentito ma con grande vicinanza di affetto al popolo di Dio convenuto. La preghiera ha lasciato poi il posto alle foto di rito e ai saluti personali alle suore Visitandine che hanno offerto un rinfresco per tutti i partecipanti.

Di seguito riportiamo un articolo a cura di Marina Lomunno, pubblicato su Avvenire in occasione dell’evento:

Visitandine e salesiani insieme per san Francesco di Sales

Due famiglie religiose che continuano a diffondere nel mondo il carisma di un grande uomo di fede, san Francesco di Sales, vescovo di Ginevra e dottore della Chiesa, si sono ritrovate a celebrare l’attualità della sua spiritualità. I salesiani, a cui don Bosco scelse di porre sotto la protezione di san Francesco di Sales i suoi figli e l’Ordine della Visitazione (le suore Visitandine) fondato dal vescovo di Ginevra con santa Giovanna de Chantal. L’occasione dell’incontro – con un Messa presieduta dal rettor maggiore dei salesiani, don Ángel Fernández Artime, nella serata di venerdì 17 giugno nel monastero di clausura della Visitazione di Moncalieri sulla collina torinese – le celebrazioni del quarto centenario della morte di san Francesco avvenuta a Lione nel 1623. La Federazione della Visitazione Italia Nord ha promosso una “peregrinatio” della reliquia del cuore incorrotto del fondatore nei propri monasteri: la preziosa teca, custodita presso il monastero della Visitazione di Treviso, ha fatto tappa nel convento torinese, giunta dal monastero di Pinerolo, giovedì 16 giugno per poi proseguire sabato 18 verso il convento di Genova Quinto e far ritorno ieri nel Veneto. Molto intense e al di là delle aspettative – come spiega suor Mariagrazia Franceschini, studiosa della spiritualità del fondatore – sono state le giornate dell’accoglienza piemontese della reliquia: oltre al ritiro con i religiosi della diocesi, guidato da don Michele Molinar (vicario dei salesiani del Piemonte) e la Messa con l’arcivescovo emerito di Torino, Cesare Nosiglia, che ha sottolineato come il suo episcopato si sia ispirato alla predilezione del vescovo di Ginevra per i più poveri. Nella chiesa del monastero si sono avvicendati ininterrottamente famiglie, laici, parrocchiani di Moncalieri, religiosi e religiose, sacerdoti che hanno affidato al cuore grande di san Francesco le proprie pene, ma anche la preghiera di supplica perché, come ha sottolineato il rettor maggiore,

«tacciano le armi nelle 25 guerre in corso nel mondo, non solo in Ucraina».

San Francesco di Sales, gigante della carità, grande comunicatore del Vangelo – per questo è anche patrono dei giornalisti e dei sordomuti –

«ci invita ogni giorno a domandarci nel nostro cuore “a che punto è la nostra fede?” – ha detto il rettore nell’omelia–. Ci dice non basta andare a Messa o pregare: è l’amore che tocca i cuori della gente, l’amore è curativo. Un gesto di noi cristiani può cambiare il cuore disperato dei nostri fratelli. Questo è il senso della venerazione del cuore fiammante d’amore di san Francesco. Se il nostro cuore è in pace Dio è in noi e diffonde pace».

Maria Ausiliatrice con il rettor maggiore dei salesiani don Artime e l’emerito Nosiglia – Avvenire

Di seguito l’articolo dedicato alla Festa di Maria Ausiliatrice a cura di Marina Lomunno per Avvenire.

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E a Torino la festa «torna per strada»

Maria Ausiliatrice con il rettor maggiore dei salesiani don Artime e l’emerito Nosiglia

La solennità di Maria Ausiliatrice che si è conclusa ieri con la processione per le strade percorse da don Bosco affollate all’inverosimile e seguita, grazie ai social, nei 135 Paesi del mondo dove opera la Famiglia salesiana, è stata un’occasione davvero speciale «per ringraziare la Nostra Madre che continua a fare miracoli», come ha detto il rettor maggiore don Ángel Fernández Artime.

Innanzitutto perché era da tre anni che, a causa del Covid, la statua della Madonna non usciva più dalla Basilica a portare speranza «camminando insieme uniti dalla fede per le vie della città». E poi – e non è sicuramente un caso – la festa è ritornata «per strada, Chiesa in uscita» proprio nell’anno in cui i salesiani ricordano i 400 anni dalla morte di san Francesco di Sales che don Bosco scelse come patrono della Congregazione, come ricorda don Michele Viviano, rettore della Basilica:

«Un anno per ripensare alle fonti del nostro carisma seguendo l’umanesimo integrale di san Francesco, facendo emergere le risorse in ogni persona che incontriamo, soprattutto i più giovani primi destinatari della nostra missione».

E poi un invito a pregare più intensamente l’Ausiliatrice perché doni la pace, è stata la presenza dei 50 profughi ucraini (mamme, bambini e 15 adolescenti) accolti da un mese a Valdocco e che hanno partecipato alla Novena, alle Messe che fin dalle 6 alle 23.30 di ieri sono state celebrate in Basilica (tra cui quelle presiedute dall’ arcivescovo emerito di Torino, Cesare Nosiglia e dal rettor Maggiore) e alla processione.

Don Artime, durante l’omelia della Messa prima della processione, ha letto il messaggio che papa Francesco ha inviato a tutti i coloro che a Torino e nel mondo alzano lo sguardo invocando Maria Ausiliatrice:

«Sarò spiritualmente unito a voi il 24 maggio nella Basilica pregando per la Chiesa, per le famiglie, per gli anziani e per i giovani. E per favore, vi chiedo di pregare per me». «Ricordo ancora oggi, con emozione» ha proseguito il superiore generale dei salesiani «quando in un incontro qualche anno fa a Roma, dissi a Francesco che sarei stato qui a celebrare questa grande festa. Lui mi disse semplicemente queste bellissime parole: “Parla di me alla Madonna”.

Oggi come allora ed è curioso come siano le ultime parole di Maria riportate nei Vangeli, un’e- redità preziosa che consegna a tutti noi» ha concluso don Artime «Maria come ai servi di Cana ci dice “Qualsiasi cosa mio Figlio vi dica, fatela”».

L’arcivescovo Nosiglia che ha presieduto la processione, al temine nella piazza davanti alla Basilica ha salutato tutti i presenti:

«Maria ci dia l’aiuto di cui tante famiglie, lavoratori, malati e sofferenti per la crescente povertà, tantissimi giovani in particolare e tanti profughi dalla guerra in Ucraina hanno bisogno».

E ancora ai giovani richiamando don Bosco:

«Cari Giovani non lasciatevi rubare la speranza da una società che vi adula e parla sempre di voi ma che stempera nel consumismo e nel disimpegno i vostri sogni e non muove un dito per affrontare seriamente i vostri problemi. Abbiate il coraggio di osare, puntando alle vette della responsabilità e di un amore non mediocre e scontato ma di quello più grande che Cristo vi offre, senza timore, perché a questo vi chiama e vi attrezza il Signore».

>>>Leggi anche l’articolo su La Voce e il Tempo a cura di Maria Lomunno: “È tornata la processione di Maria Ausiliatrice”

San Francesco di Sales: bibliografia – La Voce e il Tempo

In occasione del IV centenario dalla morte del Vescovo francese san Francesco di Sales, il giornale La Voce e il Tempo ha pubblicato tre contributi a cura del salesiano don Giovanni Ghiglione sdb, di suor Mariagrazia Franceschini e di Vania De Luca. A conclusione di questo ciclo di interventi ha presentato una breve bibliografia su alcune pubblicazioni per chi desidera approfondire la vita e le opere del poliedrico maestro di spiritualità. Di seguito l’articolo pubblicato su La Voce e il Tempo a cura di Marina Lomunno.

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IV CENTENARIO – Per approfondire la figura storica e l’attualità del carisma di san Francesco di Sales domenica 15 maggio, alle 20.30 presso il monastero della Visitazione a Moncalieri (strada Santa Vittoria 15) si tiene un incontro sul tema «Sono uomo come di più non è possibile»: intervengono don Michele Molinar, vicario dei Salesiani del Piemonte e suor Mariagrazia Franceschini – Di seguito alcune recenti pubblicazioni sulla spiritualità del santo Vescovo di Ginevra

In occasione del IV centenario dalla morte del Vescovo francese san Francesco di Sales, dottore della Chiesa (Lione, 28 dicembre 1622) è stata allestita al Museo Casa don Bosco di Valdocco a Torino (www.museocasadonbosco.org) una mostra aperta al pubblico fino al 15 gennaio 2023 che illustra la vita e le opere del patrono dei salesiani.

Ma san Francesco non è solo patrono dei figli di don Bosco: La Voce e il Tempo e il nostro sito, sull’eclettico santo ha pubblicato tre contributi a cura del salesiano don Giovanni Ghiglione sdb (24 aprile, pag.14) e di suor Mariagrazia Franceschini, dell’Ordine della Visitazione di Santa Maria (le suore Visitandine fondate da san Francesco di Sales con santa Giovanna de Chantal, 1° maggio pag. 14) che hanno illustrato rispettivamente il legame del carisma delle loro famiglie religiose con il Vescovo di Ginevra. Infine Vania De Luca, vaticanista, caporedattore del Tg3, già presidente nazionale dell’Ucsi (Unione cattolica della stampa Italiana) sullo scorso numero (8 maggio pag. 14) ha scritto un contributo sulle motivazioni per cui san Francesco di Sales è stato scelto anche patrono dei giornalisti.

A conclusione di questo ciclo di interventi presentiamo una breve bibliografia su alcune pubblicazioni per chi desidera approfondire la vita e le opere del poliedrico maestro di spiritualità. L’ultima biografia in ordine di tempo, pubblicata in occasione del IV centenario, è un classico della «agiografia salesiana» curata da André Ravier, gesuita, profondo conoscitore del Vescovo di Ginevra. Partendo dall’originale francese e dalla precedente edizione in italiano, il nuovo volume rivisto e arricchito anche con nuove immagini, è il frutto del lavoro dei salesiani don Morand Wirth, don Aldo Giraudo e don Wim Collin. Un testo che presenta i tratti salienti della vita di Francesco: il suo cuore di uomo, sacerdote, Vescovo e la sua straordinaria capacità di guida spirituale per cui si affidava a lui. (Andrè Ravier, «San Francesco di Sales», Elledici, Torino, 2021).

Tra i salesiani che hanno più studiato il patrono della loro congregazione è senz’altro don Gianni Ghiglione che ha al suo attivo numerosi studi e saggi tra cui due corposi volumi che scandagliano le fonti della spiritualità salesiana nelle migliaia di lettere scritte dal san Francesco (Gianni Ghiglione, «San Francesco di Sales padre, maestro e amico. La spiritualità salesiana nelle Lettere. Prima parte: dal 1593 al 1610», Elledici, Torino 2012; «San Francesco di Sales padre, maestro e amico. La spiritualità salesiana nelle Lettere. Seconda parte: dal 1611 al 1622», Elledici, Torino 2013). Anche don Ghiglione per il IV Centenario ha pubblicato un volume intitolato «Verso l’alto».

«Il mio libro si può considerare un manuale verso una vita cristiana santa in compagnia e sotto la guida di Francesco di Sales»

spiega l’autore che, a partire dalla «Filotea» usa la metafora di un’escursione in montagna verso una vita cristiana santa sotto la guida del santo (Gianni Ghiglione, «Verso l’alto. Cammino di vita cristiana in compagnia di San Francesco di Sales», Elledici Torino 2021).

Infine tre volumi pubblicati nel 2022 da Morcelliana (Brescia) sempre per il IV Centenario a cura della Comunità della Visitazione di Salò. Il primo, «Il trattato dell’amore di Dio e la Visitazione» di suor Maria Grazia Franceschini che presenta la relazione di san Francesco con la spiritualità delle Visitandine; «Francesco di Sales, Il Trattato dell’amore di Dio in compendio», rilettura dell’opera del fondatore a cura del Monastero della Visitazione Santa Maria di Salò. Da ultimo la traduzione del corposo volume di suor Marie Patricia Burns, «Francesca Maddalena de Chaugy», visitandina collaboratrice della Chantal, che ebbe un ruolo fondamentale nella causa di canonizzazione di san Francesco di Sales.

-Marina LOMUNNO